«Non credo di esserne in grado» disse Eric, soddisfatto di essere finalmente riuscito a interrompere quel torrente inarrestabile di parole.
L’Aaron rimase sbalordito. Alzò gli occhi dal documento e li fissò su Eric. Evidentemente, non gli capitava spesso di essere interrotto. Era abituato a pensare a voce alta. Gli altri ascoltavano e agivano di conseguenza.
«Eric, ragazzo mio» disse, palesemente seccato, «ti prego di non farmi perdere tempo con chiacchiere inutili. Sto occupandomi dell’avvenimento più importante e decisivo del mio popolo, e non posso essere distolto dalle mie occupazioni per occuparmi più a lungo di te e convincerti che puoi fare quello che ti ho detto. Hai dimostrato di essere intelligente e coraggioso, sei stato istruito da Rachel, che è una scienziata di prim’ordine. Se vorrai sapere qualche altra cosa, te la insegnerò io durante il viaggio. E se ti preoccupi per le tue origini, lascia che ti dica una cosa: l’addestramento a cui sei stato sottoposto nei cunicoli di superficie è proprio quello che ci vuole per raggiungere lo scopo ultimo del nostro progetto. Tu sei un Occhio, cosa che mai nessuno di noi…»
«Scusatemi!» tornò a interromperlo Eric. «Ma è proprio per questo che non mi sento in grado. Non volevo discutere sulle mie capacità di comando, ma sul progetto. Lasciate che vi spieghi» si affrettò ad aggiungere, vedendo che il cipiglio dell’Aaron stava facendosi minaccioso. «Non avevo la minima idea su di esso, finché non sono arrivato qui. Pensavo che si trattasse di un nuovo sistema di combattere i Titanici, basato su una combinazione di Scienza titanica e Scienza ancestrale. E quando ho saputo della nave, ho pensato sulle prime che voleste servirvene per distruggere i Titanici con le loro stesse armi… Ammetto di essere stato ingenuo. Invece, ho finalmente capito che voi non avete nessuna intenzione di combattere i Titanici. Vi limitate a scappare.»
Il cipiglio scomparve lentamente e il vecchio annuì come per dire “Oh, ti preoccupi per questo”. Rimase per un po’ soprappensiero, e infine disse: «Cerca di capirmi, Eric. Metti da parte per un momento i tuoi preconcetti. Scienza titanica… Scienza ancestrale. Anche noi ci abbiamo creduto, e a lungo, ma dopo molti studi e considerazioni le abbiamo accantonate moltissimo tempo fa. Il fatto che nel nostro progetto si uniscano tutte e due quelle scienze, è puramente casuale. Siamo giunti alla convinzione che il progetto è l’unico modo valido, grazie al quale l’uomo potrà rendere la pariglia ai Titanici. Noi non fuggiamo, anche se la nostra posizione qui è diventata insostenibile. Noi c’infiltreremo fra loro, là dove essi sono più numerosi, nel loro stesso ambiente, e così potremo molestarli con risultati migliori.»
«Ma come? Come parassiti?» disse Eric, con profonda amarezza. «Come parassiti che guastano, rubano… È questo il destino supremo della nostra razza?»
Un sorriso pieno di compassione comparve sul viso scavato dell’Aaron. «Eric, che cosa credi di essere, tu? Cosa credi di avere imparato in tutti gli anni che sei vissuto nei cunicoli? Credi di potere sovvertire tutto e ricominciare daccapo a piantare cereali o ad allevare bestiame, come i nostri antenati? E anche se fosse possibile, lo vorresti fare?»
Eric aprì la bocca, ma la richiuse subito. Non sapeva cosa ribattere. Non sapeva cosa pensare. Rachel gli fece scivolare una mano nella sua, e lui la strinse disperatamente.
«Ecco perché abbiamo la certezza che il nostro progetto è attuabile, realistico» proseguì l’Aaron. «Il nostro progetto dà per scontato un fatto, Eric: che sulla Terra, ora, nelle enormi case dei Titanici vivono più uomini di quanti ne siano mai esistiti nel corso della storia. E il progetto si rende conto di un’altra cosa, relativa alla storia dell’Umanità.»
