Eric si lasciò cadere vicino al muro, e attirò a sé Rachel. Stava all’erta, per udire in tempo qualsiasi rumore che preannunciasse l’arrivo dei Selvaggi, ma la sua mente era confusa e perplessa.
«Non avevo mai visto niente di simile» disse. «Ne avevo sentito parlare, sì, ma non avrei mai creduto… E dire che pensavo… che ero preoccupato sul conto di Roy. Era così sconvolto, così irritabile.»
«È infelice, caro. Più ci avviciniamo alla mia gente, più si rende conto della situazione.»
«Vuoi dire che si rende conto di essere solo un guerriero ignorante? Anch’io ho questo problema, ma cerco di non pensarci.»
«Tu sei mio marito» disse Rachel. «Il marito di Rachel Figlia-di-Ester diventerà automaticamente una personalità di primo piano, fra gli Aaron. E poi, tu non sei più un ignorante» aggiunse con un sorriso radioso. «Ma Roy… Per lui è diverso. Si rende conto di non essere istruito, di non sapere niente, e sa che le qualità fisiche di cui dispone non gli serviranno né per diventare importante né per trovarsi una compagna. Non può non essersene reso conto. Finora sei stato tu a ideare i piani, a decidere. E tu hai anche una compagna. Prova a metterti nei suoi panni. Roy si rende conto di essere pocomeno che inutile, di contare poco o niente.»
«A me pare che ci sia stato molto utile quando siamo fuggiti dai Titanici. Se non ci fosse stato lui ad agganciare la fessura del tombino e a tenere duro finché io non l’ho aperta…»
«È vero. Però, tu non gliel’hai detto. E probabilmente lui ha pensato che chiunque altro al suo posto, avrebbe potuto fare lo stesso. Non si sente necessario. Se ci pensi, Roy non è stato indispensabile in niente di tutto quello che abbiamo fatto.»
Eric non poté non darle ragione, anche se, nonostante tutto, non poteva non apprezzare il contributo di Roy. E adesso che erano rimasti di nuovo soli, cosa avrebbero fatto?… Un rumore di passi che venivano verso di loro lo distolse dai suoi pensieri.
Balzò in piedi, mettendosi davanti a Rachel, e impugnò la punta di lancia. I passi si avvicinavano sempre più. Poco dopo, oltre la svolta del cunicolo, apparve Roy.
«Roy!» esclamarono tutti e due, correndogli incontro a braccia aperte.
Rachel l’abbracciò coprendogli la faccia di baci. Eric continuava a dargli grandi manate sulle spalle, ripetendo: «Sei proprio tu, Corridore! Il nostro bravo Roy!»
Quando finalmente lo lasciarono andare, Roy si guardò intorno e disse: «C’è qualcosa da mangiare? A furia di correre mi è venuta una gran fame.»
Si inginocchiò per aprire la sua bisaccia che Eric e Rachel avevano sistemato insieme alle loro, e ne trasse del cibo che si cacciò in bocca avidamente. Era molto che Eric non lo vedeva così soddisfatto e sicuro di sé.
Lui e Rachel andarono a sederglisi vicino, e chiesero: «Cos’è successo? Racconta.»
«Oh, niente» disse lui, a bocca piena. «Ho continuato a correre tirandomeli dietro per un bel po’, poi li ho seminati. Tutto qui.»
«Sei stato meraviglioso» disse Rachel. «Faranno delle canzoni e nasceranno delle leggende per esaltare le tue imprese.»
«Non esagerare, Rachel. Dopo tutto, non è stata gran cosa per un Corridore come me.»
«Sei un vero Corridore» disse Eric. «Il miglior Corridore di tutti i cunicoli. E dove li hai seminati?»
«Ricordate quel posto dove siamo stati ieri? Dove c’era quella tribù intera di morti avvelenati?»
«Sì.»
«Lì. È lì che li ho portati. Volete mangiare?, ho pensato. E allora, servitevi. Credo proprio che si buscheranno un bel mal di pancia.»
Dopo avere mangiato, esitarono un po’ prima di ripartire. Prendere la direzione nella quale si erano incamminati prima significava forse incontrare altri Selvaggi. Eric doveva trovare un altro cunicolo in discesa, ma che portasse in un’altra direzione.
Per sapere se il terreno era in pendio, aveva escogitato un sistema più semplice di quello seguito fino a quel momento. Aveva appallottolato un po’ di cibo, e a ogni biforcazione lasciava cadere una pallina. Se quella si metteva a rotolare, lui seguiva la sua direzione.
