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Ruotando su se stessi, scesero a velocità vertiginosa verso il foro nero, spalancato sotto di loro. Mentre vi entravano, un suono acuto ruppe il pesante silenzio. Era stato Roy, che, sopraffatto dall’orrore e dalla paura, non era riuscito a trattenere un grido. Eric lo capì e lo giustificò, ma per poco quel grido non costò loro la riuscita del piano. Stavano già scivolando entro la cavità liscia del tubo di scarico, quando la corda verde scese alla loro ricerca, e per un pelo non riuscì a raggiungerli. Eric riuscì a dare una rapida occhiata e vide un tentacolo rosa protendersi oltre l’orlo. Ma subito dopo subirono un urto violento, come se fossero caduti dall’alto sul pavimento della gabbia.

L’acqua pensò Eric, mentre affondavano e la corrente li trascinava via. Trattenne istintivamente il respiro e strinse forte Rachel. Le fasce con cui si erano legati non si erano sciolte. Oltre Rachel, sentiva Roy. Affondavano sempre più, ma se non altro, erano ancora insieme.

Finora, il piano aveva funzionato. Adesso stava a loro agire. In primo luogo, però, bisognava vedere se avrebbe funzionato il sistema di galleggianti che lui aveva escogitato. Con pezzi della tunica impermeabile di Rachel aveva fatto delle specie di otri, riempiti d’aria e sigillati con dell’adesivo trovato in una delle innumerevoli tasche della tunica. Ognuno di loro aveva due di quei rudimentali galleggianti legati alle spalle.

Continuavano ad affondare, ma più lentamente. Quando avrebbero potuto respirare ancora? Giù, giù, sempre più giù e solo acqua intorno a loro. Eric cominciava a sentirsi mancare, gli pareva che gli scoppiasse il cuore… D’un tratto, la qualità dell’acqua cambiò, e anche la loro direzione. Furono letteralmente sparati verso destra in mezzo a un vortice turbinante che li fece roteare a lungo, su e giù, finché, finalmente, risalirono a galla.

Erano in una delle condutture della fogna, e i galleggianti funzionavano: tutti e tre avevano la testa fuori dall’acqua. Eric respirò a fondo, e la fetida aria della fogna gli parve deliziosa. Sentì Rachel e Roy respirare a loro volta, poi Rachel disse: «Ce l’abbiamo fatta, Eric! Ce l’abbiamo fatta!»

Lui non volle avvilirla ricordandole che adessp dovevano superare la terza parte del progetto e che, se non avesse funzionato, tutto quello che avevano ottenuto fino quel momento non, sarebbe servito a niente. Dove sfociava quel tratto di fogna? Neppure Rachel, con tutta la sua scienza, aveva saputo dirglielo.

«Stai bene, Roy?» chiese Eric, urlando per superare il fragore della corrente.

«Benone!» urlò di rimando l’altro. «Tengo il gancio pronto. Avvertimi tu quando sarà il momento.»

Stavano navigando entro un condotto largo circa il doppio dei normali cunicoli, e il soffitto ricurvo distava meno di un braccio dalle loro teste.

Fra poco sarebbe arrivato il momento di decidere, e non sarebbe stata una decisione facile. Sarebbero potuti uscire dalla fogna solo attraverso un tombino. Dando per certo di riuscire ad aprirlo dall’interno, e di questo Rachel si era detta sicura, la scelta era lasciata al caso e alla fortuna. Se ne avessero aperto uno per ritrovarsi in territorio titanico? O se, una volta aperto, si fossero trovati chiusi da pareti di materiale isolante? Comunque, Eric doveva decidere. L’acqua era gelida e loro non erano abituati a restare a lungo nel freddo e nell’umido. La cosa migliore era affidarsi alla fortuna e tentare di forzare il primo tombino che avrebbero incontrato. Ma bisognava avvistarlo in tempo, e con quella corrente non era facile. Eric girò la testa, aguzzando gli occhi per esaminare le pareti del condotto alla luce della lampada legata alla fronte. Laggiù, in fondo, non c’era forse un ribollìo, l’acqua non era più turbinosa, e il colore del soffitto non era leggermente diverso? Socchiuse le palpebre per guardare meglio. Sì, era un tombino.

«Roy!» gridò. «Guarda laggiù. Tentiamo con quello.»

Il raggio della lampada di Roy frugò nel buio, finché non inquadrò il tombino. «Lo vedo. Tenetevi pronti.»

