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Roy passò davanti a Eric, agitando una mano per indicare che tutta la sezione era già passata. Eric controllò l’elenco, e cancellò con un trattino l’ultimo nome, quello appunto di Roy. Restavano solo il suo nome e quello di Rachel. Ripiegato l’elenco, se l’infilò sotto il braccio e si avviò, mentre dietro di lui iniziava la sfilata della sezione sedici. Quando passò davanti a Rachel, si fermò un attimo per stringerle una mano.

«Hai l’aria stanca» le disse. «Sei sicura di non affaticarti troppo? Non dimenticare che sei incinta.»

Senza staccare il neutralizzatore dalla corda su cui lo teneva appoggiato, lei si sporse per dargli un bacio. «Ci sono altre cinque donne nelle mie condizioni, sulla rampa. Non te n’eri accorto? Comunque, il mio turno sta per finire. Tra poco ti raggiungerò a bordo.»

All’ingresso della stiva, dove la folla si accalcava ancora in attesa di raggiungere le rispettive destinazioni, un giovane, che portava il bracciale della polizia, gli riferì un messaggio.

«Devi raggiungere l’Aaron al più presto» gli disse. «È insieme agli uomini che hanno l’incarico di praticare un buco nella paratia. Nel frattempo, prenderò io il comando della tua sezione.»

Eric gli porse l’elenco. «Quando arriva mia moglie, dille di raggiungermi, per favore» disse. Poi fece cenno a Roy di seguirlo, e i due amici s’incamminarono nella direzione indicata dal poliziotto. Lungo il tragitto, ogni trenta passi, erano dislocati altri uomini. Tutt’intorno, c’erano enormi recipienti che riempivano la stiva dal pavimento al soffitto. Anche lì, come ovunque in territorio titanico, la luce era abbagliante. I Titanici lasciavano sempre le luci accese, anche quando dormivano.

Eric e Roy arrivarono a destinazione nello stesso momento in cui gli uomini, stanchi e sudati, stavano togliendo il pezzo di paratia che avevano tagliato. Intorno, una folla di curiosi osservava con ansia il progredire dei lavori. L’alba era vicina e tutti lo sapevano.

Anche l’Aaron era stanco e sudato, e aveva gli occhi arrossati. Pareva che stesse per crollare dalla stanchezza. «Eric» disse, «adesso tocca a te. Da questo momento non ci possiamo più basare sulle carte. Là dentro» e indicò il foro praticato nella paratia, «solo un Occhio ci può guidare.»

Eric annuì, si adattò la lampada alla fronte, ed entrò nell’apertura.

Gli bastò una rapida occhiata per assicurarsi che davanti a lui si stendevano gallerie e corridoi simili a quelli a cui erano abituati. Era una fortuna. Sarebbe stato molto spiacevole infatti scoprire che i Titanici usavano un diverso materiale isolante sulle loro astronavi. Ma lì dentro, gli uomini avrebbero potuto vivere comodamente.

Riferì quello che aveva visto, e tutti mandarono un sospiro di sollievo. «Magnifico» commentò per tutti l’Aaron. «Vai avanti. Sai quello che devi cercare. Noi, intanto, allargheremo l’apertura.»

Eric si avviò, seguito da Roy e da un gruppo di giovani agili e robusti.

Sapeva quello che cercava, ma mentre procedeva lungo le gallerie buie e sconosciute, era turbato da qualcosa. Qualcosa che non avrebbe saputo definire. Poi, quando dopo una curva sboccò in uno spiazzo abbastanza ampio per accogliere sia pure senza troppe comodità tutti gli Aaron, capì di che cosa si trattava: l’odore, o meglio, la mancanza di qualsiasi odore.

Quei cunicoli erano vergini. Nessun uomo li aveva mai abitati.

«Questo posto va bene» disse. «Ci accamperemo qui fino al decollo.»

Roy tornò indietro a riferire, e poco dopo cominciarono ad arrivare gli altri. Prima i poliziotti incaricati di stabilire i posti e aiutare la gente a trovarli, poi le diverse sezioni. Rachel arrivò insieme ai componenti della quindici. L’ultimo a giungere fu l’Aaron, portato a braccia da due guardie robuste.

Stavano un po’ stretti ma sufficientemente comodi. Intanto, di lontano, giungeva fino a loro un susseguirsi di tonfi sordi: anche i Titanici stavano salendo a bordo.

L’Aaron impugnò un megafono, se lo portò alla bocca e gridò, con voce rotta dalla stanchezza: «Ascoltatemi, popolo di Aaron. Il nostro progetto è compiuto. Siamo al sicuro entro i cunicoli di un’astronave che sta per partire verso le stelle. Abbiamo a disposizione ingenti quantitativi di viveri e acqua, e possiamo rimanere qui nascosti a lungo, dopo il decollo.» Fece una pausa per riprendere fiato, poi riprese: «Questa, voi lo sapete, è un’astronave da carico, che farà molte fermate, su altri mondi. A ciascuna fermata, una o più sezioni lasceranno la nave e resteranno nascoste al sicuro sul pianeta finché il numero dei loro componenti non sarà considerevolmente aumentato. Dove possono vivere i Titanici, possono vivere anche gli uomini. Quello che mangiano i Titanici, possono mangiarlo anche gli uomini… l’abbiamo imparato sulla Terra, e ci sarà utile saperlo sugli altri mondi.»

Il pavimento cominciò a vibrare, segno che i motori erano stati accesi. La nave ebbe un lungo fremito e si staccò dal tetto.

L’Aaron sollevò le braccia, e tutti caddero in ginocchio.

«L’Universo!» esclamò l’Aaron, estatico. «Mio popolo, d’ora in avanti l’Universo sarà nostro!»

Quando l’accelerazione della nave cessò e tutti poterono ricominciare a muoversi liberamente, Eric e gli altri capo-sezione radunarono i rispettivi gruppi e li guidarono in altrettanti cunicoli, dove sarebbero stati più comodi. Gli uomini prepararono la sistemazione per le famiglie, le donne prepararono il pasto, e i bambini si misero subito a giocare e a correre avanti e indietro.

Era meraviglioso come i bambini si fossero subito adattati all’accelerazione e a quei nuovi cunicoli.

Guardandoli giocare, tutti provarono la sensazione di trovarsi a casa.

FINE