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Una volta messo in posizione eretta, Thomas riusciva a camminare, ma strascicava sempre di più i piedi, e dopo un po’ Eric fu costretto a fermarsi ancora perché aveva la sensazione di trascinare un morto.

Quando aiutò lo zio a stendersi, notò che il suo corpo si abbandonava, afflosciato. Thomas rimase steso a terra, gli occhi sbarrati che fissavano, senza vederlo, il soffitto a volta del corridoio, su cui la lampada che portava legata alla fronte disegnava un cerchio luminoso.

Il battito del cuore era debolissimo, appena percettibile.

«Eric» sussurrò con un filo di voce.

«Sì, zio.»

«Ascoltami… Cresci in fretta. Voglio dire… diventa adulto… sul serio. È la tua unica possibilità. Un ragazzo come te… qui nei cunicoli, o cresce in fretta o è perduto… Non…» Un violento accesso di tosse gli squassò il petto. «… Non credere ciecamente in niente e in nessuno. Impara… e diventa uomo. Ma presto, Eric… presto.»

«Mi ci proverò. Farò tutto il possibile.»

«Perdonami per averti trascinato in questa vicenda… Non ne avevo il diritto. Dopo tutto, la tua vita ti appartiene. Tu… le mie mogli… la banda. Ho condotto tutti alla morte… È colpa mia.»

Eric dovette fare uno sforzo per non piangere. «È stato per la Causa, zio Thomas» disse. «Non è colpa tua.»

Un gorgoglio sinistro uscì dalle labbra del moribondo, ed Eric pensò che fosse il rantolo della morte. Poi, con raccapriccio capì che era una risata, ma così orribile quale mai aveva sentito prima.

«La Causa?» fece Thomas. «Quale Causa? Lo sai… lo sai qual era… la Causa? Volevo diventare il capo… Io… E ci sarei riuscito solo con l’aiuto della… Scienza titanica… degli Stranieri… Ecco la mia Causa… Tutto… tutti questi morti… Volevo diventare il capo. Il capo!»

S’irrigidì dopo l’ultima parola. Ebbe un ultimo spasimo, poi tornò a rilassarsi. Era morto.

Eric rimase a lungo a fissare il cadavere. Aveva come una gran nebbia nel cervello ed era incapace di sentire e di pensare.

Finalmente riuscì a scuotersi, si chinò, afferrò il corpo per le ascelle, e camminando a ritroso lo trascinò verso il territorio dei Titanici.

C’era una cosa che doveva fare subito. Il compito che tutti gli abitatori dei cunicoli eseguivano quando qualcuno moriva. Ora, l’espletamento di questo compito riusciva almeno a distrarlo dai pensieri che lo assillavano.

Suo zio era stato un uomo eccezionalmente robusto, e trascinare il suo cadavere si rivelò una fatica immensa. Eric dovette fermarsi di tanto in tanto per riprendere fiato, ma finalmente arrivò alla porta, e fu lieto che, dopo tutto, lo zio Thomas non fosse morto più lontano da lì.

Nella parete accanto alla porta correva una conduttura di acqua potabile, segno che non molto lontano doveva esserci un tubo di scarico. Infatti i Titanici avevano l’abitudine di installare i due condotti pressoché nello stesso posto.

Eric localizzò quello dell’acqua potabile senza difficoltà, grazie al continuo, sommesso mormorio che proveniva da un punto sotto il pavimento. Dopo aver cercato un poco scoprì la lastra mobile tagliata a costo di immensa fatica da chissà quale generazione dell’Umanità. Dopo averla sollevata vide che vicino al tubo dell’acqua ne correva un altro, enorme, che aveva un giunto scoperto. Aprirlo fu più difficile che trovarlo. Eric aveva visto più d’una volta gli anziani compiere quell’operazione, ma non gli fu facile, da solo, esausto com’era, smuovere una pesante piastra di metallo prima verso destra, poi tirarla verso sinistra, infilare le dita sotto la sporgenza e sollevarla al momento opportuno.

