Prese la pistola, una Smith Wesson calibro 38, e tornò nel soggiorno.
— Senti, Gatto — disse. — Proviamo in questo modo. Se vuoi uscire da questa casa per cercare un modo di ucciderti, io ti posso togliere il pensiero. Se capisci quello che sto dicendo e vuoi che io ti uccida, mettiti contro la porta.
Per un attimo il gatto rimase a fissarlo poi tornò a mettere la testa tra le zampe e riprese a dormire… o a fingere di dormire.
Staunton sospirò. Non si era aspettato che il gatto si mettesse contro la porta. Oltre tutto lui non avrebbe potuto sparare. Specialmente con una pistola che non si era neppure preoccupato di caricare. Mise la pistola nel ripostiglio e andò a letto.
Il giorno seguente non accadde niente di particolare. Staunton fece il suo solito giro in paese per vedere se c’era posta, poi andò nell’ufficio del giornale per dire di aver trovato i padroni del gatto e per chiedere a Ed Hollis le ultime novità.
Non era successo niente di particolare: i Garner avevano trovato un acquirente per la loro fattoria e stavano progettando di spostarsi in California, e Gus Hoffman era venuto al giornale a fare l’annuncio che offriva in vendita la sua fattoria. Voleva mettere lo stesso annuncio su un quotidiano di Green Bay.
— Immagino che Charlotte aspetti un bambino — disse Hollis. — Ecco perché i Garner se ne vanno.
— E io immagino che sia meglio non mettere una notizia simile sul giornale, Ed.
Hollis lo guardò, risentito, e Staunton fu costretto a scusarsi.
— Mi sto chiedendo — disse Hollis ad alta voce — perché Gus Hoffman sia deciso a partire. Voglio dire, con la morte di Tommy lo scandalo non lo avrebbe toccato.
— Eppure è semplice, Ed. Da questo momento in avanti, Hoffman sarà l’ombra dei Garner. Non ha moglie né figli, ma c’è un nipote o una nipote in arrivo. Il vecchio Hoffman diventerà matto per quel bambino.
— Accidenti, sì! Come ho fatto a non pensarci?
Quel pomeriggio Staunton tornò a casa molto presto e decise di trascorrere il resto della giornata a pesca. Era la prima volta che andava a pescare da quando aveva investito il cane, dal giorno, cioè, in cui aveva incominciato a interessarsi delle stranezze che circondavano la morte di Tommy Hoffman.
Nei giorni successivi il gatto parve rassegnato a rimanere in casa, e non fece più tentativi di scappare ogni volta che lui apriva la porta per entrare o uscire. Cominciava ad abituarsi.
O era perché aveva capito tutto e aspettava il lunedì per riacquistare la libertà promessa? Scacciò questo pensiero cercando di concentrarsi sul piacere che gli offrivano le giornate di vacanza.
Il lunedì mattina decise che avrebbe liberato il gatto verso le dieci. Poi avrebbe aspettato le cinque o sei ore di libertà per vedere se sarebbe tornato all’ora da lui fissata per la colazione. Doveva lasciarlo andare, ma voleva tenerlo d’occhio, e fino a un certo punto poteva farlo. Aveva portato con sé un binocolo fortissimo. Poteva salire alle finestre del primo piano e osservarlo. Se si fosse diretto verso la fattoria dei Kramer, con tutta probabilità non lo avrebbe più rivisto. Se avesse preso una qualsiasi altra direzione, forse. E se si fosse fermato nelle vicinanze della casa, era certo che sarebbe rientrato non appena lo avesse chiamato.
Guardando dalla finestra si accorse che cominciava a piovere.
Con tutta probabilità, in questo caso, il gatto non sarebbe neppure uscito. I gatti odiano l’acqua. Ma quella pioggerella durò solo una quindicina di minuti. Il tempo sufficiente per inumidire il terreno e incollare al suolo la polvere.
Alle dieci esatte Staunton andò a spalancare la porta d’ingresso.
— Bene, Gatto, vuoi uscire un attimo?
Il gatto comprese il gesto più che le parole. Scese dal divano, si stirò senza troppa premura, e uscì.
