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Alzò gli occhi al soffitto piatto del cunicolo, e chiese ad Arthur l’Organizzatore: «Dove ci troviamo? È strano, questo posto, molto diverso, come materiale e struttura, dai nostri cunicoli.»

L’altro scrollò le spalle. «Ci troviamo nell’interno di uno dei loro mobili» spiegò. «Non so che mobile sia né a cosa serva. Noi ci troviamo in una delle cavità che loro lasciano sempre alla base di tutti i mobili, non so perché. Penso che lo facciano per renderli più leggeri e più facilmente spostabili.» Ascoltò un momento mentre l’eco dei passi titanici si allontanava fino a svanire, e poi continuò: «Veniamo al sodo. Eric, questo è Walter l’Armaiolo della gente Maximilian. Walter, che arma hai per la tribù di Eric?»

«Non vorrei dare proprio niente a una tribù dei cunicoli di superficie» protestò l’altro. «Nonostante tutte le spiegazioni, non capiscono mai niente e sbagliano sempre… Ma vediamo un po’. Questa dovrebbe essere abbastanza semplice.»

Frugò nel mucchio di strani oggetti che gli stava davanti e afferrò una specie di pallottola di sostanza rossa, gelatinosa.

«Devi limitarti a strappare un pezzetto con la punta delle dita» spiegò. «Un pezzettino, non di più. Poi sputaci sopra e lancialo. Bada bene di liberartene appena ci hai sputato sopra. Sei capace di ricordartene?»

«Sì.» Eric prese la palla rossa e la guardò perplesso. Mandava un odore strano, irritante, che pizzicava il naso. «Ma cosa succede dopo? Come funziona?»

«Non pensarci» gli disse Arthur l’Organizzatore. «Saprà tuo zio cosa farne. Tu hai commesso il furto di terza categoria e hai il tuo Ricordo dei Titanici. Una cosa che nessuno della tua tribù ha sicuramente mai visto. E di’ a tuo zio di portare la sua banda nel mio cunicolo dopo tre periodi di riposo a partire dal prossimo. Sarà l’ultima volta che c’incontreremo prima del grande giorno. Digli che i suoi uomini portino le armi che riusciranno a racimolare.»

Eric annuì. Non si raccapezzava più. Succedevano troppe cose strane.

Osservò Arthur l’Organizzatore che era occupato ad aggiungere un altro simbolo alla tavoletta tutta coperta di strani segni. Quella era una delle altre usanze degli Stranieri, resa necessaria dalla loro poca memoria, così inferiore a quella dell’Umanità.

L’Armaiolo gli si avvicinò mentre lui riponeva la palla rossa nella bisaccia. «Non c’è niente di bagnato, lì dentro?» chiese, frugando fra gli oggetti contenuti nella sacca. «Non c’è acqua? Ricorda che non devi assolutamente bagnare questa sostanza.»

«L’Umanità conserva l’acqua nelle borracce» spiegò seccato Eric, indicando la borraccia che portava appesa alla cintura. «Non crederai che la teniamo nella bisaccia mescolata alle provviste.»

Arthur l’Organizzatore lo accompagnò fino allo sbocco del cunicolo. «Non fare caso a Walter» disse. «È convinto che nessuno, all’infuori di lui, sia capace di maneggiare le armi che riesce a sottrarre ai Titanici. Adesso sarà bene che ti rinfreschi un po’ la memoria circa la strada che devi seguire. Non voglio che tu ti perda.»

«Non mi perderò» rispose freddamente Eric. «Ho un’ottima memoria e, per tornare, mi basta seguire al contrario le istruzioni di mio zio. E poi ricorda che io sono Eric l’Occhio. Non posso perdermi.»

Si sentiva molto fiero di sé, mentre si avviava di buon passo senza voltarsi. Ma l’ultimo commento che udì alle sue spalle: «Come sono permalosi, questi primitivi!» non mancò di ferirlo profondamente. Gliel’avrebbe fatta vedere lui, prima o poi, a quegli snob smidollati, che cosa voleva dire essere uomini!

Rifece il percorso, sempre rimuginando fra sé, e stava per iniziare l’ultimo tratto allo scoperto, lungo il muro, quando il pavimento ricominciò a tremare forte, strappandolo a forza dai suoi pensieri. Si fermò trasalendo, paralizzato dalla paura.

