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«Mi hai parlato del punto di vista religioso» le disse Eric. «Però dicevi che ce ne sono altri.»

«Esatto» confermò Rachel. «Prendiamo, adesso, quello etico, che deriva da un senso di colpa, nascosto ma giustificato.»

«Giustificato? E che specie di colpa?»

«Come dicevo prima, nelle credenze religiose c’è sempre una base reale. L’uomo fu per molto tempo il signore del Creato, Eric, e per tutto quel tempo nutrì un senso di colpa. Lo si capisce dalle religioni e dalla letteratura… In tutte le opere serpeggia questo senso di colpa. Se togli la parte leggendaria e guardi le cose nella loro cruda realtà, non puoi non ammettere che quella sensazione non fosse giustificata. L’uomo che ha fatto schiavi i suoi simili, li ha torturati e umiliati. Ha distrutto le civiltà di altri popoli, ha demolito i loro templi e le loro scuole per sostituirli coi suoi. E anche nei rapporti privati, le cose non andavano meglio: c’erano donne che facevano soffrire uomini, e uomini che facevano soffrire donne, sia materialmente sia moralmente. Genitori che maltrattavano i figli e viceversa. E l’uomo si comportava così coi suoi simili, bada. Ed era definito Homo sapiens. Come si sarà comportato con razze simili, ma non identiche alla sua, più deboli e meno intelligenti? Sappiamo cosa fece all’uomo di Neanderthal. Quanti altri ne giacciono nelle tombe sconosciute della civiltà antropologica?»

«Ma l’uomo è un animale, Rachel! Ha il dovere di sopravvivere.»

«L’uomo è qualcosa di più di un animale» disse lei. «Il suo dovere è qualcosa di più della semplice sopravvivenza. Se un animale si nutre di un altro animale, e in questo modo ne distrugge la specie, il suo comportamento rimane nel campo della biologia. Ma se un uomo fa la stessa cosa, in senso metaforico, per brama di potere o per capriccio, sa di commettere un delitto. Non importa se ha ragione o torto di pensarla a questo modo, l’importante è che sa di commettere un delitto. E questa constatazione non può essere accantonata con un’alzata di spalle e giustificata con l’evoluzione.»

Eric si staccò dalla parete e si mise a camminare avanti e indietro, aprendo e chiudendo i pugni.

Infine si fermò e disse: «D’accordo. L’uomo ha ucciso i suoi fratelli nel corso di tutta la sua storia, e le specie affini durante la preistoria. E allora?»

«E allora, esaminiamo ancora più a fondo questo elenco di delitti. Cosa ne dici delle altre specie, delle razze cugine, chiamiamole così? Ti ho parlato degli animali addomesticati dall’uomo: il bue, l’asino, il cavallo, il gatto, il cane, il maiale. Sai che cosa sottintende la parola addomesticare? Castrazione, tanto per dirne una. Ibridizzazione, tanto per dirne un’altra. Vuol dire sottrarre alla madre il latte dei suoi piccoli. Vuol dire scuoiare, scarnificare, e tutto secondo un piano prestabilito di progresso economico. Addestrare gli animali a uccidere i propri simili, cambiarne la forma, per capriccio, come è avvenuto dei cani. Renderli sterili perché la carne fosse più gustosa, com’è avvenuto dei buoi e dei polli, tanto per fare un esempio. Spogliarli della loro personalità, aizzarli, drogarli, per puro divertimento, com’è stato fatto per i cavalli e i tori… Non ridere, Eric. Tu pensi ancora al diritto di sopravvivenza dell’uomo, mentre io sto parlando del suo senso morale, radicato in lui fin dai tempi più remoti. L’uomo ha commesso tutti i delitti che ho elencato prima, e altri ancora, per millenni e millenni e, contemporaneamente discuteva i problemi del bene e del male, della giustizia e dell’ingiustizia, della bontà e della cattiveria. E tutte le giustificazioni che riuscì a trovare per spiegare il proprio operato, come la scienza, la filosofia, la politica, non sono mai servite a cancellare dalla sua coscienza un radicato senso di colpa. Se la sua coscienza fosse stata davvero tranquilla, non credi che non si sarebbe neppure posto quei problemi? E non senti che l’uomo ha accumulato un enorme debito nei confronti dell’Universo in cui vive, e che il conto potrà venirgli presentato, prima o poi, da altre razze, più forti, più intelligenti, e diverse? E che quelle razze si comporteranno con l’uomo nello stesso modo in cui egli si è comportato con i suoi fratelli e con gli animali, da quando è comparso su questo pianeta? E se ti pare giustificato quello che l’uomo fece quando aveva il potere nelle sue mani, allora non è giustificato anche quello che ora sta subendo?»

