Bel successo davvero! Altro che Eric Uccisore di Titanici, pensò con amarezza.
Ma come mai l’arma non aveva funzionato? Ragionandoci su, giunse alla conclusione che probabilmente non era un’arma, almeno per i Titanici. Walter, che l’aveva trovata, aveva scoperto che serviva a uccidere gli uomini, e per questo aveva creduto che fosse un’arma. Ma per i Titanici era tutt’altra cosa: un cibo, un condimento, forse addirittura una droga oppure un afrodisiaco. Mescolata con saliva umana produceva degli effetti del tutto impensati, ma non certo pericolosi per i Titanici.
Eric si consolò dell’umiliazione subita pensando che, se non altro, quello che gli era successo era una lezione salutare. Nei progetti di distruzione dei Titanici, d’ora in avanti, bisognava tenere conto del fatto che non tutto quello che era dannoso all’uomo era dannoso anche per loro. E, logicamente, poteva essere vero anche il contrario. Quest’idea lo eccitò, ma non ebbe assolutamente il tempo di elaborarla, perché il suo catturatore era arrivato a destinazione; non solo, ma, per il momento, lui era prigioniero, e come armi aveva soltanto un paio di piccole punte di lancia.
La corda verde, a cui era attaccato, cominciò a calare. Eric guardò verso il basso, ma prima aveva impugnato le due punte di lancia, pensando di servirsene per tagliare le corde con cui il Titanico lo avrebbe legato al tavolo di sezione, a meno che la fortuna non lo assistesse facendogli avvicinare la testa del mostro in modo da riuscire a colpirla… Ma non c’era un tavolo bianco sotto di lui. C’era semplicemente un’altra gabbia.
Eric sospirò di sollievo. Stava per riporre le punte di lancia nella bisaccia, ma in quel momento la corda si staccò da lui, e i suoi piedi toccarono il pavimento della gabbia. Eric si guardò intorno.
Le lance gli salvarono la vita quando la ragazza nuda gli si avventò addosso.
PARTE TERZA
18
Sulle prime gli era sembrato che la gabbia fosse vuota, ma quando si voltò e vide qualcosa che si muoveva verso di lui dall’angolo opposto, atteggiò le labbra a sorriso. Aveva un compagno di sventura, e il non essere solo era già di per sé un sollievo. Però il sorriso gli si gelò sulle labbra, quando vide che l’essere era una donna: una donna nuda, con una gran massa di capelli castani che le scendevano fino alla vita in una cascata di riccioli. E l’espressione della ragazza era tutt’altro che amichevole. Come se non bastasse, stava arrivando di corsa e brandiva una punta di lancia grossa e acuminata.
Eric parò il colpo con gesto meccanico. La ragazza indietreggiò sorpresa, ma si riprese immediatamente e ripartì alla carica. Questa volta, la punta aguzza sfiorò la gola di Eric. Ma i riflessi pronti e il lungo addestramento lo salvarono ancora una volta. Riavutosi dallo sbalordimento iniziale, nel suo cervello si affollava una ridda di domande: chi era quella ragazza? come mai era armata? com’era possibile che una donna combattesse come un guerriero? e perché lo assaliva con tanta determinata ferocia?
Era chiaro che voleva ucciderlo e che non aveva nessuna intenzione di cedere prima di avere raggiunto lo scopo. Aveva gli occhi socchiusi, le labbra serrate, un’espressione decisa, e vibrava l’arma pronta a gettarsi su di lui, a colpirlo in un punto scoperto.
Come poteva farla smettere? Non poteva contrattaccare. Non aveva la minima intenzione di ferirla o ucciderla, anche se gli sarebbe stato facilissimo riuscirci. Ma era una donna, e in lui erano ancora troppo radicate le antiche tradizioni secondo cui una donna in età da generare era sacra e intoccabile. Un guerriero che avesse toccato con un’arma una donna sarebbe stato dichiarato Fuorilegge, anche se fosse stato il capo. Perciò Eric si limitava a difendersi alla meglio. Erano tutti e due sudati e ansimanti, e per un pelo la lancia della ragazza non lo ferì a un occhio.