Staunton afferrò il binocolo e salì al primo piano. Si affacciò alla finestra che dava sul fronte della casa. Il gatto si stava allontanando verso la strada. Camminava con il passo sicuro dei gatti che sanno benissimo dove devono andare, ma che non hanno alcuna premura di giungere a destinazione.
«Con tutta probabilità sta tornando dai Kramer» pensò. «Be’, se è questo che vuole, per me va bene».
Ma quando raggiunse la strada, il gatto si fermò. Girò la testa per guardare la casa da cui era appena uscito. Staunton si tirò indietro di scatto e fece sporgere dalla finestra soltanto il binocolo. Guardava la casa per prendere una decisione? O voleva vedere se lui lo stava osservando? Non poteva averlo visto, né poteva vederlo in quel momento.
Il gatto rimaste fermo in quel punto per oltre mezzo minuto, poi ripartì, con passo più veloce. Non lungo la strada che lo avrebbe portato alla fattoria dei Kramer, ma nei boschi che si stendevano dall’altra parte. Poté seguirlo soltanto per pochi metri ancora.
Dopotutto, il comportamento del gatto era perfettamente normale, ma…
Ricordò la pioggerella caduta mezz’ora prima. Il gatto avrebbe lasciato le impronte. Perché non seguirle e vedere dove era andato? Non aveva niente da fare, e una passeggiata sarebbe stata un modo come un altro per ingannare le ore di attesa.
Partì subito. Si fermò soltanto un attimo per prendere un cappello e l’impermeabile nel caso avesse ricominciato a piovere. Sulla polvere le impronte del gatto erano molto chiare. Camminando le studiò attentamente per non doverle poi confondere con quelle di qualche altro animale.
Ma quando giunse nel bosco le cose si complicarono: sull’erba non si potevano vedere impronte. Oltre tutto la leggera pioggia non era riuscita a penetrare tra le toglie, e il terreno, sotto, era perfettamente asciutto.
Però Staunton aveva notato che il gatto era andato in linea retta. Forse, procedendo in quella direzione, avrebbe raggiunto il luogo cui si era diretto il gatto.
Dopo circa un chilometro e mezzo si trovò di fronte a un ruscello largo, in quel punto, un metro e mezzo. Il gatto era passato dall’altra parte? Saltò anche lui, poi si fermò per cercare le impronte. Non ne vide. Lungo le due rive del ruscello correva una larga striscia di sabbia, e sulla sponda opposta le impronte erano tornate chiarissime. Il gatto quindi non aveva attraversato il corso di acqua, altrimenti le impronte ci sarebbero state anche lì. Ma allora perché i segni delle zampe finivano proprio sull’orlo del ruscello?
Staunton cominciò a seguire il corso d’acqua, e dopo una ventina di passi ebbe la conferma di ciò che aveva temuto appena si era trovato davanti al ruscello.
In mezzo all’acqua galleggiava il corpo di un piccolo gatto grigio.
Era un suicidio molto più evidente di quello commesso dal cane balzato sotto le ruote della sua macchina, di quello del gufo che si era lanciato contro il vetro di una finestra, di quello del topo che aveva assalito Tommy Hoffman, e di quello dell’altro gatto che si era scagliato contro un cane.
E questo gatto aveva vissuto con lui per diversi giorni. Aveva rifiutato di farsi uccidere dalla pistola, né aveva cercato la morte in un qualsiasi altro modo.
Per uccidersi aveva aspettato di poter commettere l’atto inosservato, in mezzo al bosco. Se lui non avesse avuto ancora un residuo di sospetto, e se le impronte sul terreno non gli avessero indicata la direzione, il corpo del gatto con tutta probabilità non sarebbe mai più stato ritrovato.
Ma perché si era ucciso?
Il gatto «era» un gatto normale. Il cane Buck «era stato» un cane come tutti gli altri fino al momento in cui aveva cercato la morte.
C’era «qualcosa» che usava gli animali, per misteriose ragioni, e che poi se ne liberava facendoli uccidere?
«Cosa» aveva pensato il gatto in quei giorni che era rimasto con lui?