Quando raggiunse il portello del laboratorio, ruotò lentamente su se stesso come un nuotatore che compisse una pigra virata, e ispezionò ogni centimetro delle guarnizioni di tenuta del tunnel, alla luce della torcia inserita sul casco. Soddisfatto nel vedere che le chiusure erano perfettamente a posto, aprì il portello ed entrò nel laboratorio. Con cautela, fece aderire gli stivali al pavimento di plastica e riprese la posizione eretta. Le braccia tendevano ad alzarsi e a toccare la strumentazione allineata ai lati dello stretto passaggio centrale. Kinsman accese le luci interne, controllò le riserve d'aria, gli indicatori di pressione e di temperatura, poi si diresse di nuovo verso il portello e si tuffò nel tunnel.
Rientrò nella cabina a testa in giù e dovette fare delle lente contorsioni attorno al sedile del pilota per riprendere una posizione normale.
— Il laboratorio è okay — disse quando ebbe finito. — E adesso come facciamo a portarla attraverso il tunnel?
Jill aveva già slacciato le cinture sulle spalle di Linda. — Io tiro e tu spingi. Dovrebbe scivolare bene sugli angoli.
E infatti fu così.
All'interno, il laboratorio aveva la forma e le dimensioni di un piccolo aereo da trasporto. Su di un lato era ricoperto per quasi tutta la lunghezza da una fila di strumenti di controllo, e dal computer che ronzava sommesso dietro i sottili pannelli di plastica. Al di là del piccolo corridoio c'erano le postazioni dell'equipaggio: banco di controllo, due oblò di osservazione e le strumentazioni di biologia ed astrofisica. In fondo, dietro una tenda c'era la prua e un'unica branda.
Kinsman, che aveva indossato la tuta da lavoro, si sedette al tavolo dei controlli, agganciando una gamba all'unica colonna di sostegno della sedia per evitare di galleggiare nell'abitacolo. Doveva effettuare un controllo di tutti i sistemi di sopravvivenza del laboratorio: aria, acqua, riscaldamento, energia elettrica. Sul pannello principale tutte le luci erano verdi. Apparecchiatura di comunicazione. Verde. Lo schermo radar mostrava un solo grosso punto luminoso vicino: il modulo del generatore.
Sollevò lo sguardo quando Jill spostò la tenda dell'area di riposo. Indossava ancora la tuta pressurizzata, a cui aveva tolto solo il casco.
— Come sta?
Con espressione stanca Jill rispose: — Bene. Sta ancora dormendo. Credo che quando si sveglierà sarà a posto.
— Farà meglio ad esserlo. Non voglio avere in giro un peso morto. O mando a monte la missione.
— Concedile una possibilità, Chet. Si è limitata a una crisi di vomito quando si è trovata in caduta libera. Tutto l'addestramento del mondo non può prepararti a quei primi minuti.
A Kinsman tornò in mente il suo primo volo orbitale. Sembra non finire mai. Precipiti. Come quando scii o ti lanci col paracadute. Solo che questo è meglio.
Jill gli si avvicinò, aggrappandosi saldamente ai sedili davanti ai banchi di lavoro e alle maniglie inserite nelle apparecchiature.
Kinsman si alzò e si spinse verso di lei. — Dai, lascia che ti aiuti a togliere la tuta.
— Posso farlo da sola.
— Chiudi la bocca.
Dopo parecchi minuti Jill si era liberata dall'ingombrante tuta pressurizzata ed era già in piena attività, con indosso la tuta da lavoro. Abbassando leggermente la tesa a causa del soffitto ricurvo, Kinsman scivolò nella cambusa. Era larga meno della metà di una cabina telefonica e certo non così alta e profonda.
— Caffè, tè o latte?
Jill sogghignò. — Succo d'arancia.
Lui prese un sacchetto di concentrato. — Sei una ragazza difficile da accontentare.
— No, non lo sono. È facile andare d'accordo con me. Mi piace stare in compagnia.
Sentendosi un tantino perplesso, Kinsman le passò il contenitore con il succo d'arancia.
