I suoi amici avevano tentato di aprire gli sportelli, ma appena avevano capito che Emanuele era morto si erano fermati. Avevano aperto le portiere senza fare resistenza ai pugni in faccia che precedono ogni arresto. Emanuele era incartocciato su se stesso, aveva in mano una pistola finta. Una di quelle riproduzioni che una volta chiamavano scacciacani, usate in campagna per cacciare i branchi di randagi dai pollai. Un giocattolo che veniva usato come fosse vero; del resto Emanuele era un ragazzino che agiva come fosse un uomo maturo, sguardo spaventato che fingeva d'essere spietato, la voglia di qualche spicciolo che fingeva essere brama di ricchezza. Emanuele aveva quindici anni. Tutti lo chiamavano semplicemente Manu. Aveva una faccia asciutta, scura e spigolosa, uno di quelli che ti immagini come archetipo di ragazzino da non frequentare. Emanuele era un ragazzo su questo angolo di territorio dove onore e rispetto non ti sono dati da pochi spiccioli, ma da come li ottieni. Emanuele era parte di Parco Verde. E non c'è errore o crimine che possa cancellare la priorità dell'appartenenza a certi luoghi che ti marchiano a fuoco. Avevano fatto una colletta tutte le famiglie di Parco Verde. E avevano tirato su un piccolo mausoleo. Dentro ci avevano messo una fotografia della Madonna dell'Arco e una cornice con il volto sorridente di Manu. Comparve anche la cappella di Emanuele, tra le oltre venti che i fedeli avevano edificato a tutte le madonne possibili, una per ogni anno di disoccupazione. Il sindaco però non poteva sopportare che si edificasse un altare a un mariuo-lo, e mandò una ruspa ad abbatterlo. In un attimo il cemento tirato su si sbriciolò come un lavoretto di Das. In pochi minuti si sparse la voce nel Parco, i ragazzi arrivarono con motorini e moto vicino alle ruspe. Nessuno pronunciava parola. Ma tutti fissavano l'operaio che stava muovendo le leve. Con il carico di sguardi l'operaio si fermò, e fece cenno di guardare il maresciallo. Era lui che gli aveva dato l'ordine. Come un gesto per mostrare l'obiettivo della rabbia, per togliere il bersaglio dal suo petto. Era impaurito. Si chiuse dentro. Assediato. In un attimo iniziò la guerriglia. L'operaio riuscì a scappare nella macchina della polizia. Presero a pugni e calci la ruspa, svuotarono le bottiglie di birra e le riempirono con la benzina. Inclinarono i motorini facendo colare il carburante nelle bottiglie direttamente dai serbatoi. E presero a sassate i vetri di una scuola, vicino al Parco. Cade la cappella di Emanuele, deve cadere tutto il resto. Dai palazzi lanciavano piatti, vasi, posate. Poi le bottiglie incendiarie contro la polizia. Misero in fila i cassonetti come barricate. Diedero fuoco a tutto quanto potesse prenderlo e diffonderlo. Si prepararono alla guerriglia. Erano centinaia, potevano resistere a lungo. La rivolta si stava diffondendo, stava arrivando nei quartieri napoletani.
Ma poi giunse qualcuno, da non troppo lontano. Tutto era circondato da auto della polizia e dei carabinieri, ma un fuoristrada nero riuscì a superare le barricate. L'autista fece un cenno, qualcuno aprì la portiera e un gruppetto di rivoltosi entrò. In poco più di due ore tutto venne smantellato. Si tolsero i fazzoletti dalla faccia, lasciarono spegnere le barricate di spazzatura. I clan erano intervenuti, ma chissà quale. Parco Verde è una miniera per la manovalanza camorristica.
Qui tutti quelli che vogliono raccolgono le leve più basse, la manovalanza da pagare persino meno dei pusher nigeriani o albanesi. Tutti cercano i ragazzi di Parco Verde: i Casalesi, i Maliardo di Giugliano, i "tigrotti" di Crispano. Divengono spacciatori con stipendi senza percentuali sulle vendite. E poi autisti e pali, a presidiare territori anche a chilometri di distanza da casa loro. E pur di lavorare non chiedono il rimborso della benzina. Ragazzi fidati, scrupolosi nel loro mestiere. A volte finiscono nell'eroina. La droga dei miserabili.
