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Ma il ferito non rispose.

«Mia nonna apparteneva alla Gente di Aaron, almeno così mi hanno detto. Era Deborah la Cantatrice. L’hai mai sentita nominare?»

«Oh, ti prego, vai via!» mormorò Jonathan Danielson. «Sono moribondo, e ho il diritto di morire in pace, senza dovere sprecare il poco fiato che mi resta a discutere con un selvaggio ignorante come te.»

Eric lo guardò dubbioso, fu lì lì per rivolgergli altre domande, poi ci ripensò, si alzò e andò via, sconsolato e perplesso.

Poco dopo, incontrò Walter, e gli chiese: «Senti, Armaiolo, conosci nessuno che si intenda di protoplasma?»

«Cosa?»

«Protoplasma. Affinità e incompatibilità protoplasmatica. Saprai pure cos’è il protoplasma, no?»

«No che non lo so. Non ho mai sentito nominare quella roba.»

«Beh, non importa» disse Eric che cominciava a sentirsi meglio. Dopo tutto, se lui era un selvaggio, lo erano anche gli altri Stranieri!

La mattina dopo, il Titanico li rifornì di cibo e acqua, e poi ricomparve con la solita corda verde. Stavolta, la sua comparsa suscitò il panico fra i prigionieri, che si misero a correre urlando qua e là nella gabbia cercando di sfuggire alla corda.

Il Titanico, però, aveva molta pazienza, e manovrando abilmente la corda riuscì a isolare un uomo e a catturarlo. Quando il disgraziato fu scomparso oltre l’orlo della gabbia, molti dei suoi compagni caddero in ginocchio, invocando gli antenati e piangendo. Eric si fece forza e andò nell’angolo da cui vedeva il tavolo bianco.

Per fortuna, il secondo prigioniero morì in fretta. Non ci fu vivisezione, ma solo la prova di una trappola. Uno scatto, e tutto fu finito. Poi, come il giorno prima, il Titanico ripulì la superficie candida con un getto d’acqua, mandando il cadavere verso il foro che lo risucchiò immediatamente.

Eric venne distolto dalle sue amare meditazioni da Roy: Jonathan Danielson era morto.

«Qualcuno l’ha calpestato nel fuggi-fuggi generale, prima che il Titanico catturasse quell’altro disgraziato» spiegò Roy. «E lui, poveretto, era troppo debole per muoversi.»

Esaminarono insieme i pochi effetti personali del morto. Gli oggetti contenuti nelle numerose tasche della tunica erano tutti strani e sconosciuti, salvo uno, una specie di punta di lancia lunga e aguzza, che rientrava in un astuccio, e che qualcuno dichiarò di riconoscere: «Lo chiamano coltello a serramanico» spiegò. Eric si appropriò dell’oggetto. Intanto Arthur l’Organizzatore aveva spogliato il morto e gli aveva coperto la faccia con la tunica.

«Se, come pare, apparteneva alla Gente di Aaron» disse, «e credo che così fosse, perché così si vestono gli Aaron, è giusto rispettare la loro usanza di coprire la faccia dei morti. Li seppelliscono in quel modo.»

Ma come potevano seppellirlo, se il foro che si apriva in un angolo della gabbia era troppo stretto? Avevano già deciso di formare una piramide umana e di issare il cadavere fino all’orlo della gabbia, per poi scaraventarlo giù dall’altra parte, quando i Titanici risolsero il problema per loro. Una corda verde calò nella gabbia, afferrò il corpo di Jonathan Danielson, lo sollevò rapidamente e lo portò via: Eric seguì la corda con lo sguardo e vide che depositava il cadavere sulla superficie bianca. Poco dopo, Danielson scompariva nel foro circolare, spinto da un getto d’acqua.

Poi, inaspettatamente, il Titanico tornò alla gabbia, calò di nuovo la corda e afferrò Eric!

17

Tutto si svolse così in fretta, in modo così inaspettato, che Eric non ebbe il tempo di pensare a correre dall’altra parte della gabbia o a dibattersi per evitare la cattura. Solo un debole grido, più di sorpresa che di protesta, gli sfuggì mentre veniva sollevato: vide le facce alzate dei suoi compagni allontanarsi vertiginosamente, finché diventarono minuscoli punti bianchi.

Poi si sentì trasportare attraverso una vastità immensa, dondolando appeso alla corda del Titanico. Cosa gli sarebbe successo? Riusciva a malapena a connettere, tanto la sua mente era devastata dal terrore. Vivisezione? No, forse no, se era vero quello che aveva detto Jonathan Danielson, e cioè che solo un individuo di ogni gruppo catturato veniva sottoposto a vivisezione. Forse lo aspettava la prova di chissà quale nuova mostruosa trappola.

