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Quando Jill si fu ritirata, Kinsman chiamò Linda al banco di controllo con il pretesto di mostrarle l'immagine radar di un sa­tellite russo.

— Ci stiamo avvicinando, adesso. — Si strinsero fianco a fianco per sbirciare lo schermo arancione del radar, abbastanza vicini perché Kinsman riuscisse a cogliere un soffio di profumo molto femminile. — Solo mille chilometri di distanza.

— Perché non fai lampeggiare le luci?

— Non c'è equipaggio.

— Oh.

— È un po' come la prima guerra mondiale quassù — si rese conto Kinsman rialzandosi. — Il solo fatto di essere qui è più im­portante della nazione di appartenenza.

— Anche i russi la pensano allo stesso modo?

Kinsman accennò con il capo: — Penso di sì.

Linda era in piedi di fronte a lui, tanto vicina che quasi si po­tevano toccare.

— Sai — disse Kinsman, — la prima volta che ti ho visto ho pensato che tu fossi una modella… non una fotografa.

Scostandosi leggermente da lui, lei rispose: — Ho cominciato come modella… — la sua voce si spense.

— Non fermarti. Cosa stavi per dire?

Qualcosa in lei era cambiato, notò Kinsman. Era sempre freddamente amichevole, ma ora stava in guardia, era cauta e… triste?

Scrollando le spalle, lei rispose: — Essere una fotomodella è una strada senza uscita. Alla fine mi resi conto che c'era molto più futuro dall'altra parte della macchina fotografica.

— Eri troppo intelligente per fare la modella.

— Non adularmi.

— Perché mai dovrei adularti?

— Qui non siamo sulla Terra.

— Touché.

Lei galleggiò verso la cambusa. Kinsman la seguì.

— Da quanto tempo sei dall'altra parte della macchina?

Voltandosi verso di lui lei disse: — Suppongo che sia io a do­ver raccontare la tua storia e non viceversa.

— Okay… fammi delle domande.

— In quanti sanno che tu dovresti portarmi a letto quassù?

Kinsman si lasciò sfuggire un sorriso, un riflesso automatico per guadagnare tempo. Ma che diavolo,pensò. Ad alta voce ri­spose: — Non lo so. È cominciato come uno scherzo fra qualcu­no dei ragazzi… evidentemente la voce si è sparsa.

— E quanto denaro c'è in gioco se vinci o perdi? — Lei non sorrideva.

— Denaro? — Kinsman era davvero sorpreso. — Il denaro non c'entra.

— Ah, no?

— No, non per me — insistette lui.

La tensione del corpo di lei sembrò attenuarsi un poco. — Al­lora perché… voglio dire… che cos'è questa storia?

Kinsman fece riapparire il sorriso e scivolò nella sedia più vi­cina. — Perché no? Tu sei maledettamente carina, nessuno di noi ha dei legami, nessuno ci ha mai provato a gravità zero… Diami­ne, perché no?

— Ma perché io dovrei farlo?

— Questa è la domanda fondamentale. È questo che lo rende un'avventura.

Lei lo guardò pensierosa appoggiando il corpo alto al pannel­lo della cambusa. — Proprio così. Un'avventura. Non c'è nient'altro?

— Dipende — rispose Kinsman. — È difficile dirlo prima.

— Tu vivi in un mondo molto semplice, Chet.

— Cerco di farlo. Tu no?

Lei scosse la testa. — No, il mio mondo è molto complesso.

— Ma include il sesso.

Lei sorrise, ma senza allegria. — Davvero?

— Vuoi dire mai? — La voce di Kinsman suonò incredula al­le sue stesse orecchie. Lei non rispose.

— Proprio mai? Non posso crederci…

— No, — rispose lei, — non esattamente. Mai per… per un'avventura. Per la sicurezza dell'impiego, sì. Per avere gli inca­richi migliori. Per farmi insegnare ad usare una macchina fotografica, in primo luogo. Ma mai per divertimento… almeno, è da molto, molto tempo che non lo faccio per divertimento.

