Eric si alzò e si diresse con lui verso la porta, ricordando di tenere gli occhi bassi. Suo zio lo esaminò attentamente per accertarsi che tutto fosse a posto, gli fece impugnare una selce leggera ma molto aguzza e gli impartì gli ultimi consigli: «Se ti vede un Titanico, un’arma più pesante non ti servirebbe. Devi cercare di metterti al riparo, più in fretta che puoi, e intanto lanciargli contro la punta di lancia. Forse il Titanico non riuscirà a distinguere fra te e l’arma, e inseguirà quella.»
Eric annuì macchinalmente. Sapeva a memoria anche quella parte delle istruzioni. Aveva la bocca asciutta, e il cuore che gli batteva forte.
Thomas il Distruggitrappole si tolse dalla fronte la fascia con la lampada e l’avvolse intorno alla testa di Eric. Poi spinse il giovane oltre la soglia. «Vai a commettere il tuo Furto, Eric» bisbigliò. «Vai, e torna uomo.»
5
Eric varcò la soglia. Era in territorio titanico. La strana luce dei Titanici, il loro mondo incredibile, lo circondavano. I cunicoli, l’Umanità, tutto quello che gli era familiare, era rimasto alle sue spalle.
Un’ondata di panico gli salì dallo stomaco alla gola.
Non guardare in alto. Tieni gli occhi bassi altrimenti resterei paralizzato dalla paura. Tienti rasente al muro. Tieni lo sguardo fisso sul muro e seguilo. Volta a destra e segui il muro. Corri.
Eric voltò a destra. Sfiorò con la spalla il muro e cominciò a correre tenendo gli occhi bassi e sfiorando il muro con la spalla a intervalli regolari. Correva più svelto che poteva, contando mentalmente i passi.
Venti passi. Da dove proveniva la luce? Era ovunque, così bianca, così scintillante… Venticinque passi. Sfiora il muro con la spalla. Soprattutto non ti allontanare mai dal muro. Trenta passi. Con una luce simile, la sua lampada era inutile. Trentacinque passi. Il pavimento era diverso da quello dei cunicoli. Era piano e duro. E così anche il muro. Quaranta passi. Corri tenendo sempre gli occhi bassi. Sfiora la parete con la spalla. Continua a correre. Tieni gli occhi sempre bassi. Quarantacinque passi.
Per un pelo non andò a sbattere contro la costruzione di cui gli aveva parlato lo zio, ma la prontezza di riflessi e gli avvertimenti ricevuti gli permisero di voltare in tempo a sinistra. Qui il colore era diverso e anche il materiale. Tieni gli occhi bassi. Non guardare in alto. Giunse davanti a un ingresso che pareva quello di un piccolo cunicolo.
Non devi entrarci, Eric. Superalo. Correndo, riprese a contare. Ancora venticinque passi, ed ecco un secondo ingresso, più ampio, vi s’infilò. In principio sarà buio. Illuminerai le pareti con la luce della tua lampada.
Eric si fermò, ansimando. Era contento di trovarsi al buio. Dopo la spietata luce abbagliante a cui non era abituato, il tenue chiarore della sua lampada gli ricordava i suoi cunicoli dandogli un senso di sicurezza.
Sapeva di potersi permettere un attimo di sosta. La prima parte, la peggiore, era passata. Non era più allo scoperto.
Aveva seguito le istruzioni ed era ancora vivo. Il peggio era passato. E adesso poteva rischiare di dare un’occhiata. Moriva dalla voglia di farlo.
Si volse prontamente, col cuore stretto dalla paura, alzò gli occhi, e guardò.
Il grido che gli sfuggì involontariamente dalle labbra lo atterrì quasi quanto ciò che vide. Chiuse gli occhi e si ritrasse nell’ombra, incapace di muoversi. Non era possibile! Non poteva avere visto bene. Non poteva esistere niente di così incredibilmente alto ed esteso.
Dopo un poco, tornò ad aprire gli occhi, badando bene a tenere lo sguardo fisso sul buio che lo circondava, rischiarato appena dal chiarore giallastro della sua lampada. Riusciva a distinguere le pareti di quel cunicolo così diverso dagli altri, quelle pareti che, invece di essere ricurve formando un tutto unico dal pavimento al soffitto, si staccavano da essi ad angolo retto. Il cunicolo sfocerà in uno spazio molto grande e buio.
