— Come mai ha sposato il dottor Minchenko? — chiese Silver.
— A volte me lo domando anch’io — mormorò amaramente la signora, quasi tra sé.
— Era infermiera o tecnico di laboratorio?
La donna sollevò lo sguardo con un piccolo sorriso. — No, cara, non sono mai stata una biogenetista, grazie a Dio. — La sua mano accarezzò la valigia nera. — Sono una musicista. Più o meno.
Silver moriva di curiosità. — Sintovideo? Programmatrice? Abbiamo avuto dei sintovideo nella nostra biblioteca, nella biblioteca della Compagnia, cioè.
L’angolo della bocca della signora Minchenko si sollevò in un mezzo sorriso. — Non c’è nulla di sintetico in quello che faccio. Sono un’esecutrice storica abilitata. Mantengo vivi i vecchi talenti… pensa che io sia una specie di museo vivente, che ha bisogno solo di una spolverata… c’è solo qualche ragnatela che pende dal mio gomito… — Aprì la valigia perché Silver potesse guardarci dentro. Legno rosso brunito, una superficie lucida e liscia, che catturava le luci colorate del compartimento e le rifletteva. Madame Minchenko sollevò lo strumento appoggiandolo sotto la guancia. — È un violino.
— Ho visto delle fotografie — disse Silver. — È autentico?
Madame Minchenko sorrise e fece scorrere l’archetto sulle corde in una rapida successione di note. La musica sembrò volteggiare nell’aria… come i bimbi quad nella palestra: questa fu l’unica similitudine alla quale Silver riuscì a pensare. Il suono era stupefacente.
— Dove si attaccano quei fili superiori? Agli altoparlanti? — si informò Silver, sollevandosi sulle mani inferiori e torcendo il collo.
— Non ci sono altoparlanti. Tutto il suono viene dal legno.
— Ma ha invaso l’intero scompartimento.
Il sorriso della signora Minchenko divenne quasi feroce. — Questo strumento può riempire un’intera sala da concerto.
— Lei… fa concerti?
— Una volta, quando ero molto giovane… circa la tua età… frequentavo una scuola dove si insegnava quest’arte. Era l’unica scuola di musica sul mio pianeta. Era una colonia, capisci, e non si dedicava molto tempo alle arti. Si svolse un concorso, il vincitore sarebbe partito per la Terra dove si sarebbe assicurato una carriera come interprete per registrazioni. E così in effetti fece. Ma la compagnia di registrazione che aveva bandito il concorso era interessata solo al migliore. Io arrivai seconda. C’è posto per così poche persone… — la sua voce si tramutò in un sospiro. — A me non rimase che un buon risultato personale che non interessava a nessuno. Tranne quando a qualcuno capitava di inserire un disco per sentire non solo il migliore del nostro mondo, ma il migliore di tutta la Galassia. Per fortuna, proprio in quel periodo incontrai Warren, che al tempo stesso era tutto il mio pubblico e il mio unico mecenate. E probabilmente fu una fortuna che io non cercassi di far carriera, perché ci spostavamo tanto spesso in quei giorni… infatti lui stava terminando gli studi e aveva iniziato a lavorare per la GalacTech. Ho impartito qualche lezione, di tanto in tanto, a degli antiquari interessati… — Piegò la testa in direzione di Silver. — E vi hanno parlato anche di musica, in mezzo a tutte le cose che vi hanno insegnato là su quel satellite?
— Abbiamo imparato delle canzoni, da piccoli — fu la timida risposta di Silver. — E poi avevamo i flautini, ma non sono durati molto.
— Flautini?
— Piccoli oggetti di plastica in cui si soffiava. Quelli erano veri. Una delle nostre madri del nido ce li ha portati quando io avevo, oh… otto anni. Ma poi spuntavano un po’ dappertutto e la gente ha cominciato a lamentarsi del fatto che… suonavano. Così ha dovuto portarli via.
— Capisco. Warren non mi ha mai parlato dei flautini. — La signora Minchenko inarcò le sopracciglia. — Che… genere di canzoni?
— Oh… — Silver prese fiato e cantò: — Rag V. Biv, Rag V. Biv, questo è il nome del quad che lo spettro dei colori vi insegnerà: Rosso arancio giallo, verde blu, indaco e violetto, chi li scorderà… — si interruppe arrossendo: la sua voce sembrava così tremula e debole a confronto di quell’incredibile violino.
