Uscì dalla stanza, chiuse accuratamente la porta, e cominciò una meticolosa ricerca. Dopo aver ispezionato una stanza, richiudeva attentamente la porta.
Il gatto non era al primo piano.
Lo vide mentre scendeva la scala. Era seduto davanti alla porta, come fanno tutti i cani e i gatti quando vogliono uscire.
Non sembrava pericoloso. Era un piccolo gatto grigio del tutto normale. E non parve spaventato dalla presenta dell’uomo. Anzi, rimase a fissare Staunton per un attimo, poi miagolò e con una zampa cominciò a grattare la porta.
Solo un gatto, un normalissimo gatto che chiedeva di uscire.
«Troppo normale, per un gatto rimasto nascosto per tutta la giornata di ieri» pensò Staunton. Sedette sui gradini e si mise a osservare la bestia.
— Miaou — fece il gatto.
Staunton scosse la testa.
— Non ora, gatto. Forse ti lascerò uscire più tardi. Prima però voglio fare quattro chiacchiere con te. Che ne diresti di una buona colazione? Io ho un certo appetito.
Andò in cucina e si girò soltanto quando fu davanti al frigorifero.
Il gatto lo aveva seguito, non troppo da vicino, e ora lo stava fissando. Poi, come colto da una improvvisa idea, raggiunse la porta d’ingresso posteriore e miagolò.
Staunton tornò a scuotere la testa.
— No, gatto. Prima ci devo pensare.
Prese una bottiglia di latte e ne versò una parte in una scodella, che mise a terra. Ma il gatto non si avvicinò.
Per tutto il tempo in cui Staunton rimase davanti al fornello per friggere due uova e preparare il caffè, il gatto non si mosse dalla porta.
Quando finalmente l’uomo sedette a tavola, il gatto raggiunse la scodella e cominciò a bere il latte con grande avidità.
— Sei un bel gatto — disse Staunton. — Perché non rimani un po’ di tempo con me?
Il gatto non sollevò nemmeno la testa. Fissandolo Staunton decise che gli sarebbe veramente piaciuto tenerlo con sé. Poi, se c’era veramente qualcosa di strano nell’animale, avrebbe avuto modo di osservarlo con comodità. Per evitare che scappasse dalle finestre, bastava comperare delle zanzariere metalliche. Comunque avrebbe dovuto prima cercare il proprietario del gatto. Non voleva rubarlo a nessuno. Per pochi dollari glielo avrebbero ceduto.
— Gatto — disse, parlando con grande serietà — vorresti vivere per un po’ in questa casa? A proposito, come ti chiami?
Il gatto continuò a bere il latte senza scomporsi.
— D’accordo, non me lo vuoi dire. Allora te ne darò uno nuovo. Ti chiamerò «Gatto». Mi sembra appropriato… spero.
Il gatto bevve solo metà del latte, poi tornò vicino alla porta.
— Miaou — disse.
— Ho capito — rispose Staunton. — Un richiamo della natura. Il fatto che tu chieda di uscire con insistenza mi dice che sei stato allevato in una casa. Non ti preoccupare, ti fornirò di ogni servizio.
Finì di mangiare poi scese in cantina, dove scovò un sacco di segatura e diverse scatole di cartone. Ne prese una delle dimensioni che gli parvero adatte e dopo averla riempita di segatura andò a deporla in un angolo della cucina.
— Dovrai usare la scatola, Gatto. Mi spiace, ma per qualche giorno non uscirai di casa. Intanto vedremo se ci siamo simpatici a vicenda.
Il gatto guardò la scatola di segatura, ma rimase vicino alla porta.
— Miaou — supplicò.
Staunton prese i piatti usati per la colazione e li portò nel lavandino.
— Senti, Gatto — disse, senza girarsi — se non riesci a immaginare a cosa serva la segatura, pulirò il pavimento per qualche giorno. — Poi decise di continuare le sue faccende senza più badare al gatto, per vedere come si sarebbe comportato.
