Si guardarono a lungo, poi lui la prese fra le braccia.
«Non volevo dirtelo» sussurrò lei. «Pensavo… non ne ero certa… Ma adesso sono sicura.»
«Sei incinta?»
Rachel annuì, poi gli prese la faccia fra le mani e lo baciò dolcemente. «Ascolta, caro» mormorò con la guancia appoggiata a quella di lui. «Qualsiasi piano di fuga richiede un certo sforzo fisico. E fra non molto tempo la piccola Rachel sarà molto meno snella e agile di adesso. Non le riuscirà facile arrampicarsi, e se ci sarà da correre andrà molto adagio. Quindi, se dobbiamo agire, è meglio non perdere molto tempo.»
Eric la tenne stretta. «Quei maledetti Titanici!» imprecò. «Il loro maledetto laboratorio! I loro maledetti esperimenti! Non si impadroniranno di mio figlio.»
«Potrebbe essere più di uno» gli fece notare Rachel. «Anche se tu sei stato un singolo, non è detto che io non abbia un parto multiplo.»
«E allora sarebbe assolutamente impossibile fuggire» disse Eric, che aveva riacquistato la calma. «Hai ragione. Bisogna andarcene di qui prima del parto. Molto prima.»
Rachel si staccò dall’abbraccio e quasi parlando solo per sé, disse: «È vero. Una cosa era salvare la vita dando ai Titanici quello che volevano: una coppia da riproduzione. Ma dare loro anche il risultato della riproduzione…»
«Taci, Rachel! Non siamo ancora arrivati a questo. E, soprattutto, non dobbiamo perdere la testa.» Si sentiva un altro ora. Più coraggioso, pronto a tutto. Era davvero un uomo, un guerriero, e l’avrebbe dimostrato. Prese Rachel per mano e la fece sedere accanto a sé. «D’ora in poi» continuò, «dobbiamo sospendere le lezioni e pensare solo al modo di fuggire. Dimmi piuttosto…» E cominciò una serie di domande, dalle cui risposte sperava di ricavare dei dati utili.
«Rachel, spiegami cosa sono tutti gli oggetti che hai nelle tasche della tua tunica, e dimmi a che cosa servono…» E ancora: «Una volta mi hai detto che la tua gente sa com’è fatta questa abitazione dei Titanici. Potresti tracciarne una pianta?» E ancora: «Non sarebbe possibile tagliare qualche pezzetto della tua tunica e poi unire i pezzetti insieme? Mi hai detto che avevi dell’adesivo…» E ancora: «Cara, potresti spiegarmi, in modo semplice e comprensibile, tutto quello che sai dei principi su cui si basavano i mezzi degli Antenati? Automobili, battelli, aeroplani, astronavi…»
Talvolta, queste richieste divertivano Rachel, altre volte la spaventavano, e in generale finivano col lasciarla esausta. «Ma tu non senti mai il bisogno di riposare?» finiva col chiedergli.
In effetti, pareva che Eric fosse infaticabile. Passeggiava continuamente avanti e indietro per la gabbia, immerso nei suoi pensieri, o si soffermava a esaminare il comportamento dei Titanici che entravano e uscivano dal laboratorio, oppure studiava tutti gli strumenti contenuti nelle tasche della tunica, tentando prove ed esperimenti. All’inizio, Rachel lo aiutava, anche se a volte ignorava lo scopo di quello che lui faceva. Ma col passare del tempo, preferì lasciarlo fare da solo e si limitava a starsene sdraiata seguendolo con gli occhi e rispondendo alle sue domande occasionali. A volte, Eric si irritava con lei per questo contegno in apparenza apatico, poi lo giustificava con le sue condizioni, e questo serviva a spronarlo maggiormente.
Un giorno accadde una cosa inaspettata. Un Titanico si avvicinò alla gabbia, e vi lasciò cadere Roy il Corridore.
Sulle prime, vedendo uno sconosciuto scendere in quella che, dopotutto, era la sua casa, appeso a una corda verde, Eric corse ad armarsi, pronto a far pagare cara allo sconosciuto la sua pur involontaria intrusione. Ma lo riconobbe subito, e gli corse incontro per abbracciarlo.
Il Titanico, visto che i due non si scannavano, si allontanò apparentemente soddisfatto.
