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Circondò col braccio le spalle del nipote, e insieme si avviarono verso il fondo del cunicolo dove li aspettavano gli altri membri della banda.

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La tribù si era raccolta nel cunicolo centrale, che era anche il più grande di tutti ed era rischiarato da lampade appese al soffitto, che potevano essere usate solo in quel luogo. All’infuon delle sentinelle che sorvegliavano gli sbocchi dei corridoi, verso l’esterno, tutta l’Umanità, 128 persone, era radunata lì: uno spettacolo davvero impressionante.

Sul monticello a cui avevano conferito il nome di Tumulo Reale stava pigramente adagiato Franklin, il Padre di Molti Ladri. Condottiero di tutta l’Umanità. Lui solo, fra tutti i guerrieri, ostentava un po’ di pancetta e un paio di braccia flaccide, perché lui solo godeva del privilegio di una vita sedentaria. Pareva quasi femmineo, accanto ai nerboruti capibanda che gli stavano intorno, eppure uno dei suoi molti titoli era: L’Uomo.

Sì, L’Uomo dell’Umanità era Franklin, il Padre di Molti Ladri, al quale andavano il rispetto e l’ubbidienza incondizionata di tutti gli appartenenti alle tribù; lo si capiva dall’atteggiamento rispettoso dei guerrieri, dall’interesse con cui lo guardavano le donne, raggruppate nei ranghi della Società Femminile, dal disprezzo con cui Ottilie, la Prima Moglie del Condottiero, ricambiava quell’interesse, e infine lo si capiva guardando le facce di molti dei bambini che se ne stavano in disparte, formando un piccolo gruppo indisciplinato; moltissimi di loro assomigliavano inequivocabilmente a Franklin.

Il Condottiero batté tre volte le mani, e disse: «In nome dei nostri antenati e della Scienza con la quale un tempo essi dominarono la Terra, dichiaro aperto il Consiglio. Chi ha voluto che questo consiglio fosse convocato?»

«Io» rispose Thomas il Distruggitrappole, staccandosi dalla sua banda e andandosi a mettere davanti al capo.

Franklin annuì, e pose la seconda domanda di rito. «Per quale motivo?»

«Quale capobanda, richiamo l’attenzione su un candidato alla virilità. Un membro della mia banda, che ha portato la lancia per il tempo richiesto ed è stato accettato quale apprendista nella Società Maschile, Mio Nipote, Eric l’Unico.»

Sentendo pronunciare il suo nome, Eric andò a mettersi accanto a suo zio, davanti al capo. Era giunto il momento più importante della sua vita, quello da cui dipendeva tutto il suo avvenire. L’attenzione dell’Umanità intera era puntata su di lui.

«Eric l’Unico» fu la prima domanda che gli rivolse il capo, «hai intenzione di diventare un vero uomo?»

Eric trasse un profondo sospiro e rispose: «Sì.»

«E che cosa farai per diventarlo?»

«Ruberò tutto quello di cui l’Umanità può avere bisogno. Difenderò l’Umanità contro tutti gli stranieri.»

«Giuri?»

«Giuro.»

«Come suo mallevadore» disse il capo rivolgendosi allo zio del ragazzo, «garantisci che manterrà il giuramento?»

Con una sfumatura appena percettibile di sarcasmo, Thomas rispose: «Sì, garantisco che manterrà il giuramento.»

Allora il Condottiero girò la testa e guardò verso il gruppo delle donne: «È stato accettato dagli uomini» disse. «Ora le donne devono chiedergli una prova, poiché solo superando una prova proposta dalle donne potrà conseguire appieno la virilità.»

La prima parte era finita, e non era stata poi né brutta né difficile. Eric si volse verso il gruppo delle comandanti la Società Femminile, al cui centro stava Ottilie, la Prima Moglie del Condottiero. Adesso toccava alle donne. Stava arrivando il peggio.

Eric sapeva che non sarebbe stato facile superare la prova. Aveva sperato che almeno una delle mogli di suo zio facesse parte del gruppo delle esaminatrici: le due donne, infatti, erano d’indole gentile e lo avevano sempre trattato come un figlio, dopo che era rimasto orfano. Ma invece erano state designate a esaminarlo tre megere dalla faccia arcigna, che sicuramente l’avrebbero fatto penare prima di dargli il loro sospirato beneplacito.

