— Jill Meyers — disse uno degli ufficiali con aria disgustata.
— Ha le carte in regola, ed è stata lei a seguire la ragazza del Photo Day durante tutto l'addestramento. Scommetto che ne sa più lei su questa missione di tutti voi ragazzi.
— Non mi stupirebbe.
— Infatti — aggiunse malizioso Tenny, — penso che lei sia il capitano anziano tra tutti voi pivellini.
Kinsman fece un solo commento: — Merda.
Il rumore e le fortissime vibrazioni del decollo cessarono all'improvviso. Sprofondato nel sedile anatomico, e occupato a controllare file di quadranti e indicatori a pochi centimetri dai suoi occhi, Kinsman sentì la tensione e la pressione allentarsi. Tuttavia non stava ritornando al livello normale, ma a zero. Non era più schiacciato contro il sedile, ma ora lo sfiorava appena, quasi galleggiando sopra di esso, trattenuto solo dalle cinture.
Era la quarta volta che si trovava in assenza di peso. E nonostante tutto si lasciò sfuggire un sorriso dentro il casco ingombrante.
Senza pensarci, sfiorò il bottone di controllo sul bracciolo del sedile. Un razzo di manovra si accese per un attimo e la massa luminosa e imponente della Terra apparve lentamente nell'oblò di fronte a Kinsman. Scivolava maestosa e serena, per lo più di un azzurro intenso, ma qua e là avvolta dal bianco puro ed accecante delle nuvole, bella, pacifica, splendente.
Kinsman avrebbe potuto restare per sempre a guardarla, ma nella sua cuffia udì alcuni suoni di movimento. Le due ragazze si erano sedute, fianco a fianco, dietro di lui. La cabina del veicolo spaziale faceva sembrare spazioso un sottomarino: i tre sedili erano incassati in mezzo a montagne di strumenti e vario equipaggiamento.
Jill Meyers, che era arrivata al programma astronautico dalla divisione medica aerospaziale, aveva ufficialmente le mansioni di secondo pilota e di ufficiale biomedico. E chaperon,come ben sapeva Kinsman. La fotografa, Linda Symmes, era semplicemente una passeggera.
Gli auricolari di Kinsman gracchiarono quando entrò in contatto con la Terra. — AF-9, qui è il contatto a terra. Confermiamo l'entrata in orbita. Traiettoria nominale. Tutti i sistemi in ordine.
— Ricevuto — disse Kinsman nel microfono del casco.
La voce, che cominciava a svanire, passò ad un tono meno formale. — Sembra che siate proprio dritti sull'obbiettivo, Chet. Abbiamo messo i parametri orbitali nel computer e saranno pronti per quanto passerete su Ascension. Probabilmente non dovrete ricorrere a manovre troppo complicate per effettuare il rendez-vous con il laboratorio.
— Bene. Sul mio pannello le luci sono tutte verdi.
— Okay. Controllo a terra chiude. — Sempre più debole. — E… Buona fortuna, Padre Fondatore.
Kinsman fece una smorfia. Alzò la visiera del casco, slacciò la cintura e si voltò. — Okay, ragazze, ora potete togliervi il casco, se volete.
Jill Meyers aprì la visiera e cominciò ad allentare la chiusura posteriore del casco.
— Comincio io — disse, — così poi posso aiutare Linda.
— Sicura che non ti serve aiuto? — si offrì Kinsman.
Jill si tolse il casco. — Io ho passato più ore di te in orbita. E poi non dovresti fare attenzione agli strumenti?
Allora sarà questa la musica,pensò Kinsman.
Jill aveva un viso rotondo, bruttino e lucido come una moneta da un penny nuova. Il naso era camuso, la bocca larga e i capelli di un castano spento. Kinsman sapeva che sotto la tuta a pressione nascondeva una figura che al massimo poteva essere descritta come ordinaria.
Linda Symmes era tutta un'altra cosa. Aveva sollevato la visiera del casco e lo stava fissando con gli occhi spalancati, occhi azzurri in cui la curiosità femminile si univa ad un tocco di vulnerabilità. Era alta quasi quanto Kinsman, con folti capelli color del miele ed un corpo che gli si era impresso nella mente fino all'ultima curva.