Camminarono per cinque giorni, incontrando altre due tribù sterminate dal misterioso veleno. La situazione era identica: la morte era sopraggiunta inattesa e inavvertita, mentre la gente era intenta alle più svariate occupazioni. Solo la diversità delle acconciature, degli abbigliamenti e dei manufatti rivelarono a Eric che quelle erano tribù di Stranieri. Questo significava che stavano addentrandosi nell’intrico dei cunicoli, verso quelli più in profondità.
In ognuno dei due posti fecero provvista di cibo e acqua, dopo che Rachel ebbe esaminato accuratamente gli uni e l’altra.
«Ecco il frutto della Scienza titanica» disse Roy, mentre si allontanavano da uno di questi cimiteri. «Vi pare che ci sia molto da imparare da una religione simile?»
«A te pare che quella degli Antenati si sia rivelata migliore?» ribatte Rachel. «Non hai mai sentito parlare di Hiroshima, Roy?»
E gli raccontò quell’antica storia.
Quando ebbe finito camminarono per un po’ in silenzio, poi Roy disse: «D’accordo. Sono orribili tutte e due. E allora, dove dobbiamo cercare la risposta?»
«Dobbiamo cercarla in tutt’altra direzione. Aspettate quando saremo arrivati fra la mia gente. E allora vedrete…» S’interruppe. «Cosa c’è, Eric?»
Eric si era fermato all’incrocio di cinque cunicoli. Poi, senza dare spiegazioni, lui tornò fino all’intersezione precedente; punto d’incontro di tre altri cunicoli. A questo punto, estrasse la mappa e, puntando il dito, disse ai compagni: «Ecco qua, non vedete? Credo proprio che ci troviamo a questo punto.» Sorrise a Rachel, prima di fare sfoggio della sua erudizione «Terra cognita, se capite quello che intendo.»
Ma Roy obiettò: «Non potrebbero esserci altri posti dove sono vicine due diramazioni, una di tre e una di cinque cunicoli?»
«No, Roy. Dovresti sapere anche tu che le diramazioni di cinque cunicoli sono rarissime, e rare sono anche quelle di tre. Per lo più, ci sono incroci di due cunicoli che formano così quattro rami. Credo proprio che siamo arrivati. È un bel pezzo che confronto i cunicoli col tracciato della carta, e tutto corrisponde.»
Aveva ragione, e a mano a mano che procedevano, questo divenne sempre più evidente. Dopo un po’ risultò inutile continuare a consultare la carta. Eric sapeva dove andare e trovava sempre la direzione giusta.
Finalmente arrivarono in un corridoio particolarmente lungo, il cui imbocco era sorvegliato da tre uomini, due armati di arco e il terzo di balestra. Erano armi che Rachel aveva descritto quando ancora si trovavano prigionieri nella gabbia, ed Eric le riconobbe subito. Con quelle armi gli appartenenti alla Gente di Aaron si difendevano dagli aggressori. Non le portavano mai con sé, durante le spedizioni, un po’ perché non cadessero in mano a tribù ostili, un po’ per paura che i Titanici, sebbene sempre indifferenti di fronte ai manufatti umani, le notassero a causa delle dimensioni e le ponessero giustamente in rapporto con un certo grado di intelligenza e di civiltà.
Quando i tre si avvicinarono, le guardie incoccarono le frecce.
«Sono Rachel Figlia-di-Ester» gridò la ragazza, fermandosi a distanza di sicurezza. «Vi ricordate di me? Ho preso parte alla spedizione in territorio titanico, capitanata da Jonathan Danielson.»
L’uomo armato di balestra, evidentemente il capo, rispose: «Ti riconosco, vieni pure avanti. Ma se riesci a farti capire da quei due Selvaggi che ti seguono, di’ loro di stare fermi e di alzare le mani.»
«Selvaggi!» disse Roy infuriato. «Chissà loro cosa credono di essere.»
«Stai calmo» consigliò Eric, anche se, nel suo intimo, si sentiva offeso quanto l’amico. Selvaggi! Era peggio di quanto non si fosse aspettato.
Quando raggiunsero il posto di guardia, Rachel indicò un cavo che correva lungo la parete; era un filo del telegrafo, ed Eric lo riconobbe dalle descrizioni che gliene aveva fatte Rachel.