«C’è mancato poco!» mormorò Eric.
La ragazza si fermò di botto, fissandolo con gli occhi sbarrati.
«Cos’hai detto!» ansimò. «Tu hai detto qualche cosa…»
Eric la fissò a sua volta, chiedendosi sé per caso non fosse pazza. Forse lui poteva approfittare di un momento di distrazione per cercare di disarmarla. Per prendere tempo, ma senza perdere d’occhio la lancia, rispose: «Sì, ho parlato. E allora?»
Lei abbassò il braccio e arretrò di qualche passo. «Ma, allora, sai parlare.»
«Ci mancherebbe altro» disse Eric, seccato. «Per cosa mi prendi, per un Selvaggio?»
Per tutta risposta, la ragazza lasciò andare la lancia, cadde a terra in ginocchio, abbassò la testa, e scoppiò a piangere.
Eric si affrettò a raccogliere la lancia e la scagliò lontano, insieme alle sue. Poi si avvicinò alla ragazza che continuava a piangere, scossa da singhiozzi convulsi. La osservò perplesso, anche perché sapeva che quelli erano singhiozzi di sollievo, non di dolore o di paura.
Decise di aspettare. Adesso che era disarmata, lui non aveva più niente da temere e poteva permettersi il lusso di essere paziente. Si augurò, tuttavia, che smettesse presto di piangere e che non fosse pazza come l’aveva giudicata. Non era una bella prospettiva l’idea di vivere chiuso in gabbia con una matta.
Finalmente lei rialzò la testa, asciugandosi la faccia con un braccio. Poi si distese, con le mani intrecciate dietro la nuca e rivolse ad Eric un sorriso invitante. Il giovane si sentì più confuso che mai.
«Sai che era proprio quello che credevo?» furono le prime parole della ragazza.
«Cosa credevi?»
«Che tu fossi un Selvaggio!»
«Io?» disse Eric, più sorpreso che mai.
«Sì, proprio tu. E non ero la sola a crederlo.»
Eric tornò a guardarsi intorno, ma oltre a loro due nella gabbia non c’era nessuno. Indubbiamente la ragazza era proprio matta.
Ma lei, che aveva seguito la direzione del suo sguardo, si mise a ridere e disse: «No, non parlo di altri uomini. Alludo a lui, a quello che ti ha portato qui» e alzò l’indice verso l’alto.
Eric alzò gli occhi e vide che il Titanico che l’aveva trasportato fin lì teneva la testa china sopra la gabbia e li guardava, con gli occhi purpurei fissi e i tentacoli rosa immobili.
«Ma perché… perché doveva credere che fossi un Selvaggio? E tu…»
Eric si sentiva profondamente offeso. Essere scambiato per gli abominevoli mitici Selvaggi, era proprio il colmo! Le storie di orde d’esseri semiumani caduti così in basso nella scala evolutiva da non sapere più nemmeno parlare, pelosi, feroci, dediti alle stragi e al cannibalismo, servivano a spaventare e a tenere buoni i bambini nei cunicoli. Ma sebbene tutti parlassero di loro con paura e orrore, nessuno, nemmeno i più vecchi guerrieri, li aveva mai incontrati, e i Selvaggi erano diventati creature da leggenda. Si diceva che vivessero in un mondo lontano, chiamato «Esterno», in realtà, di loro si sapeva ben poco. Servivano come minaccia e spauracchio, e quando un guerriero aveva commesso un’azione particolarmente vergognosa, l’insulto peggiore che gli si poteva rivolgere era quello di chiamarlo Selvaggio. E adesso, quella ragazza… Con quale diritto gli parlava così?
«In primo luogo» proseguì la ragazza, «ho creduto che tu fossi un Selvaggio perché così credeva anche lui» e tornò a indicare il Titanico. «Ne ha già portati qui dentro due, prima di te, uno per volta e per fortuna sono riuscita a ucciderli subito, prima che si riavessero dalla sorpresa e potessero passare al contrattacco.»
«Ma allora… i Selvaggi esistono davvero?»