La mente costrinse il gatto a rimanere vicino alla porta. L’animale provava un forte desiderio di uscire, ma era chiaro che Staunton non glielo avrebbe permesso. Anzi, per diversi giorni l’avrebbe tenuto chiuso, in quella casa. Il problema era se usare la scatola, o se fingere di essere un gatto randagio e sporcare il più possibile, in ogni angolo della casa, in modo da disgustare Staunton e costringerlo a cacciare via la bestia prima del previsto.
Guardò Staunton. Senza odio, perché odio e amore erano sentimenti che la creatura poteva provare soltanto verso quelli della sua razza.
Improvvisamente si rese conto della possibilità che Staunton cercasse informazioni sul gatto: da che parte fosse venuto, chi era il suo proprietario, quando era scomparso… Così avrebbe saputo che il gatto era stato allevato in casa. Allora capì che avrebbe dovuto far agire il gatto in maniera conforme alla sua natura.
Non le occorse che un secondo per trovare questo ricordo particolare nella memoria del gatto. Poi si avvicinò alla scatola di segatura.
Staunton girò la testa da quella parte.
— Bravo micio — disse.
La mente capì che da quel momento in avanti doveva esaminare il cervello del suo ospite-schiavo e farlo agire nel modo in cui si sarebbe comportato in analoghe circostanze. Se solo avesse fatto così il giorno prima, quando la donna lo aveva visto…
Ora doveva continuare su quella strada. Esplorò il cervello del gatto: trovare un posto soffice e addormentarsi. C’era un divano nel soggiorno. Lo raggiunse e si sdraiò comodamente.
Staunton lo guardò.
— Bene, Gatto — disse. — Fai pure come se fossi a casa tua. Perché ieri pomeriggio e ieri sera ti sei nascosto? — Poi l’uomo tornò in cucina.
La mente lasciò che il corpo del gatto si addormentasse, ma lei continuò a pensare. Era stata una vera sciocchezza quella di nascondersi.
Cominciava a far caldo, e la mente sentì Staunton che si spostava da una finestra all’altra per socchiudere i battenti e accertarsi che rimanesse uno spiraglio da cui il gatto non potesse passare.
Dopo un po’ Staunton comparve nuovamente sulla soglia.
— Gatto, io vado un momento in paese. Ti affido la difesa del forte. Intanto comprerò qualche specialità per gatti. Voglio essere un ospite perfetto.
La mente per poco non fece fare un salto al gatto, ma subito si rese conto che Staunton aveva usato la parola «ospite» con un senso diverso.
Quando l’uomo si avviò lungo il corridoio, il gatto, per rimanere in carattere, saltò dal divano e lo accompagnò alla porta. Ma Staunton fece in modo da non lasciarlo uscire.
A Bartlesville, Staunton si fermò prima di tutto alla sede del «Clarion».
Hollis sollevò gli occhi dalla macchina da scrivere.
— Salve. Che c’è di nuovo?
— Niente d’importante, Ed. Volevo solo farvi una domanda. Sapete se qualcuno ha perduto un gatto?
Hollis scoppiò a ridere.
— Un gatto? Ce ne sono a centinaia da queste parti. Se un gatto scompare, scompare e basta. Perché? Ne avete trovato uno?
— Sì. Vorrei tenerlo per un po’, perché mi piace. Ma naturalmente, se venissi a sapere che il padrone lo sta cercando, glielo riporterei. Potrebbe essere il gattino dei suoi bambini, per esempio.
— Ho capito. Dunque… Vediamo un po’… Ecco, sono in tempo a mettere un’inserzione sul numero che uscirà dopodomani.
Staunton ci pensò un momento.
— D’accordo — disse poi. — Mettiamo questa inserzione: «Trovato piccolo gatto grigio». Aggiungete voi il numero della cassetta postale. Verrò da voi la settimana prossima per vedere se hanno risposto.
— Bene. — Poi Hollis sollevò di scatto la testa dal foglio sul quale stava annotando l’inserzione. — Ehi, un momento. Forse so di chi è il gatto! — esclamò. — La settimana scorsa ero dai Kramer e ho visto che avevano diversi gatti, tra questi ce n’era uno piccolo, grigio. Potreste fermarvi a domandare. È sulla vostra strada.