Il Gesuita chinò il capo. Si sentiva affranto dalla propria ignoranza. Aveva passato tutte le sue ore libere su Lithia nello studio di un libro che secondo tutte le apparenze era stato ispirato dall’Avversario medesimo, e non aveva visto nulla che contasse, nulla di rilievo in quelle 628 pagine di ciarle demoniache…
— Non è troppo tardi per tentare — disse Adriano, quasi dolcemente. — È la sola via che vi resti. — Bruscamente, il suo viso ridivenne severo, marmoreo. — Come abbiamo fatto osservare all’Inquisizione, la vostra scomunica è automatica. Non ha bisogno di essere sanzionata per divenire effettiva, e per ragioni tanto politiche quanto spirituali, non riteniamo opportuno sanzionarla per il momento. Frattanto, dovreste lasciare Roma. Ci asteniamo dall’impartirvi la nostra benedizione e la nostra indulgenza, dottor Ruiz-Sanchez. Questo Anno Santo è per voi un anno di battaglia, col mondo come ricompensa. Quando avrete vinto la battaglia, potrete ritornare a noi… non prima. Addio.
Il dottor Ramon Ruiz-Sanchez, ormai semplice laico, e condannato, lasciò Roma in aereo la sera stessa per New York. Il diluvio di eventi si accresceva intorno a lui, sempre più precipitoso; il tempo di costruire l’arca era quasi venuto. Tuttavia, mentre le acque salivano e incessantemente le parole «sono stati rimessi nelle tue mani» attraversavano le stanche distese del suo cervello, non era ai milioni di esseri formicolanti nello Stato Rifugio che pensava, ma a Chtexa. E il pensiero che un esorcismo potesse riuscire a dissolvere interamente quella grave creatura insieme con tutta la sua razza e la sua civiltà, facendole rientrare nel Grande Nulla come se non fossero mai nate, era uno strazio indicibile per lui.
Nelle tue mani… Nelle tue mani…
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
Le cifre parlavano chiaro. Si sapeva ora se non l’identità almeno il numero di coloro che avevano scelto Egtverchi come simbolo ed esponente del loro malcontento. Ed erano cifre sbalorditive. A quanto sembrava, più d’un terzo della società del ventunesimo secolo odiava dal fondo della sua anima collettiva quella stessa società.
Ruiz-Sanchez si chiese improvvisamente se (ammesso che fosse stato possibile un simile sondaggio d’opinione) nei secoli passati la proporzione fosse sempre stata la stessa.
— Credete che parlare a Egtverchi potrebbe servire a qualcosa? — Ruiz-Sanchez domandò a Michelis. Dopo le più vivaci proteste, aveva finito per accettare di vivere nell’appartamento di Michelis.
— Be’ — disse Michelis, — io non ho ottenuto niente, a parlare con lui. Con voi, la cosa potrebbe essere differente, anche se, francamente, Ramon, sono incline a dubitarne. È tanto più difficile ragionare con lui in quanto egli stesso non sembra trarre nessuna soddisfazione da tutta la faccenda.
— Egtverchi conosce meglio di noi il suo pubblico — disse Liu. — E più il numero dei suoi ascoltatori aumenta, più amaro diventa lui. Credo che gli ricordino costantemente il fatto che egli non potrà mai essere pienamente accettato sulla Terra, non potrà mai sentirsi pienamente a casa propria. Si è accorto che le sue parole interessano soltanto alle persone che come lui non si sentono a loro agio su questo pianeta. Questa diagnosi non è vera, ovviamente, ma Egtverchi la ritiene vera.
— Be’, è abbastanza vera che sarà difficile convincerlo che non sia vera — disse Ruiz-Sanchez, tristemente.
Spostò la sedia in modo da non dover vedere le api di Liu, che lavoravano alacremente nelle zone illuminate della veranda. In un altro momento non sarebbe stato capace di distogliere lo sguardo da quello spettacolo, ma ora non poteva permettersi di venire distratto.
— Senza contare — aggiunse Ramon, — che lui si rende perfettamente conto del fatto che non saprà mai che cosa voglia dire essere lithiano, malgrado la sua apparenza e i suoi caratteri ereditarii. Chtexa forse potrebbe dargliene un’idea più o meno vaga, se soltanto potessero incontrarsi… Ma no, non parlano nemmeno la stessa lingua.