— Capisco — disse Madame Minchenko con voce stranamente soffocata, ma i suoi occhi brillavano, per cui Silver pensò che non si fosse offesa. — Oh, Warren — sospirò la signora, — di quante cose dovrai rispondere.
— Posso…? — cominciò Silver, ma poi si fermò. Di certo non le avrebbe permesso di toccare quel meraviglioso pezzo di antiquariato. E se si fosse dimenticata di tenerlo fermo per un solo istante o se a causa della gravità le fosse sfuggito dalle mani?
— Provarlo? — La signora Minchenko completò il suo desiderio. — Perché no? Sembra che dovremo trascorrere insieme parecchio tempo.
— Ho paura…
— Sciocchezze. Oh, certo una volta lo proteggevo da tutto: non l’ho suonato per anni, lasciandolo in una teca a temperatura controllata… come se fosse morto. Ma ultimamente ho cominciato a chiedermi a che scopo lo conservassi. Ecco, vieni. Piega la testa, così; abbassala, così. — La signora Minchenko sistemò le dita di Silver sul manico del violino. — Che belle dita lunghe hai, cara. E… quante. Chissà…
— Cosa? — chiese Silver quando la donna si interruppe.
— Eh? Oh, niente. Per un attimo ho visto nella mia mente un quad in assenza di peso con una chitarra a dodici corde. Se tu non fossi schiacciata nel sedile come ora, potresti sollevare quella mano inferiore…
Si trattò forse di un gioco di luce… la luce del sole di Rodeo a occidente, che calava dietro l’orizzonte frastagliato, trapassando con i suoi raggi rossastri i finestrini della cabina… ma gli occhi di Madame Minchenko sembravano lucidi. — Adesso arcua le dita, così.
Fuoco.
Il primo problema era stato quello di trovare nell’Habitat abbastanza residui di titanio puro da aggiungere alla massa del riflettore di vortice rotto: questo per compensare le perdite inevitabili che si sarebbero verificate durante il processo di rifabbricazione. Un margine del quaranta per cento in più rispetto alla massa iniziale era quello di cui Leo aveva bisogno per sentirsi tranquillo.
Avrebbero dovuto esserci dei serbatoi di titanio per l’immagazzinamento di liquidi particolarmente corrosivi… anche uno solo, un serbatoio da cento litri sarebbe bastato… o delle condutture, delle valvole, qualsiasi cosa. Durante le prime disperate ore di rastrellamento, Leo era arrivato alla convinzione che il suo piano sarebbe fallito ancor prima di cominciare. Poi, fra tutti i luoghi possibili, lo trovò in Alimentazione: un intero refrigeratore pieno di contenitori di titanio che pesavano almeno mezzo chilo l’uno. Gli svariati prodotti che in essi erano contenuti vennero affrettatamente riposti in ogni genere di recipiente che Leo e i suoi quad riuscirono a trovare. — La pulizia — gridò Leo in tono di rimprovero alla sbalordita ragazza che ora dirigeva il reparto, — viene lasciata come esercizio per gli studenti.
Il secondo problema consisteva nel trovare un posto in cui lavorare. Pramod aveva indicato uno dei moduli abbandonati, un cilindro del diametro di circa quattro metri. Ci vollero altre quattro ore di lavoro per aprire dei buchi laterali che potessero servire come ingressi, e inoltre per riempire una delle estremità con tutti gli scarti di materiali conduttori che riuscirono a trovare. La massa venne poi ricoperta utilizzando il rivestimento dei moduli abbandonati, quindi spianata, lisciata e levigata il più possibile, nel tentativo di darle la forma di una scodella leggermente concava con un arco accuratamente calcolato che copriva il diametro del modulo.
Adesso la massa di titanio era sospesa al centro del modulo. I pezzi del riflettore di vortice e i contenitori di cibo appiattiti vennero legati tutti insieme con una spoletta di cavo di titanio che un quad molto brillante aveva scovato nel Magazzino. Il denso metallo grigio splendeva alla luce dei fari delle tute, riflettendo una lama di luce solare che filtrava da una delle aperture che avevano praticato.