Quando davanti a loro comparve l’apertura da cui entrava a fiotti l’abbondante luce titanica, Eric si fermò, in attesa di ordini. Non poteva nemmeno supporre che sarebbero usciti allo scoperto senza prendere le necessarie precauzioni. Invece, il primo uomo della fila uscì come se niente fosse. Ma aveva appena fatto un passo che si udì un rumore secco, come uno’scatto, e l’uomo gridò, poi fece un giro su se stesso e cadde.
Tutti si fermarono di colpo. Dopo un poco, il secondo della fila sporse cautamente la testa e guardò verso l’alto. Gli altri non gli levavano gli occhi di dosso. Finalmente l’uomo ritrasse la testa e comunicò: «Una trappola. Una sola, e Dan l’ha fatta scattare. Non ce ne sono altre in vista.»
Quanto era successo li aveva fatti ammutolire, e ripresero ad avanzare in silenzio. Una volta usciti allo scoperto, si raggrupparono intorno al compagno morto, sollevando di tanto in tanto la testa sulla trappola, ormai inoffensiva, che i Titanici avevano sistemato proprio sopra l’apertura.
«Ho già visto una trappola come questa, durante una spedizione comandata da tuo zio» disse Roy a Eric. «Per smantellarla, non basta infilarci una lancia. Non scatta. Bisogna infilarci un piede e ritirarlo subito. Ma subito, perché se no, addio piede!»
«Visto che sei pratico di trappole» intervenne Arthur che aveva sentito, «d’ora in avanti camminerai in testa alla fila.»
«Non ho detto di essere pratico di trappole» ribatté Roy. «Ne ho solo vista qualcuna. Non sono un Distruggitrappole, io, ma un Corridore. E per avvistarle credo che sia più utile Eric. Dopo tutto, lui è un Occhio.»
«Allora voi due marcerete all’avanguardia» decise Arthur. Poi, dopo avere dato disposizioni a un paio di uomini perché trascinassero il cadavere nello spiazzo dove erano rimasti i feriti, affinché si provvedesse al suo seppellimento, continuò: «Tornate subito. Vi aspettiamo qui.» Indicando la trappola: «È chiaro» disse agli altri, «che è stata sistemata da poco, perché ieri, quando siamo arrivati, non c’era. Evidentemente abbiamo fatto troppo rumore, attirando così l’attenzione dei Titanici. Ho constatato che mettono sempre delle trappole quando è in corso un’attività insolita da parte nostra. Che ne dite, ho ragione?»
«Che cervello!» commentò uno. «Ha una spiegazione per ogni cosa. Ma dove le prendi le idee, Arthur?»
«Che cervello!» sussurrò Roy a Eric. «Ci voleva proprio un organizzatore per dedurre che la trappola è stata installata durante la notte. Ma cosa vuoi aspettarti da gente che non sa nemmeno distinguere un Corridore da un Occhio?»
Arthur, intanto, continuava a parlare: «È dunque evidente che i Titanici si sono accorti del nostro andirivieni, ieri, e che, di conseguenza, dobbiamo stare molto, molto attenti. Quindi, secondo il mio parere, ecco cosa dobbiamo fare. Primo, un gruppo di esploratori deve procedere all’avanguardia del grosso della spedizione, e questi esploratori devono tenere occhi e orecchie bene aperti. Secondo, finché non saremo molto lontani di qui, dovremo camminare nel più assoluto silenzio. Terzo, prima di rimetterci in marcia dobbiamo guardarci attentamente attorno. Non è escluso che i Titanici ci stiano già osservando.»
Appena ebbe finito, tutti si guardarono in giro. Tutti, esclusi Roy ed Eric, che si scambiarono un’occhiata di disgusto. Infatti, dal momento in cui erano usciti allo scoperto, loro due non avevano fatto che guardarsi in giro per scoprire se ci fosse traccia di Titanici nei paraggi. Dopo che una trappola aveva fatto una vittima, quella era la prima cosa cui pensare, e solo degli stupidi Stranieri potevano dimenticarsene.
Ma, dopo un po’ che si erano rimessi in cammino, l’atteggiamento di Roy cambiò una volta ancora. «Dopo tutto» mormorò, come parlando fra sé, «questo è un grosso corpo di spedizione, ben più numeroso delle nostre bande, e ci vuole un Organizzatore per dirigerlo. Un comune capitano, come tuo zio, per esempio, non saprebbe neanche da che parte cominciare per tenerli uniti.»
