Tutto sommato, pensò, un uccello sarebbe stato l’animale più adatto. Un cervo o un orso avrebbe potuto incontrare qualche difficoltà nel superare i recinti; e se vicino alle fattorie ci fossero stati dei cani, questi avrebbero cominciato ad abbaiare svegliando tutti. Un cane però non si sarebbe accorto di un falco in volo nella notte per depositare qualcosa sul tetto della casa. Poi, non appena il falco si fosse allontanato per andare ad uccidersi o per farsi uccidere, la mente avrebbe potuto scegliere uno schiavo tra tutti coloro che dormivano nella casa. La prima azione da far compiere al suo nuovo prigioniero, sarebbe stata quella di andare a prendere il suo «io» corporeo dal tetto, per nasconderlo in un posto più sicuro.
Ma non c’era fretta. Questa volta doveva studiare attentamente ogni dettaglio. Non voleva più commettere errori. Oltre tutto, nessun gufo e nessun falco era ancora entrato nel suo raggio di percezione. E neppure orsi o cervi. Vicino a lei erano passati solo topi, conigli e altre piccole creature.
Ma studiò attentamente, uno a uno, anche quegli animali. Non era detto che una di quelle piccole bestie non fosse uno schiavo temporaneo migliore di un animale più grosso.
Una volta studiato attentamente un animale, dentro e fuori, avrebbe potuto procurarsi un prigioniero di quella specie, sempre che dormisse, fino a una distanza di circa dieci chilometri. Dopo aver studiato un coniglio, per esempio, non aveva da far altro che concentrarsi sul concetto di coniglio, e se uno di quegli animali dormiva nel raggio di dieci chilometri, il più vicino, nel caso ce ne fossero stati diversi, sarebbe diventato suo ospite-schiavo. Se un falco fosse passato entro il suo raggio percettivo, non aveva importanza a quale velocità, la mente sarebbe stata in grado di procurarsi uno schiavo falco in qualsiasi momento della notte. E prima o poi falchi, gufi, cervi e orsi sarebbero passati entro il suo raggio, e lei si sarebbe procurata una vasta scelta di schiavi potenziali.
Peccato che non fosse così anche per le creature intelligenti. Queste opponevano una resistenza inconscia, e tra la mente e la creatura si svolgeva uno scontro mentale che poteva durare parecchi secondi. Per vincere doveva usare tutta la sua forza e avere la creatura, una creatura singola, entro i limiti del suo senso di percezione. E, logicamente, la creatura doveva essere addormentata.
Questo era stato sperimentato su quasi tutti i pianeti abitati da esseri intelligenti che la sua specie aveva esplorato o occupato. Tranne rare eccezioni. Durante la notte, la mente aveva fatto alcuni esperimenti per accertarsi che la Terra non fosse uno di questi pianeti.
Aveva provato prima con un topo, concentrando il suo pensiero su uno di questi animali sulla scorta del ricordo di quello che era stato il suo primo schiavo terrestre. Le era occorsa poi un’ora per uccidere l’animale e poter tornare nel suo guscio. Aveva tentato di liberarsi costringendo il topo a buttarsi contro un albero, poi contro un sasso. Ma l’animale era troppo piccolo, e anche il colpo contro il sasso era servito solo a stordirlo momentaneamente. Scoprì poi che non poteva arrampicarsi sugli alberi in modo da raggiungere un’altezza sufficiente, da cui lanciarsi con la certezza di morire. L’aveva fatto correre allora in una zona illuminata dalla luna sperando che il movimento attirasse l’attenzione di qualche gufo o altro predatore notturno. Ma sembrava che non ci fossero uccelli di quella specie lì attorno. Alla fine fece ciò che avrebbe dovuto fare immediatamente. Esaminò i pensieri e i ricordi del topo. E scoprì che c’era una pozza di acqua nelle vicinanze. Allora il topo era partito immediatamente in quella direzione e si era tuffato, annegando.