La prima a intervenire fu Sarah la Guaritrice. Piantandoglisi davanti a gambe larghe, con le mani sui fianchi, in atteggiamento bellicoso, proclamò in tono sprezzante: «Eric l’Unico» e si soffermò come se quel nome le sembrasse incredibile. «Eric, unico figlio di tua madre e di tuo padre. I tuoi genitori sono riusciti solo a mettere al mondo un unico figlio. Basta questo per fare di te un uomo?»

Eric si sentì avvampare, mentre un risolino sprezzante si levava dalla folla. Se fosse stato un uomo a rivolgergli quelle frasi ingiuriose, gli si sarebbe scagliato contro. Ma Sarah era una donna… e inoltre lui sapeva che uno degli scopi di quell’esibizione era di scoprire se lui possedeva sufficiente autocontrollo.

«Credo di sì» rispose dopo una lunga pausa. «E sono disposto a provarlo.»

«E provalo, allora!» lo beffeggiò la donna. Sollevò la mano destra e lo colpì con un lungo spillone aguzzo. Eric irrigidì i muscoli, mentre lo spillone gli si conficcava nel torace. Poi, guidato dalla mano esperta di Sarah lo spillone frugò nelle sue carni fino a trovare un ganglio nervoso, ed Eric strinse i denti per non urlare, irrigidendosi.

Sarah arretrò di un passo: «Non vedo ancora un uomo» disse, squadrandolo. «Però, forse c’è il principio di un uomo.»

Finalmente Eric poteva rilassarsi. La prova fisica era conclusa.

«Ti ha fatto molto male?» gli chiese Rita la Raccoglitrice dì Ricordi, con un sorriso compassionevole sulla faccia grinzosa di quarantenne. Eric sapeva che era un sorriso falso, perché una donna così vecchia non poteva più provare compassione per nessuno: aveva troppi dolori e grattacapi per suo conto per preoccuparsi anche dei guai altrui.

«Un pochino» rispose. «Non molto.»

«I Titanici ti faranno molto più male, se ti acciufferanno quando andrai a derubarli, lo sai? Ti faranno molto più male di quanto potremmo mai fartene noi.»

«Lo so. Ma la necessità di rubare è superiore al rischio che devo correre. Rubare è la più importante impresa che un uomo possa compiere.»

Rita assentì. «È vero, perché tu ruberai cose necessarie alla sopravvivenza dell’Umanità. Ruberai cose che la Società Femminile convertirà in cibo, abiti e armi per l’Umanità, affinché l’Umanità possa continuare a vivere e a fiorire.»

Lui capì che voleva farlo cadere in un tranello e si affrettò a rispondere: «No. Non è per questo che noi rubiamo. È vero, viviamo del provento dei nostri furti, ma non rubiamo solo per poter sopravvivere.»

«E perché, allora?» chiese la donna, come se tutti i membri della tribù, e lei prima degli altri, non conoscessero già la risposta. «Perché rubiamo? Che cosa è più importante della nostra sopravvivenza?»

Ecco, era venuto il momento di recitare il catechismo.

«Per rendere la pariglia ai Titanici. Per scacciarli dal pianeta, se ci riusciremo. Per riconquistare la Terra all’Umanità, se ci riusciremo. Ma, soprattutto, per rendere la pariglia ai Titanici…»

Continuò a snocciolare la lunga tiritera del rituale, facendo una pausa al termine di ciascuna parte, affinché Rita la Raccoglitrice di Ricordi avesse modo di porgli la domanda appropriata, prima che lui desse inizio alla sequenza successiva.

Una volta, lei cercò di prenderlo in trappola, invertendo l’ordine della quinta e della sesta domanda. Invece di: “Che cosa faremo dei Titanici quando avremo riconquistato la Terra?” chiese: «Perché non possiamo ricorrere alla Scienza titanica per combattere i Titanici?»

Trascinato dalla lunga abitudine, Eric prese a recitare la risposta che cominciava: «Li terremo come i nostri antenati tenevano gli animali esotici, in un posto chiamato zoo, oppure li spingeremo a forza nei nostri cunicoli costringendoli a vivere come siamo costretti a vivere noi…» ma a questo punto si accorse di avere sbagliato risposta e s’interruppe, confuso.