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Fece correre Tommy finché il sentiero non fu scomparso alla vista, poi, sapendo che la creatura terrestre non avrebbe potuto procedere di quel passo per più di mezzo chilometro, lo fece rallentate.

L’ingresso alla caverna era molto piccolo. La mente notò con soddisfazione che per entrare ci si doveva piegare sulle ginocchia. Oltre tutto l’ingresso era ben mascherato dalle piante.

All’interno era buio, ma la mente poteva vedere attraverso gli occhi di Tommy. E per mezzo della memoria di Tommy, alla stessa maniera con cui poteva vedere con gli occhi, aveva l’intera immagine del posto. (Il suo senso di percezione, indipendente dalla luce o dalla oscurità, funzionava solo quando era completamente nel proprio corpo. Quando si trovava nel cervello di un ospite, dipendeva soltanto dagli organi sensori del suo prigioniero.) La caverna non era grande. Si spingeva nel fianco della collina per circa sei metri, e nel punto più largo, a circa metà, misurava due metri d’altezza. L’unico punto in cui un uomo potesse stare eretto.

In quel punto la mente si fece deporre a terra poi obbligò Tommy a scavare un buco nella sabbia. A circa venti centimetri di profondità le mani di Tommy trovarono la roccia. Si fece deporre sul fondo e ricoprire. Poi Tommy lisciò accuratamente la sabbia. Alla fine strisciò all’indietro verso la imboccatura della grotta e cancellò le orme lasciate nell’entrare.

Fece sedere Tommy sulla soglia della grotta, nascosto dagli stessi cespugli che celavano l’ingresso, e rimase lì.

Adesso non c’era premura. Era nascosta in luogo sicuro e poteva perdere un po’ di tempo per assimilare tutte quelle conoscenze che Tommy aveva nel suo cervello, catalogarle e usarle come base per i suoi piani futuri.

E decidere che cosa fare del suo ospite-schiavo.

Si era già accorta che la mente di Tommy non era esattamente quella che le interessava controllare. Ma il ragazzo poteva servire per un po’ di tempo. Aveva una intelligenza media (questo era almeno ciò che Tommy pensava di se stesso), ma la sua istruzione era incompleta, e le sue cognizioni scientifiche non andavano oltre pochi principi elementari.

Ma Tommy poteva essere utile… per un po’ di tempo.

3

Charlotte Garner si svegliò, di scatto come fanno i gatti e del tutto presente a se stessa ancora prima di aver aperto gli occhi. Aveva una strana sensazione di freddo. Tremò, e aprendo gli occhi comprese il perché di quel freddo. Si era addormentata sotto i raggi del sole, e ora si trovava in piena ombra. Il che significava che il sole si era molto abbassato dietro la cortina di alberi che cingeva lo spiazzo. Meravigliata, guardò l’orologio che portava al polso.

Aveva dormito tre ore. Anche partendo subito sarebbero arrivati alle loro rispettive case, per la cena, con mezz’ora di ritardo. Forse i loro genitori, i suoi senz’altro, cominciavano già a preoccuparsi.

Rapidamente sì girò per svegliare Tommy. Ma non lo vide. La sua giacca però era ancora lì, nel punto esatto in cui l’aveva lasciata, e anche le scarpe. Dopo un breve attimo di smarrimento pensò che Tommy si fosse svegliato un minuto o due prima di lei. Prima di svegliarla doveva essersi inoltrato nel bosco, appena fuori della radura, per qualche suo motivo. Sarebbe stato di ritorno fra un minuto. Dato che non portava l’orologio, con tutta probabilità non si era accorto che fosse così tardi.

Charlotte si alzò, si scosse di dosso i fili d’erba, e risistemò con cura gonna e camicetta. Poi tornò a sedere e calzò i sandali.

Tommy non si vedeva ancora, e la ragazza cominciò a impazientirsi. Lo chiamò ma non ottenne risposta. Non poteva essere andato a una distanza tale da non sentire. Forse stava già tornando indietro e per questo non si era preoccupato di rispondere. Si accorse di avere alcuni fili d’erba fra i capelli. Si chinò a prendere il pettine nella giacca di Tommy, si pettinò, poi lo rimise a posto.