Nuovamente in se stessa, la mente volle fare un secondo esperimento. Sapeva che dovevano esserci degli uomini addormentati entro un raggio di pochi chilometri, appena oltre i limiti del bosco. A dieci chilometri poi c’era Bartlesville, paese in cui centinaia di uomini stavano dormendo. Usando il ricordo di Tommy si concentrò su un uomo. Un qualsiasi uomo addormentato. Ma non accadde nulla.
Fece un altro esperimento. Con alcune specie intelligenti èra possibile prendere possesso a distanza di un essere, concentrandosi, anziché sulla specie, su di un singolo individuo. Uno che fosse già stato studiato e di cui esistesse un ricordo perfetto. Dopo aver studiato Tommy, prima di entrare nel suo cervello, la mente si era soffermata ad osservare Charlotte, dentro e fuori. Tornò a concentrarsi. Ma anche questa volta non accadde nulla.
Lei non poteva saperlo, ma in quel momento Charlotte non era ancora addormentata. A ogni modo ciò non aveva importanza perché l’esperimento non avrebbe funzionato anche se la ragazza fosse stata immersa nel sonno. La razza umana non faceva eccezione alla regola generale che impediva di prendere possesso a distanza delle creature intelligenti.
Dopo il secondo esperimento aveva riposato. Non dormito, perché la sua specie non dormiva mai. Riposavano cessando di pensare attivamente. A ogni modo avrebbe dovuto aspettare per poter prendere in esame potenziali ostaggi più utili dei conigli, topi e altri piccoli animali. Ma quella notte nessuna creatura più grande passò nelle vicinanze.
Ma ora udì… sentì le vibrazioni di qualcosa di grande che veniva verso di lei. Erano due… no tre. Due bipedi, e un quadrupede molto più grande di un coniglio. Concentrò la sua percezione da quella parte e dopo alcuni minuti le creature entrarono nel suo raggio. Era lo stesso trio che la sera precedente era venuto in cerca di Tommy: il padre di Tommy, il padre di Charlotte e Buck, il cane che stava tirando il guinzaglio trascinandoli verso la grotta. Stavano seguendo la strada percorsa da Tommy per vedere dove era stato nascosto prima di correre verso di loro.
Ma perché? Aveva pensato alla possibilità che facessero qualcosa del genere, ma poi si era convinta, dato che Tommy era morto, che non esisteva una ragione per sapere dove fosse prima. Ora poi, morto Tommy, la mente era indifesa. Pensò di cercare una qualunque bestia addormentata, e farla correre verso il cane in modo da distrarlo. Ma subito capì che non sarebbe servito a niente. Il cane era al guinzaglio, e se avesse cercato di correre dietro a qualche animale sarebbe stato trattenuto e rimesso sulla pista.
Se l’avessero trovata, per lei non ci sarebbe stato più niente da fare. Ma non si spaventò, perché le possibilità che la trovassero erano minime. Non avevano nessuna ragione per mettersi a scavare. Naturalmente avrebbero trovato la grotta, e si sarebbero anche meravigliati che Tommy fosse venuto in quel luogo… ma non avrebbero scavato, di questo era sicura. Buck girò attorno al cespuglio che nascondeva l’ingresso della grotta. Si fermò un attimo ad annusare nel punto in cui Tommy era rimasto seduto, poi entrò nella grotta. Hoffman lo trattenne.
— Una grotta! — esclamò Garner. — Avremmo fatto meglio à portarci dietro un paio di fucili e di lampade. La grandezza di quel buco fa venire in mente la tana di un orso.
— Se Tommy è stato qui ieri sera — ribatté Hoffman — lì dentro non ci devono essere orsi. È più facile che un orso sia nella sua tana alla sera che di giorno.
La mente capì, perché ora poteva comprendere il linguaggio parlato. Se non avesse già avuto un ospite-schiavo umano, tutte quelle parole sarebbero state soltanto suoni senza senso… come tutto ciò che Tommy e la ragazza si erano detti sul sentiero e nella radura prima di addormentarsi.
— Io entro — disse Hoffman.
— Aspetta un momento, Gus. Vengo anch’io. Ma è meglio essere prudenti. Libera Buck dal guinzaglio e mandalo avanti. Se c’è qualcosa di pericoloso lo vedremo scappare. Noi saremmo chinati sulle mani e sulle ginocchia…