Era allo scoperto, e stava avvicinandosi un Titanico!

6

Lontanissimo, in quella distanza che dava le vertigini, scorgeva un lunghissimo corpo grigio, corrispodente alle descrizioni sentite fin dall’infanzia, più alto di cento uomini messi uno sull’altro, con le gambe grigie più grosse di due uomini uniti insieme. Ebbe appena il tempo di dargli un’occhiata, prima che il panico si impadronisse di lui.

Per fortuna riuscì a controllarsi quel tanto che gl’impedì di mettersi a correre allontanandosi dal muro. Ma, probabilmente, non lo fece solo perché, altrimenti, sarebbe andato direttamente verso il Titanico.

Poi, in un momento di lucidità, ricordò che la porta non doveva essere lontana. Non distava più di trenta, trentacinque passi. E là, era la salvezza. Là lo aspettavano suo zio con la banda, e i cunicoli, così stretti, così bui, così sicuri.

Eric partì come una freccia correndo come non aveva mai corso in vita sua, piangendo, quasi, per lo sforzo, ma ricordandosi tuttavia di non fare rumore, di stare sempre attaccato al muro, di non guardare in alto. Secondo guanto gli avevano insegnato, la vista e l’udito del Titanico, a quella distanza, non erano così acuti da potere percepire la sua presenza. Corri, corri, Eric, corri se vuoi salvarti!

E finalmente ecco la porta. Era chiusa! La lastra era stata rimessa al suo posto, e con orrore incredulo, Eric rimase a fissare la sottile linea curva disegnata sulla parete che stava a indicare il punto in cui la lastra era stata incastrata. Una cosa simile non era mai successa prima!

Eric batté freneticamente sulla porta coi pugni chiusi. Ma avrebbe fatto abbastanza rumore da essere udito dalla parte opposta di quella pesante lastra? E se invece tutto quel bussare fosse servito solo a richiamare l’attenzione del Titanico?

Voltò la testa, ma solo per un attimo, al fine di valutare a che distanza fosse il pericolo. Le gambe del Titanico si muovevano così lentamente che la sua velocità sarebbe stata risibile se la lunghezza delle gambe non gli avesse consentito di superare a ogni passo una distanza enorme. E non c’era proprio niente di ridicolo in quel lunghissimo collo sottile, sormontato da una testa relativamente piccola. E tutte quelle orribili cose rosa intorno al collo, proprio dietro la testa…

Era molto più vicino di quanto fosse stato solo pochi secondi prima, ma Eric non riusciva a capire se si fosse accorto o meno della sua presenza. Cosa doveva fare? Battere contro la porta con l’asta della lancia? Avrebbe fatto più rumore… ma anche il Titanico l’avrebbe sentito.

C’era una sola cosa da fare. Arretrò di qualche passo e poi si scagliò contro la lastra, spingendo con la spalla. Sentì che cedeva leggermente. Provò ancora.

Il tonfo dei passi del mostro era talmente vicino da assordarlo. Da un momento all’altro, uno di quegli enormi piedi grigi poteva calare su di lui e schiacciarlo. Eric arretrò ancora una volta per prendere la rincorsa, costringendosi a non voltarsi a guardare.

Al terzo tentativo la lastra si scostò, lasciando intravvedere una fessura. Eric spinse con le mani e coi piedi. La lastra cedeva a poco a poco, lentamente rivelando la fessura scavata tanto e tanto tempo prima.

Ma intanto, dov’era il Titanico? Era vicino? Quanto?

Con uno schianto improvviso, la porta cadde nell’interno del cunicolo ed Eric, trascinato dalla spinta, vi cadde sopra. Incurante del dolore, si rimise immediatamente in piedi e partì di corsa lungo il corridoio.

Non aveva il tempo per respirare. Continuava a ripetere mentalmente la lezione, per rammentarsi bene quello che doveva fare in una situazione simile.

Corri per un po’, poi fermati, ma tenendoti pronto a ripartire subito. Aspira quanta più aria puoi. Ti potrà servire. Se senti un sibilo, un fischio acuto, smetti di respirare e corri, corri finché resisti, poi torna a respirare a fondo. Ma soprattutto corri e trattieni il fiato più che puoi.