Qualcuno si salva, si arruola, entra nell'esercito e va lontano, qualche ragazza riesce ad andare via per non mettere più piede in questi luoghi. Quasi nessuno delle nuove generazioni viene affiliato. La parte maggiore lavora per i clan, ma non saranno mai camorristi. I clan non li vogliono, non li affiliano, li fanno lavorare sfruttando questa grande offerta.
Non hanno competenze, talento commerciale, fanno i corrieri. Portano zaini pieni di hashish.
Lo sentono un guadagno ozioso, ineguagliabile quasi, certamente irraggiungibile con qualsiasi altro mestiere rintracciabile in questo luogo. Ma hanno trasportato merce capace di fatturare dieci volte il costo della moto. Non lo sanno e non riescono a immaginarlo. Se un posto di blocco li intercetta subiranno condanne sotto i dieci anni, e non essendo affiliati non avranno le spese legali pagate né l'assistenza fa miliare garantita dai clan. Ma in testa c'è il rombo dello scappamento e Roma da raggiungere.
Qualche barricata continuò ancora a sfogarsi ma lentamente, a seconda della quantità di rabbia nella pancia. Poi tutto sfiatò. I clan non avevano timore della rivolta, né del clamore. Potevano uccidersi e bruciare per giorni, nulla sarebbe accaduto. Ma la rivolta non li avrebbe fatti lavorare. Non avrebbe fatto di Parco Verde il serbatoio d'emergenza da cui attingere sempre manovalanza a prezzo bassissimo. Tutto, e subito, doveva rientrare. Tutti dovevano tornare al lavoro, o meglio, disponibili al lavoro eventuale. Il gioco della rivolta doveva finire.
Al funerale di Emanuele c'ero stato. Quindici anni in certi meridiani di mondo sono solo una somma. Crepare a quindici anni in questa periferia sembra scontare una condanna a morte piuttosto che essere privati della vita. In chiesa c'erano molti, moltissimi ragazzi tutti scuri in volto, ogni tanto lanciavano qualche urlo e addirittura un coretto ritmato fuori dalla chiesa: "Sem-pre con noi, rim-arrai sem-pre con noi… sempre con noi…". Gli ultra lo scandiscono solitamente quando qualche vecchia gloria abbandona la maglia. Sembravano allo stadio, ma c'erano solo cori di rabbia. C'erano poliziotti in borghese che cercavano di stare lontano dalle navate. Tutti li avevano riconosciuti, ma non c'era spazio per scaramucce. In chiesa riuscii subito a individuarli; o meglio loro individuarono me, non trovando sul mio viso traccia del loro archivio mentale. Come per venire incontro alla mia cupezza uno di questi mi si avvicinò dicendomi: "Questi qua sono tutti pregiudicati. Spaccio, furto, ricettazione, rapina… qualcuno fa pure le marchette. Non c'è nessuno pulito. Qua più ne muoiono, meglio è per tutti…".
Parole a cui si risponde con un gancio, o una testata sul setto nasale. Ma era in realtà il pensiero di tutti. E forse persino un pensiero saggio. Quei ragazzi che si faranno l'ergastolo per una rapina da 200 euro — feccia, surrogati d'uomini, spacciatori — li guardavo, uno per uno. Nessuno di loro superava i vent'anni. Padre Mauro, il parroco che celebrava la funzione, sapeva chi aveva di fronte. Sapeva anche che i ragazzini che gli stavano intorno non avevano il timbro dell'innocenza.
"Oggi non è morto un eroe…"
Non aveva le mani aperte, come i preti quando leggono le parabole alla domenica. Aveva i pugni chiusi. Assente qualsiasi tono d'omelia. Quando iniziò a parlare la sua voce era rovinata da una raucedine strana, come quella che viene quando ti parli dentro per troppo tempo. Parlava con un tono rabbioso, nessuna pena molle per la creatura, non delegava niente.
Sembrava uno di quei preti sudamericani durante i moti di guerriglia in Salvador, quando non ne potevano più di celebrare funerali di massacri e smettevano di compatire, e iniziavano a urlare. Ma qui Romero nessuno lo conosce. Padre Mauro ha un'energia rara. "Per quante responsabilità possiamo attribuire a Emanuele, restano i suoi quindici anni. I figli delle famiglie che nascono in altri luoghi d'Italia a quell'età vanno in piscina, a fare scuola di ballo. Qui non è così. Il Padreterno terrà conto del fatto che l'errore è stato commesso da un ragazzo di quindici anni. Se quindici anni nel sud Italia sono abbastanza per lavorare, decidere di rapinare, uccidere ed essere uccisi, sono anche abbastanza per prendere responsabilità di tali cose".