…un laboratorio dove provano tutti i generi di ominicidi: spray, bocconi avvelenati, trappole, tutto…

Quale prova lo aspettava? In un certo senso, poteva dirsi fortunato: sapeva, grosso modo, che avrebbero sperimentato su di lui qualche strumento di morte. Non sarebbe stato un docile animale di laboratorio. Se non altro, almeno questo… Avrebbe lottato con tutte le sue forze, il più a lungo possibile. Ma in che modo?

Aveva con sé delle punte di lancia, ma a che cosa potevano servire, contro la mole enorme dei Titanici? Gli occorreva qualcosa di nuovo, d’insolito, come la gelatina rossa che gli aveva dato Walter l’Armaiolo, e che aveva staccato di netto la testa a Stephen Fortebraccio. La gelatina rossa! Ne aveva ancora? Era un’arma che Walter aveva rubato ai Titanici, e lui adesso avrebbe potuto benissimo usarla contro uno di loro.

Allungò la mano destra dietro le spalle e frugò nella bisaccia finché le dita non toccarono la massa gelatinosa. Quanta ce ne sarebbe voluta? Per liquidare Stephen ne era bastato un pezzettino, ma data la mole di un Titanico era meglio adoperarla tutta.

Soppesando fra le mani la sfera di sostanza gelatinosa, Eric aspettava l’occasione propizia. Non sarebbe stata un’impresa facile. Doveva bagnare di saliva la sostanza e lanciarla immediatamente; perciò doveva anche calcolare le oscillazioni della corda a cui era sospeso.

Se avesse eseguito il lancio quando l’oscillazione l’avesse portato alla massima distanza dal mostro, sarebbe stato più difficile colpirlo e d’altra parte se non voleva finire a pezzi, doveva liberarsi della sostanza appena l’avesse bagnata. Attenzione, dunque: doveva tenersi pronto ad agire nel momento in cui l’oscillazione della corda l’avrebbe portato più vicino al mostro. Sapeva che, se l’avesse ucciso, lui sarebbe caduto a terra da un’altezza vertiginosa. Ma prima sarebbe morto il nemico. Un uomo almeno sarebbe riuscito a compiere quello che tutti avevano sempre sognato: rendere la pariglia ai Titanici!

Si augurò che i suoi compagni, dalla gabbia in cui erano chiusi, continuassero a guardarlo. Avrebbero visto, allora, di cosa era capace!

Intanto, il Titanico era arrivato al tavolo bianco degli esperimenti, ma l’aveva anche superato. Dove lo portava?

Non aveva importanza. Una sola cosa contava: uccidere il Titanico, e poi morire. Si sarebbe presentato davanti agli antenati con un trofeo ineguagliabile. Ecco, la testa immonda si avvicinava. Era giunto il momento. Eric si portò la palla alla bocca e la bagnò di saliva. Poi, quando l’oscillazione della fune lo portò quasi davanti alla testa del Titanico, scagliò la palla. Aveva mirato giusto. Gli antenati avevano guidato la sua mano.

Ma, mentre l’oscillazione stava di nuovo allontanandolo, Eric si accorse che stava succedendo qualcosa di strano, di imprevisto. Il Titanico aveva notato la palla rossa, e aveva abbassato la testa, spalancando la bocca per afferrarla! La inghiottiva! Il Titanico aveva ingoiato l’arma!

L’ultima cosa che Eric riuscì a vedere fu l’increspatura del lungo collo, mentre il mostro inghiottiva il boccone. E quegli orribili occhietti… Non c’era dubbio: avevano un’espressione di gioia!

Poi l’oscillazione lo costrinse a voltare la schiena al Titanico. Invano Eric attese il rimbombo dell’esplosione che avrebbe lacerato i visceri dell’immonda creatura. Udì, è vero, un rumore, alle sue spalle, ma non era un’esplosione, solo uno schiocco sordo. Tuttavia, Eric sentì rinascere la speranza. La corda a cui era sospeso oscillò forte. Con uno sforzo, Eric riuscì a ruotare su se stesso, e guardò: sul collo del Titanico si formavano lunghe increspature e a ognuna di esse corrispondeva quello schiocco che aveva già sentito… Non era tosse, no… ecco: era, ingigantito, il rumore che fa un uomo schioccando le labbra quando mangia qualcosa che gli piace in modo particolare! E gli occhi… gli occhi avevano addirittura un’espressione estatica.