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— Che ne è stato di quella minaccia di cui parlavate? — disse Ruiz-Sanchez. — Egtverchi è riapparso sugli schermi ieri sera senza essere stato affidato a voi. Quel vostro amico dell’ONU col copricapo strano faceva minacce a vanvera?

— Credo che possa essere una delle risposte — disse Michelis, speranzoso. — Non ci ha più detto niente, e quindi posso fare soltanto delle supposizioni, ma penso che il vostro arrivo li abbia sconcertati. Si aspettavano che vi espellessero pubblicamente dall’Ordine… e il fatto che questo non sia accaduto ha rovinato il loro piano di annunciare la decisione su Lithia. Probabilmente, adesso attendono di vedere quale sarà la vostra prossima mossa.

— Lo attendo anch’io — disse Ruiz-Sanchez, cupo. — Forse non farò nulla, e questo sarà probabilmente ciò che li metterà maggiormente nella confusione. Credo che abbiano le mani legate. Egtverchi ha pronunciato il nome dei prodotti Bifalco soltanto quella famosa volta, ma sono convinto che ne faccia vendere a magazzini interi: perciò i suoi patrocinatori non saranno disposti a farlo smettere. E non vedo in che modo la Commissione Comunicazioni dell’ONU possa farlo. — Fece una secca risata. — Comunque, per decenni hanno cercato di favorire l’indipendenza del giornalismo televisivo… ed Egtverchi costituisce certamente un passo da gigante in questa direzione.

— Per il momento — disse Michelis — Egtverchi rischia di essere accusato di fomentare rivolte su scala mondiale.

— Ch’io sappia, non ha fomentato nessuna rivolta — ribatté Ruiz-Sanchez. — I tumulti di San Francisco sono scoppiati spontaneamente, per quanto se ne è saputo. E ho notato, dalle fotografie, che non c’era nessuno di quei suoi seguaci in uniforme.

— Ma ha lodato i rivoltosi e s’è preso giuoco della polizia — osservò Liu. — È come se avesse sollevato la folla egli stesso.

— Be’ — disse Michelis, — non è la stessa cosa che incitare. Capisco cosa intende dire Ramon. Egtverchi è abbastanza intelligente da non compiere nulla che possa portarlo in giudizio… e un falso arresto sarebbe una cosa pericolosissima: l’ONU finirebbe con l’incitare essa stessa alla rivolta.

— D’altra parte, che cosa potrebbero fargli, se la sua colpevolezza fosse dimostrata? — disse Ruiz-Sanchez. — È, sì, cittadino della Terra, ma le sue necessità non sono le nostre: imprigionandolo anche solo per trenta giorni rischierebbero di ucciderlo. Suppongo che potrebbero rimandarlo su Lithia, ma come dichiararlo indesiderabile senza ammettere che Lithia è come un paese straniero? Per il momento, Lithia è un protettorato, avente diritto di ammissione all’ONU come Stato membro.

— Ormai l’ammissione può scordarsela — disse Michelis. — La cosa equivarrebbe ad accantonare il piano di Cleaver.

Ancora una volta Ruiz-Sanchez sentì la stessa fitta al cuore che aveva provato quando Michelis gli aveva parlato del successo di Cleaver.

— A proposito, a che punto sono arrivati col loro piano? — domandò.

— Tutto quello che so è che gli hanno spedito quantità enormi di materiali e di attrezzature. Un altro carico partirà tra quindici giorni. Sembra che Cleaver sia in procinto di fare un esperimento cruciale, quando avrà a disposizione tutti i materiali. Fra poco tempo, quindi: le nuove astronavi coprono l’intero percorso in meno di un mese.

— Tradito ancora una volta! — disse amaramente il Gesuita.

— Non c’è nulla che possiate fare, Ramon? — domandò Liu.

— Farò da interprete a Egtverchi, se il vostro progetto si realizzerà.

