Agronski: — D’accordo, ma per il momento preferisco lasciare in sospeso il mio giudizio. Se risulterà che tutto è a posto, qui, e intendo alludere a Cleaver e al Padre, probabilmente mi schiererò dalla tua parte. Non ho nessuna ragione valida per votare contro questo pianeta, lo ammetto.
Michelis: — Meglio così. Sono certo che Ramon è favorevole all’apertura del pianeta, così che il nostro voto sarà unanime. Non vedo quali obiezioni potrebbe sollevare Cleaver.
(Cleaver stava testimoniando davanti a un tribunale riunito nella sala dell’Assemblea Generale dell’ONU a New York, con un dito puntato drammaticamente, ma con più rammarico che trionfo, su Ramon Ruiz-Sanchez, della Compagnia di Gesù. Al suono del suo nome, il sogno svanì ed egli si accorse che c’era un po’ più di luce nella stanza. L’alba, o per meglio dire il succedaneo umido e grigiastro che ne faceva le veci su Lithia, stava sorgendo. Si chiese che cosa avesse potuto dire alla corte dell’ONU. I suoi argomenti erano stati decisivi e convincenti, abbastanza buoni da poter venire usati anche da sveglio; ma non riusciva a ricordarne una sola parola. Gliene restava soltanto una sensazione, quasi il gusto delle parole, ma nulla della loro sostanza.)
Agronski: — Si sta facendo giorno. Faremmo meglio a piantarla lì.
Michelis: — Hai assicurato l’elicottero? Mi par di ricordare che il vento, qui, è molto più forte che non sia nel nord.
Agronski: — Sì, e l’ho anche riparato sotto il copertone. Non ci resta altro che appendere le nostre amache…
(Un suono.)
Michelis: — Sssh! Che cos’è stato?
Agronski: — Eh?
Michelis: — Ascolta.
(Dei passi. Fiochi, ma Cleaver li conosceva. Costrinse i suoi occhi a restare aperti, ma non c’era altro da vedere che il soffitto. Il suo colore uguale e la movenza dolce in cui s’incurvava a formare una cupola di nulla, lo fecero subito, una volta ancora, sprofondare nelle nebbie del trance.)
Agronski: — Sta venendo qualcuno.
(Uno scalpiccio.)
Agronski: — È il Padre. Mike, guarda di qua, lo vedrai subito. Ha l’aria normale. Trascina un po’ i piedi, forse, ma chi non lo farebbe, dopo aver passato tutta una notte fuori di casa a far bisboccia?
Michelis: — Forse sarà meglio andargli incontro sulla porta, piuttosto che saltargli addosso dopo che sia entrato. Dopo tutto, non ci aspetta. Penserò io alle amache.
Agronski: — Hai ragione, Mike.
(Dei passi che si allontanano da Cleaver. Un rumore di pietra che sfiora pietra: la ruota della porta che gira.)
Agronski: — Ben tornato, Padre! Siamo appena arrivati e… Gran Dio, che cosa è successo? Siete ammalato anche voi, Padre? C’è forse qualche cosa che… Mike, Mike! Vieni a darmi una mano…
(Qualcuno stava correndo. Cleaver ordinò ai muscoli del collo di sollevare la testa, ma essi rifiutarono di obbedire. La sua nuca sembrava voler sprofondare sempre di più nel duro cuscino dell’amaca. Dopo una breve agonia senza fine, gridò:)
Cleaver: — Mike!
Agronski: — Mike!
(Con un sospiro rantolante, Cleaver, infine, perse la sua lunga battaglia. Si era addormentato.)
CAPITOLO QUARTO
Appena entrato nella casa di Chtexa, Ruiz-Sanchez osservò l’anticamera dalle pareti lievemente fosforescenti con un senso quasi intollerabile d’impazienza, sebbene fosse incapace di dire che cosa aveva sperato di vedere. La casa si presentava in tutto e per tutto come la sua, come in verità era prevedibile: tutto l’arredamento, a «casa», era lithiano, eccetto naturalmente il laboratorio e poche altre diavolerie terrestri.