Che spazio poteva essere? Apparteneva anch’esso ai Titanici?
Doveva dare un’altra occhiata alle sue spalle, all’aperto. Un’occhiata rapida. Dopo tutto, lui era l’Occhio, e un Occhio deve essere in grado di guardare tutto. Doveva dare un’altra occhiata, ma con molta, molta cautela.
Eric si voltò ancora una volta, aprendo pian piano gli occhi e serrando forte i denti per impedirsi di urlare. Ma anche così riuscì a stento a trattenere un grido. Richiuse in fretta gli occhi, aspettò un momento, e poi li riaprì. Poco a poco, facendo uno sforzo immane, riuscì a guardare in quell’immenso spazio bianco e abbacinante senza perdere il dominio dei nervi. Era uno spettacolo sconvolgente, incredibile, tuttavia si costrinse a guardare.
La distesa era enorme, correva a perdita d’occhio. Uno spazio incredibile, immerso in quella luce bianca, e del quale non si scorgeva la fine. Ma sì, invece. Aguzzando lo sguardo Eric riuscì a vedere dove finiva: laggiù, in fondo in fondo, c’era un muro immane, una costruzione gigantesca che partendo dal pavimento s’innalzava all’infinito.
E in quello spazio immenso erano sparsi degli oggetti. Oggetti enormi che solo l’immensità di quella spianata faceva sembrare piccoli, oggetti enormi e di fattura mai vista, incredibilmente estranei, tutti tranne alcuni. Eric aveva spesso sentito descrivere quegli oggetti dai guerrieri che tornavano da una scorreria in territorio titanico. Erano come enormi bisacce, prive però di cinghie. E ciascuna di esse conteneva quantità di cibo sufficiente a sfamare l’Umanità intera per un incredibile numero di anni. Le armi degli uomini non erano abbastanza robuste per praticare aperture sul fondo di quelle bisacce, perché in quel punto il materiale di cui erano fatte era durissimo. Ma gli uomini si arrampicavano su di esse finché il materiale, a metà altezza, opponeva minor resistenza, e vi praticavano un foro attraverso il quale afferravano manate del cibo contenuto nell’interno. Poi ridiscendevano con cautela e portavano il bottino alle donne che coi loro riti magici riuscivano a distinguere quali cibi andavano bene per l’Umanità e quali no. Se avesse scelto la prima categoria, Eric avrebbe dovuto commettere un Furto simile.
Invece il Furto che doveva compiere non era normale. Era di terza categoria. Ricordi dei Titanici.
Con un sospiro, Eric si voltò incamminandosi nell’oscurità. Nel tenue chiarore della lampada notò che il cunicolo si allargava come aveva detto suo zio, e stette bene attento di avanzare in linea retta, voltandosi di tanto in tanto per allinearsi alla luce proveniente dall’apertura alle sue spalle. Finalmente lo spazio tornò a restringersi, e lui si trovò in un altro cunicolo, sgradevolmente basso e angusto. Ma ecco una biforcazione. Con una sensazione di sollievo, Eric voltò a destra, come gli aveva detto Thomas il Distruggitrappole.
Era arrivato.
C’erano molte lampade accese, e Stranieri: molti Stranieri. Tre, quattro… No, addirittura cinque! Erano tutti seduti in un angolo di quel basso e largo cunicolo quadrato. Tre stavano parlando animatamente fra loro. Gli altri due erano intenti a fare qualcosa con degli utensili che Eric non aveva mai visto.
Balzarono in piedi al suo arrivo, disponendosi a semicerchio di fronte a lui. Eric rimpianse di avere solo una punta di lancia leggera invece di due pesanti, con le quali avrebbe potuto sicuramente abbattere tutti e cinque gli Stranieri. Ma pur sentendosi in svantaggio si fermò davanti a loro con aria fiera, come si addiceva a un guerriero, pronto a scagliare la lancia.
Fu un momento di grande tensione, subito dissolta però dall’intervento di uno degli Stranieri, un uomo di mezza età, dai lineamenti decisi, che fece un passo avanti e disse con circospezione: «La salvezza prima di tutto?»