Incrociando le braccia, l’Aaron chiuse gli occhi e cominciò a dondolarsi avanti e indietro. La sua voce, quando riprese a parlare, era cantilenante. «L’uomo ha alcune caratteristiche fondamentali in comune col topo e con lo scarafaggio: mangia quasi di tutto, è molto adattabile e riesce a vivere in quasi tutte le condizioni. Può sopravvivere come individuo, ma preferisce riunirsi in gruppo. E se possibile preferisce vivere di quello che altre creature hanno prodotto naturalmente o artificialmente. È quindi inevitabile concludere che è stato designato dalla natura a essere una specie di parassita di categoria superiore, e solo la mancanza di un ospite abbastanza ricco nel suo primitivo ambiente, gli aveva impedito di assumere il ruolo di eterno ospite, costringendolo a vivere, famelico, insoddisfatto e irritabile, delle risorse che riusciva a procurarsi.»
25
Nove giorni dopo, Eric si trovava sulla rampa che portava alla nave spaziale dei Titanici e, alla luce della Luna, controllava, regolandosi su un lungo elenco che aveva in mano, il passaggio dei 192 membri della sezione quindici che gli sfilavano davanti per imbarcarsi.
Non avrebbe mai ritenuto possibile fare compiere con tanta rapidità e precisione un trasferimento così lungo a migliaia di uomini, donne e bambini, cioè a tutta la popolazione degli Aaron. Erano partiti dai cunicoli più profondi, e risalendo lungo una via tortuosa che si snodava a spirale attraverso strati di materiale isolante inserito nei muri dell’edificio, puntavano a un’apertura che dava sul tetto. Non avevano perso un solo componente, per incidenti di viaggio od altro, sebbene fossero passati attraverso il territorio di oltre cento tribù. Uomini armati di tutto punto avevano provveduto alla sicurezza di tutti: uomini d’arme, che si erano anche rivelati esperti diplomatici e avevano saputo stabilire quando era meglio trattare, quando minacciare, quando pagare. Squadre di operai specializzati avevano tenuto in ordine le strade da percorrere, e che erano state scelte da esperti dopo lunghi e accurati studi sulle carte in base al criterio della via più breve e più sicura.
Era stata un’esperienza incredibile, una dimostrazione di coraggio e di disciplina data da tutto un popolo. Ma non bisognava dimenticare che quell’impresa era stata preparata da generazioni, e che ciascuno degli Aaron sapeva da sempre quello che avrebbe dovuto fare.
Nonostante le descrizioni fattegli da Rachel e da altri, Eric non sarebbe mai riuscito a immaginarsi il mondo esterno così com’era veramente. Ma quando si trovò sopra il tetto, nell’abbagliante luce del Sole, capì cosa significasse non avere un tetto, per quanto alto, sopra la testa, e nessuna parete, per quanto lontana, che chiudesse l’orizzonte. In un primo momento aveva dovuto lottare contro un’ondata di panico che gli aveva serrato lo stomaco, e si era fatto forza soltanto per non sfigurare davanti al gruppo di cui aveva il comando. Ma quando si accorse che erano spaventati anche molti dei suoi uomini, i quali dopotutto non erano arditi esploratori ma solo artigiani con le loro famiglie, dimenticò la propria paura e riuscì a infondere coraggio agli altri…
Quel primo giorno non fu certo piacevole. Le notti erano più rassicuranti, perché nascondevano nelle tenebre la vastità degli spazi circostanti. Gli Aaron avevano viaggiato lungo il tetto, quasi sempre di notte, un po’ perché si trovavano più a loro agio, un po’ perché raramente i Titanici uscivano all’aperto dopo il calare del Sole.
Adesso, si stavano imbarcando, ed era notte. La rampa che portava all’astronave era ripida e molto lunga, e loro si affrettavano perché, secondo la tabella di marcia, l’orario della partenza era molto vicino.
Ogni tanto Eric distoglieva per un momento lo sguardo dall’elenco che teneva in mano e dalla fila di passeggeri, e guardava un po’ più su, lungo la rampa dove Rachel e le altre donne manovravano i neutralizzatori per annullare gli effetti di certe corde arancioni disposte a intervalli regolari attraverso la rampa. I Titanici avevano tanta fiducia in quelle corde che avevano lasciato aperto il portello dell’astronave, con la rampa calata. Diversamente dalle corde verdi della sala delle gabbie, quelle corde color arancio respingevano violentemente il protoplasma, e bastava avvicinarsi per essere scagliati lontano con violenza incredibile. Ma, grazie ai neutralizzatori, erano state rese inoffensive.