Finalmente il giunto si aprì e una zaffata dell’incredibile puzzo delle fognature titaniche lo colpì, mentre l’acqua sporca correva turbinosa sotto di lui. Eric tolse allo zio tutti gli oggetti che potevano essergli utili, poi trascinò il cadavere verso la cavità, ve lo infilò a fatica, e lo lasciò quindi cadere nella corrente che subito lo trascinò via. Prima di richiudere il giunto, recitò quella parte del cerimoniale per i defunti che riusciva a ricordare, e terminò con l’invocazione: «O Antenati, vi supplico di accogliere il corpo di questo membro dell’Umanità, Thomas il Distruggitrappole, guerriero ineguagliabile, famoso capitano di banda, e padre di nove figli.»

Thomas era scomparso per sempre.

Eric chiuse il giunto, rimise a posto la piastra, e si drizzò in piedi.

Adesso era completamente solo. Dai suoi simili un Fuorilegge poteva aspettarsi soltanto una morte lenta per tortura. Non aveva compagni, né casa, né fede che lo sostenesse. Le ultime parole pronunciate dallo zio Thomas continuavano a riecheggiargli nel cervello: Volevo diventare il capo.

Era già abbastanza brutto scoprire che la religione nella quale era cresciuto era solo propaganda atta a conquistare il grado di condottiero, e che la misteriosa Società Femminile non era capace, come lui aveva invece creduto, di leggere nel futuro. Ma sapere che l’antagonismo di suo zio nei confronti di quelle sciocchezze si era basato unicamente sull’ambizione personale, un’ambizione priva di scrupoli, disposta a sacrificare tutto e tutti pur di essere soddisfatta… Bene, cosa poteva esserci di peggio? Cosa restava nella vita? In che cosa poteva ancora credere?

Suo padre e sua madre erano stati più ingenui del più ingenuo bambino dei cunicoli. Si erano sacrificati per che cosa? Per opporre una superstizione a un’altra, per le segrete manovre politiche di qualcuno che voleva contrastare qualcun altro.

Ma lui no. Lui era libero. Scoppiò in una risata piena di amarezza. Doveva essere libero. Non aveva scelta: era un Fuorilegge.

Eric si accorse di essere terribilmente stanco. Aveva commesso il Furto, e tornato a casa aveva avuto quell’orrenda sorpresa, era fuggito, aveva trascinato e sepolto suo zio… e non aveva mai dormito.

Si accoccolò accanto al muro e chiuse gli occhi. Ma dormì il sonno del guerriero, coi sensi all’erta e la mente parzialmente desta.

E, in quel dormiveglia, continuò a esaminare alternative, a formulare piani. Quando si rialzò, sbadigliando e stiracchiandosi, era giunto a una decisione.

Fatti pochi passi, si trovò davanti alla porta dei Titanici. Smuovere da solo, dall’interno, la pesante lastra incastrata fu un lavoro molto più faticoso di quando l’aveva spinta dall’esterno. Alla fine ci riuscì, e la depose piano piano per terra. Una volta uscito, non avrebbe potuto richiuderla, ma non aveva alternative, anche se lasciandola aperta sapeva di commettere un terribile delitto sociale. Ma ormai, che importanza poteva avere nella sua situazione?

Davanti a lui si stendeva l’enorme spazio del territorio titanico, illuminato dall’accecante luce bianca. Alle sue spalle c’era il dedalo dei corridoi oscuri, dove una volta aveva vissuto sicuro e felice. Ora non c’era più sicurezza né felicità, per lui, in nessun posto.

Con un sospiro, Eric promise a fior di labbro: «Crescerò presto, zio Thomas. Diventerò un uomo… devo farlo.»

Poi varcò la soglia ed entrò nel territorio dei Titanici.

PARTE SECONDA

11

La vecchia trappola che Thomas, come voleva il suo nome, aveva distrutto, smantellandola, tanto tempo prima, pendeva ancora inutilizzabile sulla parete opposta.

Ecco, di nuovo, quel candore abbagliante, quello spazio che faceva impazzire per la suavastità.

Eric voltò subito a destra e si mise a correre rasente il muro, contando i passi, seguendo lo stesso itinerario percorso in occasione del suo primo Furto. Ansimava per la paura, ma continuava a ripetere a se stesso che lì correva gli stessi rischi di qualsiasi altro essere umano che vi si fosse avventurato. Lì, tutti gli uomini erano fuorilegge, inseguiti spietatamente, condannati a morte. In territorio titanico, nessuno godeva di privilegi speciali.