Col coltello che aveva sottratto tanto tempo prima al cadavere di Jonathan Danielson, Eric tagliò i legacci che lo tenevano unito a Rachel, restando aggrappato a lei solo con le braccia.

«Come stai?» le chiese.

«Ho freddo» disse lei con un filo di voce. «Ho freddo e sono stanca. Facciamo presto, Eric, ti prego!»

«Fra poco saremo al sicuro, te lo prometto» rispose Eric, frugando con lo sguardo il soffitto. Il tombino era ormai vicinissimo.

Quando fu sopra di loro, Roy si diede una forte spinta con le gambe e riuscì a sollevarsi a mezzo fuori dall’acqua, tenendo le braccia tese in alto. Con un colpo sicuro riuscì a infilare il gancio nella fessura tra il tombino e il condotto e lo girò. La parte ricurva scivolò, poi si agganciò saldamente all’interno.

«Avanti» ansimò Roy. «Tocca a voi, adesso.»

Rachel era ancora legata a Roy, ma Eric, che doveva contare solo sulle sue forze, per poco non fu trascinato via, tanto era stato brusco l’arresto. Riusciva a stringere il braccio di Rachel ma la sua mano scivolava, scivolava… Con uno sforzo di cui non si sarebbe creduto capace, riuscì a rigirarsi su se stesso e ad abbracciare Rachel, poi, tenendosi saldamente con un braccio alle sue spalle, allungò l’altro verso Roy. Pian piano, scivolando, affondando, risalendo, riuscì a issarsi sulle spalle del compagno. Erano bagnate e scivolose, ma riuscì a sostenersi e ad afferrare con la sinistra il manico del gancio. Poi, aiutandosi col coltello, cominciò a spingere per sollevare il tombino. Sentiva Roy scivolare e ansimare sotto di sé. Purché la lama non si spezzi pregava Eric, continuando a spingere.

Finalmente, la pesante lastra si mosse. Drizzandosi, Eric infilò una mano nella fessura e spinse più forte. La piastra prima scivolò e poi ricadde dalla parte opposta. Sopra di lui, si stendeva l’oscurità di un cunicolo. Era territorio titanico o… Alla luce della lampada Eric vide le note pareti grigie ricurve. Lode agli antenati! Erano usciti in un cunicolo… Senza perdere altro tempo, si issò oltre l’apertura. Poi, sdraiatosi bocconi, allungò le braccia nella cavità e afferrò Roy sotto le ascelle.

Il Corridore e Rachel uscirono facilmente fino a metà corpo, ma poi, non più sostenuti dall’acqua, divennero a un tratto talmente pesanti che Eric temette di non farcela. Per fortuna, Roy lo aiutò: con uno sforzo disperato riuscì a far leva coi gomiti sull’orlo del tombino e si tirò su. Eric, allora, riuscì a estrarli facilmente.

Giacquero a lungo, esausti, sul pavimento del cunicolo.

Ma Eric si riprese presto. Era un capo. E un marito. Sebbene fosse stanchissimo per la tensione e gli sforzi sostenuti, tagliò i legacci che univano ancora Rachel e Roy, e liberò le mani di Roy dal gancio. Poi tornò a occuparsi di Rachel. L’aspetto della sua compagna lo spaventò. Respirava a fatica, aveva un brutto colorito bluastro ed era tutta gelata. Eric prese a massaggiarla vigorosamente, e intanto mormorava: «Rachel, parla… Rachel…»

Non sopportava l’idea di perderla, ora che erano salvi, che il peggio era passato.

Lei socchiuse lentamente le palpebre e mormorò in un soffio: «Sto bene, caro.» Respirò a fondo e si sforzò di sorridere. «Ce l’abbiamo fatto, Eric!»

«Ce l’abbiamo fatta!» ripeté lui, con un sospiro di sollievo, coprendola di baci. Quando fu sicuro che Rachel stava meglio, andò a rimettere a posto il coperchio del tombino, perché era buona norma non lasciare tracce del loro passaggio.

Poi chiamò Roy: «Prendi tu la mia roba» gli disse. «Io porterò Rachel.»

«Ma dove andiamo?» chiese il Corridore, alzandosi faticosamente in piedi. «Non possiamo riposarci un po’ qui?»

«No, perché non sappiamo a che tribù appartenga questo cunicolo. È meglio allontanarsi. Quando saremo in un punto relativamente sicuro, allora potremo riposare.»