Rachel tacque, spossata. Eric guardò il suo seno che si alzava e si abbassava nell’ansito del respiro, e poi seguì la direzione del suo sguardo. Ancora una volta si trovò a fissare le file e file di gabbie trasparenti piene di esseri umani, sopra, a lato, sotto di loro: un’infinità di gabbie, a perdita d’occhio nell’accecante luce bianca.

21

Eric continuò a imparare, e fra le altre cose, imparò anche l’amore. E poi imparò quello che c’era da sapere sulla Gente di Aaron.

Trovò l’amore molto bello, dolce, soddisfacente, anche se alcune delicate sfaccettature di questo sentimento gli riuscivano ancora incomprensibili.

Si meravigliava che Rachel Figlia-di-Ester, al confronto della quale lui era poco più di un barbaro ignorante, a mano a mano che i giorni passavano lasciasse sempre più a lui le decisioni su tutti gli argomenti, e per di più si dimostrava felice di farlo e dimostrava nei suoi riguardi l’ammirazione più incondizionata. Pareva che, dopo avere espresso un’unica decisione, quella di darsi a lui, ora considerasse lui superiore in tutto, più abile e più capace. Com’era diversa dalle donne della Società Femminile, così arroganti e presuntuose! E così Rachel era una vera miniera di informazioni; e ne sapeva molto di più di Ottilie o di Rita. Non finiva mai di sorprenderlo, come il giorno che gli aveva detto, lasciandolo a bocca aperta, che i cunicoli nei quali era nato e vissuto non erano altro che gallerie scavate nel materiale isolante con cui i Titanici proteggevano le loro abitazioni dai rigori del clima.

E inoltre, più la osservava, più si accorgeva che Rachel era molto più aggraziata e femminile delle donne dell’Umanità. Aveva una carnagione delicata, i capelli morbidi, le mani piccole con le unghie rosse. A volte si sentiva un vero Selvaggio, nei suoi confronti.

«Se riuscissimo a tornare nei cunicoli» le chiese un giorno, «come credi che mi accoglierebbe la tua gente?»

Rachel gli si accostò e gli accarezzò i capelli. «Perché ti preoccupi, caro? Ti accoglieranno bene, sta’ sicuro. Se non altro perché io sono una scienziata di valore e non vorranno perdermi. E se non volessero te, mi rifiuterei di tornare fra loro. No, non possono rinunciare a me, specie ora, con i progetti contro i Titanici e la mia specialità in materia.»

«Ogni tanto alludi a questi progetti, Rachel» disse lui, prendendola fra le braccia, «ma non mi hai ancora spiegato niente. Non riesco a immaginare come si possa rendere la pariglia ai Titanici in un modo diverso da quelli sognati finora…»

Lei si sciolse bruscamente dall’abbraccio e lo guardò seria.

«Eric, ti ho già detto che non posso parlare» disse. «Nemmeno con te. Non tormentarmi con le domande. È un segreto che coinvolge il futuro del mio popolo. Quando tu sarai dei nostri, lo saprai, e farai parte del Piano.»

«D’accordo, d’accordo» disse Eric, conciliante. «Scusami, e non parliamone più.» Aspettò che lei tornasse a stringersi a lui, ma Rachel non si mosse.

«Vuoi sapere come ti accoglierebbe la mia gente» disse. «Ma prima dobbiamo tornare nei cunicoli. Come?»

«Vuoi dire in che modo possiamo cercare di scappare da qui?»

«Sì, da questa gabbia.»

«Non ho ancora formulato un piano preciso, ma ho qualche idea. E una mi pare buona. Ma bisogna pensarci bene.»

«E allora pensaci, caro» fu la risposta di Rachel. «Però, cerca di fare presto, perché il tempo stringe.»