Eric aveva parlato a Rachel di Roy, e glielo presentò. Il Corridore rimase enormemente impressionato dal fatto che una donna della Gente di Aaron avesse accettato, e volentieri, di diventare la compagna di Eric. Tuttavia non fece commenti, e cominciò a raccontare quello che era successo nell’altra gabbia, dopo che Eric era stato portato via.
«Dopo la tua scomparsa siamo rimasti tutti disorientati» disse. «Perfino Arthur l’Organizzatore non sapeva più cosa fare. Ogni giorno i Titanici portavano via qualcuno per i loro esperimenti, e i superstiti cominciavano a litigare. Io mi vergognavo di avere ammirato tanto gli Stranieri e di averli imitati anche nell’acconciatura, e ho ricominciato a portare i capelli sciolti, come vedi. Pensavo che, riprendendo l’aspetto di guerriero, forse potevo acquistare un po’ di ascendente, e…»
«Ah, ecco perché ti hanno scelto per portarti qui!» l’interruppe Rachel. «Io, voi, i Selvaggi, portiamo tutti i capelli sciolti. I Titanici non si sono accorti che sono incinta, e hanno voluto darmi un altro compagno.»
Roy la guardò interdetto.
«Ti spiegheremo poi» disse Eric. «Continua a raccontare. In quanti siete rimasti?»
«Pochissimi. Sei, oltre a me. E non tutti sono morti per colpa dei Titanici. Vi ho detto che avevano cominciato a litigare fra loro.»
«Ma perché? Non capisco.»
«Troppo da mangiare. Niente da fare. Niente donne. Ecco perché. Inoltre i Titanici avevano messo nella nostra gabbia un gruppo di sconosciuti, degli strani ometti piccoli, bruni, che non avevamo mai visto e che avevano nomi strani: Ernie Due, Nicky Dieci, e così via. Erano violenti e litigiosi.»
«Li conosco di fama» disse Rachel. «Vivono in un’altra casa dei Titanici, vicino a questa.»
«Cosa?» fece Roy.
Eric gli spiegò che i cunicoli in cui abitavano gli uomini erano delle gallerie scavate nei muri delle abitazioni dei Titanici, poi lo invitò a proseguire.
«Non c’è altro da dire. Solo che non ne potevo più, e quando mi sono sentito afferrare dalla corda verde quasi quasi ero contento. Arthur, Walter, Manny, i migliori di noi, erano già scomparsi da tempo, e io mi sentivo molto solo e infelice.»
«Senti» lo interruppe Eric. «Vorrei sapere cosa ne facevano i Titanici dei morti che trovavano nella vostra gabbia, dopo che avevate combattuto fra di voi.»
Roy rimase sorpreso, tuttavia rispose: «Cosa vuoi che ne facessero? Li portavano via dalla gabbia, con le corde verdi.»
«E i loro averi? Voglio dire, se i morti indossavano qualche indumento, qualche arma, glieli lasciavano?»
«Sì. Non ricordi quando è morto quel tale… quel Danielson, poco dopo il nostro arrivo. L’hanno tolto dalla gabbia con la tunica avvolta intorno alla testa e l’hanno gettato nel foro che è in mezzo al tavolo bianco degli esperimenti. Fanno così cpn tutti i morti.»
«Evidentemente, gli uomini interessano ai Titanici solo da vivi» osservò Rachel. «Ma perché ti interessano queste cose, Eric? Una volta che saremo morti…»
«Una volta che saremo morti, avremo una buona probabilità di restare vivi» fu la risposta sibillina di Eric. «Non scherzo. Roy, sei disposto a fuggire con noi?»
Sulle prime, il Corridore rimase troppo sbalordito per rispondere, poi fece un enfatico cenno di assenso. «Altro che! Conta pure su di me per qualsiasi progetto di fuga, per quanto rischioso possa essere. Che avvenire ci si può aspettare, chiusi in questa gabbia?»
«Il progetto che ho elaborato è molto rischioso. Molte cose possono fallire, ma è l’unico possibile, secondo me. Mettiamoci subito al lavoro.»
Rachel e Roy non se lo fecero dire due volte, e seguendo le sue direttive, si misero all’opera. Instancabile come sempre, Eric non concedeva loro un attimo di respiro. E il lavoro procedeva in fretta. Ma una volta Rachel lo guardò e gli chiese con ansia:
«Mi sembra che tu sia troppo sicuro di molte cose, Eric. Noi ci basiamo su presupposti che possono rivelarsi sbagliati.»
«E allora? Se sbaglio, moriremo… E se restiamo qui?»