Kinsman guardò quegli occhi azzurro ghiaccio e vide che era­no perfettamente asciutti e fissi su di lui. Tese una mano verso la ragazza, ma lei non mosse un muscolo.

— Questo… questo è un modo maledettamente solitario di vivere — disse lui.

— Sì, lo è. — La sua voce era come una lama d'acciaio, sen­za alcuna traccia di autocompatimento.

— Ma com'è successo… perché…

Lei riappoggiò la schiena alla paratia della cambusa, lo sguardo lontano, nel passato. — Ebbi una bambina. Lui non la voleva. Dovetti darla in adozione… o quello, o abortire. La piccola dovrebbe avere cinque anni, adesso. Non so dov'è. — Si raddrizzò e guardò di nuovo Kinsman. — Ma ho scoperto che il sesso serve a fare bambini o a fare carriera. Mai a diver­tirsi.

Kinsman sedeva immobile, come se avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco. L'unico suono era il debole ronzio delle apparecchiature e il sussurro del ventilatore.

Linda fece una smorfia. — Vorrei che tu riuscissi a vedere la tua faccia… Tarzan, l'Uomo-Scimmia che cerca di capire un reattore nucleare.

— L'unico guaio con la gravità zero — borbottò lui, — è che non ti puoi impiccare.

Kinsman ebbe l'impressione che Jill si fosse accorta che qual­cosa non andava. Dal momento in cui uscì dall'amaca cominciò ad annusare in giro, lanciando sguardi perplessi. Finalmente, quando Linda si ritirò per il suo ultimo periodo di riposo, Jill gli chiese:

— Come va tra voi due?

— Bene.

— Davvero?

— Davvero. Stiamo per aprire qui un Playboy club. Vuoi fa­re la coniglietta?

Lui arricciò il naso. — Di quelle ne hai in abbondanza.

Per più di un'ora si occuparono delle loro mansioni in silen­zio. Kinsman era intento a ricalibrare il tracciatore radar quando Jill gli allungò una tazza di caffè bollente.

Lui si girò sulla sedia. Jill era in piedi accanto a lui; non mol­to più alta della sua testa anche da seduto.

— Grazie.

Il viso di lei era molto serio. — C'è qualcosa che ti turba, Chet? Che cosa ti ha fatto?

— Niente.

— Davvero?

— Per amor del cielo, non ricominciare! Niente, non mi ha fatto assolutamente niente. Forse è proprio questo che mi secca.

Scuotendo il capo, lei disse: — No, tu sei preoccupato per qualcosa e non riguarda te.

— Non essere così maledettamente drammatica, Jill.

Lei gli mise una mano sulla spalla. — Chet… lo so che per te tutto questo è solo un gioco, ma la gente può farsi male in questo genere di gioco e… be'… non sempre nella vita le cose vanno co­me ci si aspetta.

Alzando lo sguardo verso quei profondi occhi castani, Kinsman sentì svanire la propria irritazione. — Okay, bimba. Gra­zie per la filosofia. Io sono grande, però, e so di che cosa si tratta.

— Tu pensi di saperlo.

Scrollando le spalle: — Okay, lo penso. Forse non tutto è co­me dovrebbe essere, ma un uomo è innocente finché non è stata provata la sua colpevolezza, e tutto è splendente come l'oro fin­ché non ci trovi sopra qualche macchia. Questa è la mia filosofia per oggi!

— Va bene, furbone — Jill sorrise tristemente. — Fai Tarzan. Combatti da solo. Il fatto è che non voglio che lei ti faccia del male.

— Non mi farà del male.

Jill disse: — Tu lo speri. Okay, se c'è qualcosa che posso fare…

— Sì che c'è qualcosa…

— Cioè?

— Quando vai di nuovo a dormire, fai in modo che Linda si accorga che tu prendi un sonnifero. Lo farai?

Il viso di lei perse ogni espressione. — Certo — rispose in to­no piatto, — qualunque cosa per un collega ufficiale.