— Egtverchi ha studiato il Lithiano — disse Michelis, — ma è anche vero che lo parlo molto meglio io, figurarsi. Ha letto soltanto la vostra grammatica (gli altri documenti sono ancora un segreto) e non ha avuto nessuno con cui parlare. Quando parla, cigola come una cerniera arrugginita. Però, Ramon, voi potreste fargli da interprete.
— Sì, certo, ma è materialmente impossibile. Anche se ne avessimo i mezzi, non avremmo il tempo di far venire Chtexa qui.
— Non volevo dir questo. Pensavo al CirCon, la nuova radio che «aggira il continuum», scoperta dal Conte d’Averoigne. Non so esattamente come funzioni, ma l’Albero Messaggero ha una grandissima potenza d’emissione; è possibile che d’Averoigne riesca a captarlo. Nel quale caso potreste parlare con Chtexa.
— Se credete, possiamo sempre tentare — disse il Gesuita. Rimase poi in silenzio per qualche tempo, pensando alle domande che doveva ancora rivolgere a Michelis. L’aspetto del chimico lo preoccupava, sembrava invecchiato. I suoi lineamenti erano tirati e sotto gli occhi aveva cerchi profondi, lividi. Anche Liu era mutata molto, e in peggio. Si sentiva fra i due coniugi una certa tensione, come se non fossero riusciti a trovare l’uno nell’altro conforto sufficiente per far fronte alla tensione del mondo che li circondava. — È possibile — riprese a bassa voce, — che Agronski sappia qualche cosa di utile.
— Forse — disse Michelis. — L’ho visto solo una volta, a una festa. La stessa in cui Egtverchi sollevò tutto quello scandalo. Agronski aveva uno strano modo di fare, quella sera. Ci evitava, non solo: finse addirittura di non vederci. Se ne stava seduto per conto suo, a bere come una spugna. Molto insolito da parte sua, direi.
— Come mai era venuto a quella festa?
— Oh, è un fanatico di Egtverchi.
— Proprio Agronski? Come fate a saperlo?
— Egtverchi se ne vanta esplicitamente. Ha perfino detto che conta d’avere presto dalla sua tutti i membri della Commissione. — Michelis fece una smorfia. — A giudicare da come Agronski si comporta, non potrà essere della minima utilità né a Egtverchi né a nessuno.
— Ed ecco un’altra anima ancora sulla via della dannazione — osservò tristemente il Gesuita. — Avrei dovuto immaginarlo. La vita di Agronski ha già così poco senso che non ci vorrà molto prima che Egtverchi gli tolga ogni contatto con la realtà. È sempre così che opera il Maligno: vuota gli esseri della loro sostanza.
— Non so se si debba accusare Egtverchi — disse Michelis, con voce cupa. — Salvo che come sintomo. La Terra è piena di schizofrenici. Se Agronski aveva delle tendenze verso la schizofrenia… ed è chiaro che ne aveva… allora è stato sufficiente riportarlo qui perché la tendenza desse i suoi frutti.
— A me — disse Liu, — ha dato invece un’altra impressione. Per quel poco che lo ho visto, e da quanto mi hai detto tu, mi pareva una persona spaventosamente normale: perfino disarmata, se vogliamo. Non capisco come possa essersi dedicato a qualcosa fino al punto d’impazzire, o come la tentazione abbia potuto farlo precipitare nel vuoto teologico di cui parlate voi, Ramon.
— Sotto questo spetto, Liu, siamo tutti molto simili — disse Ruiz-Sanchez, desolato. — E da quanto mi dice Mike, penso che ormai sia troppo tardi per poter fare qualcosa per Agronski. Ed egli è soltanto… soltanto un esempio di ciò che sta accadendo dappertutto, al suono della voce di Egtverchi.
— Comunque — disse Michelis, — è un errore pensare alla schizofrenia come a una malattia della ragione. All’epoca in cui si cominciava a studiarla, gli inglesi la chiamavano «malattia dei camionisti». Quando colpisce gli intellettuali, si hanno dei risultati spettacolari soltanto per il fatto che gli intellettuali possono descrivere ciò che provano: van Gogh, Lawrence, Nietzsche, Wilson… è una lista lunga, ma non è nulla a confronto di quella delle persone ordinarie che l’hanno avuta. E la proporzione è di cinquanta persone normali per un intellettuale. Agronski è soltanto il consueto tipo di vittima.