Durante le due ore seguenti controllarono minuziosamente l'equipaggiamento del laboratorio. Kinsman stava rimontando una macchina fotografica ad alta risolvenza dopo averla pulita, e i vari pezzi galleggiavano a mezz'aria intorno a lui, mentre Jill si occupava di un rigoglioso filodendro che era stato portato a bordo di nascosto, e stava lentamente avanzando dal banco di biologia verso i pannelli luminosi sul soffitto. Linda scostò la tenda dell'area di riposo e avanzò cautamente nel compartimento principale.
Jill fu la prima ad accorgersi di lei. — Salve, come ti senti?
Kinsman sollevò lo sguardo. Lei indossava una tuta aderentissima. Lui balzò dalla sedia per raggiungerla, spargendo i pezzi della macchina fotografica da ogni parte.
— Ti senti bene? — le chiese.
Sorridendo con aria timida, disse: — Credo di sì. Sono piuttosto imbarazzata… — la sua voce era bassa e sonora.
— Oh, non ti preoccupare — disse allegro Kinsman. — Capita praticamente a tutti. Anch'io mi sentii male la prima volta che mi trovai in orbita.
— Questa — disse Jill schivando una lente che roteava lentamente e che andò a rimbalzare dolcemente sul soffitto, — è una piccola bugia per farti sentire più a a tuo agio.
Kinsman si sforzò di non assumere un'espressione accigliata. Perché Jill vuole contraddirmi?
Jill disse: — Chet, è meglio che tu raccolga i pezzi di quella macchina prima che si spargano dappertutto.
Ebbe l'impulso di risponderle a tono, poi ci ripensò e si limitò a dire: — Va bene.
Quando ebbe finito con la macchina fotografica, diede un'occhiata attenta a Linda. Il viso aveva ripreso colorito. Aveva gli occhi limpidi, fermi, che non tradivano paura né smarrimento. Dopo tutto forse sarà okay. Jill le preparò una tazza di tè, che lei sorbì dal beccuccio di plastica del coperchio.
Kinsman andò al banco di controllo e controllò i turni della missione.
— Ehi, Jill il tuo turno di riposo è già cominciato.
— Non ho molto sonno — disse lei.
— Può darsi. Ma hai avuto una giornata faticosa, ragazzina. E domani lo sarà ancora di più. Adesso vai a farti le tue quattro ore, che poi tocca a me. Bisogna essere freschi per l'accoppiamento.
— Accoppiamento? — chiese Linda dal suo sedile sul lato estremo del corridoio, a cinque passi buoni da Kinsman. — Oh, tu intendi collegare il cono al laboratorio.
Evitando una mezza dozzina di giochi di parole che gli erano venuti in mente, Kinsman annuì. — Attività extra-veicolare.
Con riluttanza Jill si allontanò fluttuando dalla sedia. — Okay, vado a cuccia. Sono stanca, ma sembra proprio che quassù non mi venga mai sonno.
Mi domando quanto le avrà detto Murdock. Si comporta proprio come uno chaperon.
Jill si trascinò nell'area di riposo e tirò la tenda. Dopo alcuni momenti di silenzio, Kinsman si rivolse a Linda.
— Finalmente soli.
Lei rispose con un sorriso.
— Uh, sei seduta proprio dove devo installare la macchina fotografica.
Diede un colpetto alla macchina che fluttuò dolcemente verso la ragazza.
Lei si alzò piano, con molta attenzione, rimanendo in piedi dietro alla sedia e tenendosi aggrappata allo schienale con entrambe le mani come se avesse paura di cadere. Kinsman scivolò nella sedia ed arrestò il lento movimento della camera con una mano. Mentre lavorava all'apparecchiatura della paratia a cui andava fissata, chiese:
— Ti senti bene davvero?
— Sì, sul serio.
— Pensi che te la sentirai di fare l'AEV domani?
— Lo spero… voglio andare fuori con te.
Io preferirei stare dentro con te,sogghignò Kinsman mentre lavorava.
Un'ora più tardi erano seduti fianco a fianco davanti ad uno degli oblò di osservazione, a guardare la massa tondeggiante della Terra, lo splendore bianco e azzurro del Pacifico striato di nubi. Kinsman aveva appena fatto rapporto al controllo delle Hawaii. Il piano di volo della missione galleggiava su di una tavoletta fermacarte in mezzo a loro. Lui stava cercando di studiarlo, confrontando i turni di riposo di Jill con i lunghi intervalli tra i controlli a terra, quando non ci sarebbe stata la possibilità di essere interrotti.