Con quella sua voce dolce e sonora disse: — Penso di essere sul punto di sentirmi male.
Oh, per…
Jill si sporse verso lo scomparto tra i loro due due sedili. — Ci penso io. Tu occupati dei controlli. — Aprì un sacchetto di plastica bianca e lo mise sul viso di Linda.
Tremando al pensiero di quello che sarebbe potuto capitare in caduta libera, Kinsman rivolse la sua attenzione al pannello dei comandi. Richiuse la visiera del casco e aprì la ventilazione nella propria tuta, cercando di escludere dalla mente i rumori osceni degli sforzi di Linda.
— Per amor del cielo — gridò, — spegni la sua radio! Vuoi che mi metta a vomitare anch'io?
— AF-9, qui è Ascension.
Cercando di non pensare a quello che stava succedendo dietro di lui, Kinsman schiacciò il pulsante sul pannello delle comunicazioni. — Avanti, Ascension.
Durante l'ora seguente, Kinsman ringraziò Dio di avere un sacco di lavoro da fare. Allineò l'orbita del loro veicolo a tre posti con quella del laboratorio orbitante dell'Aeronautica, che ormai era lassù da più di un anno e veniva occupato saltuariamente da equipaggi composti da due o tre persone.
Il laboratorio aveva la forma di un grosso cilindro che risaltava sul bianco brillante della coltre di nubi che ricopriva la Terra. Mentre portava il velivolo più vicino, Kinsman fu in grado di individuare le antenne, i portelli stagni e tutte le altre strane apparecchiature che si erano accumulate sopra di esso. Ad ogni viaggio sembra diventare sempre più un ammasso di ferraglie. Nella scia del laboratorio, non collegato ad esso in alcun modo, vi era la forma conica e massiccia del nuovo gruppo elettrogeno.
Kinsman compì un giro intorno al laboratorio, usando con cautela i razzi di manovra. Sfiorò un interruttore e il faro radar per il rendez-vous si attivò, come confermava una luce accesa sul suo pannello di controllo.
— Tutti i sistemi sul verde — disse al controllo a terra. — Sembra tutto okay.
— Roger, AF-9. Siete autorizzati ad attraccare.
Questa era una cosa un tantino più delicata. Sarebbe utile se Jill potesse leggermi i dati del computer…
— Distanza ottantotto metri — disse la voce ferma di Jill nei suoi auricolari. — Angolo di avvicinamento…
Istintivamente Kinsman si voltò, ma il casco gli impedì di vederla. — Ehi, come sta la tua paziente?
— Ha vuotato lo stomaco, e le ho dato un sedativo. È fuori combattimento.
— Okay — disse Kinsman, — attracchiamo.
Avvicinò lentamente il velivolo al punto di attracco sulle estremità del laboratorio, si agganciò e vide che le luci del pannello confermavano che l'aggancio era avvenuto.
— È meglio impacchettare la Bella Addormentata — disse a Jill mentre premeva il pulsante che comandava l'uscita del tunnel d'accesso flessibile che avrebbe collegato il boccaporto superiore della navetta con il portello principale del laboratorio. Le luci sul pannello passarono dal rosso al verde quando il tunnel si agganciò al portello del laboratorio.
Jill disse: — Dovrei essere io a controllare il tunnel.
— Resta lì. Lo faccio io. — Sigillando la visiera del casco, Kinsman slacciò le cinture e si sollevò senza sforzo dal sedile, andando a sbattere leggermente con il casco contro il portello superiore.
— Siete tutt'e due ben abbottonate?
— Sì.
— Tieni d'occhio l'indicatore dell'aria. — Aprì il portello di pochi millimetri.
— La pressione è okay. Niente luci rosse.
Annuendo, Kinsman aprì del tutto il portello. Si spinse in alto con facilità ed entrò nel tunnel che era largo come le sue spalle; si spinse lungo la galleria curva con piccoli tocchi delle dita contro le pareti scanalate.
Piano e con leggerezza,ricordò a se stesso. Niente movimenti bruschi o spinte troppo forti.