— Sì, ma io…

— So cosa intendete dire — rispose Ruiz. — Sì, c’è una cosa decisiva che posso fare. E che forse servirà. Anzi, in realtà si tratta di una cosa che devo fare… — Li guardò con occhi che non vedevano. Il ronzio delle api, così reminiscente del brusio delle giungle di Lithia, lo ossessionava. — Ma non so se la farò — concluse.

Michelis riuscì a muovere le montagne. Era già formidabile in condizioni normali, ma quando era disperato e vedeva una possibile via d’uscita, nessun bulldozer era altrettanto implacabile nell’aprire una breccia.

Lucien le Comte des Bois d’Averoigne, ex Procuratore di Canarsie, ma sempre membro della confraternita della scienza, ricevette nel suo ritiro canadese Ruiz-Sanchez, Michelis, Liu ed Egtverchi, con la massima cordialità, senza accigliarsi nemmeno alla vista della figura sardonicamente silenziosa di Egtverchi, al quale strinse la mano come a un vecchio amico.

Il conte era un uomo massiccio, di alta statura, sulla sessantina. Aveva stomaco protuberante, ed era tutto scuro: aveva capelli scuri, indossava abiti scuri, era fortemente abbronzato e fumava un lungo sigaro scuro.

La stanza in cui li ricevette (Ruiz-Sanchez, Michelis, Liu ed Egtverchi) era una curiosa miscela di salotto e di laboratorio. C’erano caminetto, arredamento rustico, fucili appesi al muro, una testa d’alce imbalsamata, e una massa stupefacente di fili e macchinari elettronici.

— Non sono affatto sicuro che ci riusciremo — disse. — Tutto quello che ho qui è ancora nella fase sperimentale. Sono anni che non prendo in mano un amperometro o un saldatore, così è possibile che in tutto questo intrico di fili ci sia in qualche punto una saldatura imperfetta… ma non era lavoro che potessi affidare a un tecnico.

Li invitò a sedersi, mentre lui procedeva alle ultime regolazioni. Egtverchi rimase in piedi in fondo alla stanza, in penombra.

— Naturalmente, non potremo avere immagini — riprese il conte. — Il gigantesco transistor che mi avete descritto non emette sulla banda necessaria. Ma se siamo fortunati, avremo dei suoni… Oh!

Un altoparlante seminascosto in un intrico di fili crepitò, poi fece udire sibili lontani, ma coordinati. A Ruiz-Sanchez parevano soltanto disturbi di trasmissione, ma il conte disse: — Sto captando qualche cosa in questa banda di frequenze. Non m’aspettavo di arrivarci così presto. Comunque, non ci capisco nulla.

Anche Ruiz-Sanchez non ci capiva nulla, ma in pochi istanti superò lo stupore.

— Sono forse segnali che l’Albero emette in questo momento? — domandò, con una punta d’incredulità nella voce.

— Lo spero — rispose seccamente il conte. — Ho passato tutta la giornata a impiantare degli schermi contro le interferenze.

Il rispetto del biologo per il matematico sfiorava il timore riverente. Pensare che quel caos di fili di rame, di piccole prese nere, di oggetti rossi e marrone simili a petardi, di condensatori variabili, di massicce bobine, di tremolanti quadri indicatori, pensare che tutto ciò si spingeva direttamente attraverso il sub-etere per quasi cinquanta anni luce di spaziotempo a spiare le pulsazioni della massa cristallina sepolta sotto Xoredeshch Sfath…

— Non potreste sintonizzarvi meglio? — domandò alla fine. — Credo che si tratti delle pulsazioni che i Lithiani utilizzano per le rotte dei loro aerei e delle loro navi. Dovrebbe esserci una banda audio…

Salvo che quella banda di frequenza, rammentò, non poteva essere una banda «audio». Nessuno mai parlava direttamente all’Albero Messaggero, ma solo al singolo Lithiano che se ne stava ritto al centro della sala dell’Albero. Come quel Lithiano riuscisse a trasformare in onde radio la sostanza di quei messaggi non era mai stato spiegato a nessun terrestre.