— Abbiamo laminato numerose meteore metalliche, prese nei nostri musei, e le abbiamo battute come avevate consigliato — Chtexa gli stava dicendo, mentre si liberava dell’impermeabile e degli stivali. — Come avevate previsto, si sono rivelate intensamente magnetiche. Attualmente, abbiamo mobilitato tutto il nostro pianeta per la raccolta di questi meteoriti di ferro e nichel e il loro invio qui, ai nostri laboratori elettrici, indipendentemente dal posto in cui sono stati trovati. Il personale del nostro osservatorio astronomico cerca di predire eventuali cadute di stelle cadenti. Purtroppo, le meteore sono rare sul nostro mondo. Secondo i nostri astronomi, noi non abbiamo mai subito le «piogge» che voi dite siano frequenti sul vostro pianeta d’origine.
— Già, avrei dovuto prevederlo — disse Ruiz-Sanchez, seguendo il Lithiano nella stanza principale. Anche questa non aveva niente d’eccezionale, e nella stanza non c’erano altri Lithiani.
— Oh, interessante. Perché?
— Perché nel nostro Sistema abbiamo una specie di gigantesca macina: un’intera cintura, composta di migliaia di piccoli pianeti, che descrivono un’orbita là dove ci saremmo aspettati di trovare un solo pianeta di normali dimensioni.
— «Ci saremmo aspettati?»In base forse alla legge armonica? — domandò Chtexa, sedendosi e indicando un altro puf al suo ospite. — Ci siamo spesso chiesti se esistessero veramente relazioni del genere.
— Anche noi. Ma in questo caso non c’era pianeta. I minuscoli asteroidi entrano di continuo in collisione, donde le nostre piogge di meteore.
— È difficile capire come un equilibrio così instabile abbia potuto prodursi. Avete una spiegazione?
— Nessuna veramente valida — rispose Ruiz-Sanchez. — Presso i nostri scienziati, c’è chi ritiene che esistesse veramente, lungo l’orbita degli asteroidi, un pianeta di massa considerevole, milioni di anni fa, che esplose per qualche ignoto motivo. Una catastrofe del genere accadde già a un satellite del nostro sistema, con la formazione di un grande anello dei suoi residui intorno al primario. Altri pensano che quando si formò il nostro sistema solare, le materie prime di quello che sarebbe potuto diventare un pianeta non riuscirono mai a condensarsi in un solo corpo celeste. Le due ipotesi hanno entrambe numerosi punti deboli, ma ognuna colma certe lacune dell’altra, così che forse tutt’e due hanno un fondamento di verità.
Gli occhi di Chtexa si velarono di quell’inquietante sfarfallio interno caratteristico dei Lithiani quando erano profondamente pensosi.
— Non mi pare che ci sia il modo di verificare nessuna di queste due risposte — disse alla fine. — Secondo la nostra logica, l’assenza di tali possibilità di prova rende il problema privo di senso in partenza.
— È una norma di logica che ha molti seguaci sulla Terra. Il mio collega dottor Cleaver l’approverebbe.
Ruiz-Sanchez sorrise. Aveva faticato duramente, e per lungo tempo, allo scopo di apprendere il linguaggio lithiano, e il fatto di avere riconosciuto e compreso un’affermazione così astratta come quella fatta or ora da Chtexa era una vittoria di ordine superiore a quella di una mera acquisizione di un gran numero di vocaboli.
— Immagino, comunque, che incontriate notevoli difficoltà nella raccolta di questi meteoriti — disse. — Avete offerto degli incentivi?
— Oh, certo. Tutti si rendono conto dell’importanza del progetto, e siamo tutti desiderosi di attuarlo nel modo migliore.
Non era esattamente la risposta che il prete avrebbe voluto. Cercò nella memoria l’equivalente lithiano di «ricompensa», ma non trovò null’altro all’infuori del termine che aveva già usato: «incentivi». Si accorse di non conoscere nemmeno il vocabolo lithiano per «avidità». Evidentemente, offrire ai Lithiani cento dollari per ogni meteorite consegnato sarebbe servito solo a renderli perplessi. Meglio provare un’altra via.