Tommy non compariva, e ora lei cominciava a preoccuparsi. Chiamò ancora, molto più forte questa volta.

Rimase in ascolto, ma sentì solò il lieve frusciare delle foglie nel vento. Stava forse cercando di farle prender paura? No, Tommy non avrebbe mai fatto una cosa del genere!

Ma cosa poteva essergli accaduto? Possibile che se ne fosse andato senza giacca né scarpe? E senza avvertirla? Poteva aver inciampato in qualche radice sporgente ed essersi magari slogato una caviglia! Ma in questo caso l’avrebbe chiamata. Lei aveva il sonno molto leggero e lo avrebbe certamente sentito. Soprattutto, avrebbe risposto quando aveva chiamato lei!

Adesso era preoccupata seriamente. Lasciò la radura e si addentrò tra gli alberi guardando dietro ogni cespuglio. Controllò anche dalla parte che dava sul sentiero.

Di tanto in tanto chiamava Tommy, gridando. Compì un ampio giro a spirale, e mezz’ora dopo si accorse di essere a circa un centinaio di metri dal punto di partenza. Aveva controllato attentamente tutta la zona senza trovare alcuna traccia di Tommy. Era spaventata.

E si rese conto di aver bisogno di aiuto. Raggiunse velocemente il sentiero e s’avviò verso casa, un po’ camminando un po’ correndo.

Avrebbe dovuto dire la verità, pensò, ma non aveva importanza ciò che avrebbero fatto o pensato i suoi genitori all’idea che lei e Tommy avessero anticipato il matrimonio. L’avrebbero capito anche se non l’avesse detto apertamente, ma non aveva importanza. Ciò che importava era ritrovare Tommy.

Quando irruppe nella sala da pranzo di casa sua, era stanca, affamata e scarmigliata. I suoi stavano ascoltando la radio, ma quando la sentirono entrare il padre si girò di scatto e la fissò.

— Era ora! Stavo per… — Poi notò la faccia stravolta della figlia. — Che cos’è successo, Charl?

Raccontò tutto. Fu interrotta solo una volta dalla voce sconvolta della madre.

— Vuoi dire che tu e Tommy siete stati…

Il padre la fermò con un cenno.

— Ti preoccuperai di questo più tardi. Lasciala finire.

Poi Jed Garner si alzò.

— Telefono a Gus — disse. — Dobbiamo andare immediatamente a cercarlo. Lui può portare Buck.

Andò al telefono e chiamò Gus Hoffman, la cui fattoria confinava con loro.

All’altro capo del filo, il padre di Tommy ascoltò attentamente. Quando Garner ebbe finito di parlare disse semplicemente: — Vengo subito.

Appese il ricevitore e rimase un attimo a pensare. Poi andò in bagno, prese una calza di Tommy nella cesta dei panni sporchi e la mise in tasca. Ne aveva bisogno per mettere Buck sulle tracce del ragazzo. Non che Buck non conoscesse l’odore di Tommy, ma così sarebbe stato meglio.

In cucina prese il guinzaglio di Buck.

Era un ottimo cane, ma aveva un difetto: una volta messo sulla pista lo si doveva legare al guinzaglio e tenerlo vicino, altrimenti non avrebbe più risposto a nessun comando e sarebbe andato a finire così lontano da non poterlo più ritrovare. Quando una pista è fresca i cani riescono quasi sempre ad andare molto più veloci degli uomini.

Si accertò di avere dei fiammiferi in tasca, prese una lanterna, controllò che ci fosse abbastanza combustibile, e alla fine uscì dalla porta della cucina.

Buck stava dormendo davanti alla cuccia che Tommy gli aveva costruita. Era un grosso cane a chiazze bianche e marrone. Non di pura razza, tuttavia si era sempre dimostrato un ottimo cane da caccia. Aveva sette anni, non più giovane quindi, ma era ancora pieno di vitalità.

— Vieni, Buck — disse Hoffman, e il cane lo seguì attorno alla casa e attraverso i campi che lo dividevano dalla fattoria dei Garner.

I vicini lo videro arrivare e uscirono dalla casa. Tutti e tre.