Eric si mise a ridere. «Tenerli uniti è il meno. L’importante è fare in modo che restino vivi. Non credo che Arthur sia capace di tanto.»
Il Corridore si limitò a borbottare seccato. Eric non riusciva a capirlo: un momento disprezzava gli Stranieri, subito dopo si dimostrava tollerante e comprensivo nei loro confronti. Quando passarono davanti alla porta da cui il giorno prima Eric era uscito nel corso della sua fuga dai cunicoli, videro che la lastra non era stata ancora rimessa a posto. I due esploratori controllarono che non ci fossero trappole nelle vicinanze, poi, di comune accordo, senza bisogno di parlare, sollevarono la porta e l’incastrarono nell’incavo del muro. Infine si scambiarono un sorriso soddisfatto: si erano comportati come rispettabili guerrieri dell’Umanità.
Dopo trecento passi si fermarono, perché Arthur aveva detto che dovevano aspettare lì che arrivassero anche gli altri. In quel punto un mobile titanico, relativamente piccolo, era appoggiato alla parete. Alzando la testa e torcendo il collo, Eric riusciva a vederne la sommità, stranamente curva e da cui sporgevano oggetti simili a maniglie. I due guerrieri si fermarono al riparo del mobile, riposandosi finalmente, dopo avere segnalato a gesti al grosso, ancora lontano, che potevano avanzare senza paura.
Solo allora, Eric chiese a Roy spiegazioni sul suo ambiguo atteggiamento verso gli Stranieri.
«Spiegami un po’: il momento prima li disprezzi tutti quanti, e il momento dopo dichiari che Arthur sa il fatto suo?»
Dopo averci pensato, Roy rispose: «Lo dico perché, essendo il capo, Arthur non può sbagliare.»
«Andiamo! Non dire sciocchezze. Fin dove credi che potremo arrivare, se il nostro capo si comporta così da inesperto? Prima si dimentica di mettere le sentinelle, poi di mandare gli esploratori in avanscoperta, e lo fa solo quando uno de suoi uomini è stato ucciso da una trappola. Infine, non tiene in nessun conto la disciplina.»
«È il capo» insisté Roy, cocciuto. «Tuo zio, secondo te, era più bravo di lui, con tutta la sua abilità nel distruggere le trappole e la sua disciplina? D’accordo, ha commesso un unico sbaglio… Ma è stato sufficiente perché lui e la sua banda fossero distrutti. Arthur, invece, è vivo.»
«Lo è perché quando è successo il guaio lui si trovava al sicuro nel quartier generale della Scienza titanica.»
«Il motivo non interessa, Eric. Interessa invece che sia ancora vivo. E poi, questa banda è tutto quello che ci resta. Non abbiamo più né parenti, né amici, ricordatelo. Quindi dobbiamo fare del nostro meglio per adattarci e dimostrare che sappiamo andare d’accordo con gli Stranieri.»
Eric non rispose. Pensava al passato, quando le orgogliose bande dei guerrieri dell’Umanità venivano in quello stesso luogo a compiere le loro scorrerie. Allora, lui e Roy erano fieri di appartenere all’Umanità. Adesso dovevano imparare a essere fieri di diventare Stranieri? E Stranieri fuggitivi, per di più, senza donne a consigliarli e a guidarli, a dire loro cos’era bene e cosa male!
No, lui non la vedeva così, e lo disse: «Caro mio, non ho intenzione di farmi ammazzare per uno Straniero e per i suoi progetti.»
«Sempre il solito!» esclamò Roy. «Ribelle, piantagrane, individualista. Io, invece ho cercato di andare sempre d’accordo con tutti. Perché credi che abbia aderito alla Scienza titanica? Perché così aveva fatto tutta la mia banda. Se gli altri avessero aderito alla Scienza ancestrale, avrei fatto così anch’io, e adesso sarei dalla parte del capo e di tutti gli altri reazionari. Io vado sempre d’accordo con la maggioranza, perché così mi sento sempre molto più protetto e sicuro.»
A questo punto sopraggiunse Arthur col resto della spedizione, e il colloquio finì lì. Arthur ordinò ai due esploratori di riprendere la marcia, indicando il punto fin dove dovevano arrivare.