— La qual cosa significa che è in fuga — commentò Ruiz-Sanchez.
— Già, suppongo che ciò possa darci un po’ di conforto — disse Michelis. — Ma dove potrebbe fuggire, senza venire riconosciuto? Non può mettersi a caracollare per le strade, né prendere un trasporto pubblico. Occorre un’organizzazione, per spedire segretamente qualcosa di così fuori del normale… e l’organizzazione di Egtverchi non ne sa più che l’ONU. — Spense il televisore con un gesto violento.
Liu si volse verso Ruiz-Sanchez. Sotto la patina di stanchezza, la sua espressione era piena di stupore.
— Allora, la cosa non è finita? — domandò, disperata.
— Niente affatto — disse Ruiz-Sanchez. — Ma forse è terminata la fase violenta. Se Egtverchi non comparirà entro qualche giorno, dovrò concluderne che sia morto. È impossibile che nessuno lo scorga, se è ancora in circolazione. Naturalmente, la sua morte non risolverebbe nessuno dei nostri gravi problemi, ma almeno ci toglierebbe una spada dalla testa.
Ma anche questo, riconobbe in silenzio, era parlare a vanvera. E poi, si può uccidere un’allucinazione?
— Be’, spero che l’ONU abbia imparato la lezione — disse Michelis. — Su Egtverchi, bisogna ammettere una cosa: ha fatto esplodere in pubblico tutta l’irrequietezza che covava sotto le ceneri da anni. E sotto il conformismo, anche. Adesso occorre prendere dei provvedimenti: magari prendere in mano un martello noi stessi, e fare a pezzi l’intero sistema dei Rifugi per poi dare inizio a qualcosa di nuovo. Non costerà più di quello che costerebbe riparare tutti i anni. Una cosa è certa: l’ONU non riuscirà a spegnere una cosa di questa dimensione con delle belle frasi. Dovrà fare qualcosa.
Il Klee fece sentire il suo carillon.
— Non ho voglia di rispondere — disse Michelis, serrando i denti. — Ne ho abbastanza.
— Faremmo meglio a rispondere, Mike — disse Liu. — Potrebbero essere… notizie.
— Notizie! — disse Michelis, come se fosse una parolaccia. Ma si lasciò convincere. Sotto la loro stanchezza, Ruiz-Sanchez pensò di poter scorgere qualcosa di simile a un ritorno di calore tra loro, come se, durante i tre giorni, fosse stata messa alla prova qualche profondità che prima non avevano mai raggiunto. Questo piccolo segno di qualcosa di buono lo stupì. Ch’egli cominciasse, come tutti i demonolatri, a provar piacere dal prevalere del male, o dalla sua attesa?
La chiamata veniva dall’uomo dell’ONU. Aveva un’aria molto strana, sotto quel suo bizzarro copricapo, e teneva piegata la testa, come per cogliere meglio le parole. Bruscamente, in modo accecante, Ruiz-Sanchez associò il cappello all’atteggiamento dell’uomo, e comprese che cosa fosse: una protesi acustica, molto elaborata. L’uomo dell’ONU era sordo, e, come molti sordi, si vergognava di esserlo. Il resto dell’apparecchio serviva a nascondere la propria natura.
— Dottor Michelis, dottoressa Meid, dottor Ruiz-Sanchez — disse, — non so da dove cominciare. Vogliate accettare le mie scuse più sincere per il mio modo di fare scortese e sciocco. Mio Dio, quanto ci siamo sbagliati! Siete voi che trionfate adesso! E abbiamo terribilmente bisogno di voi, se accettate di farci questo favore. E se non accettate, non potrò biasimarvi.
— Niente più minacce? — disse Michelis, con rancore.
— No, niente minacce, ma infinite scuse. Si tratta di un favore, che vi chiede il Consiglio di Sicurezza. — Sul suo viso comparve una smorfia improvvisa, che svanì subito. — Mi… Mi sono offerto come volontario per rivolgervi questa preghiera. Abbiamo bisogno di voi, subito, sulla Luna.
— Sulla Luna? E perché?
— Abbiamo trovato Egtverchi.
— Impossibile — disse Ruiz, più seccamente di quanto avrebbe voluto. — Non avrebbe mai potuto ottenere il passaggio fin là. È forse morto?
— No, non è morto. E non è sulla Luna… non volevo intendere questo.
— Ma allora dov’è, in nome di Dio?
— A bordo di un’astronave in rotta per Lithia.
Il viaggio alla Luna per razzo traghetto fu lungo, penoso e scomodo. Poiché era il solo percorso su cui non si potesse usare la superpropulsione Haertel (sulle brevi distanze un’astronave con propulsione Haertel sarebbe andata al di là della meta) quel tragitto non aveva beneficiato di nessun vero miglioramento tecnico dai tempi dei vecchi razzi di von Braun. Fu solo dopo essere passato dal razzo al trattore lunare che doveva portarli all’osservatorio del conte di Averoigne, che Ruiz-Sanchez riuscì a mettere insieme i vari pezzi della storia.
Quando Egtverchi era stato trovato a bordo d’una delle navi che portavano a Cleaver le ultime parti del suo equipaggiamento, l’astronave aveva lasciato la Terra già da due giorni. Il Lithiano era mezzo morto. In un ultimo sforzo disperato, s’era imballato da sé in una cassa, che aveva indirizzato a Cleaver, con le scritte «FRAGILE, RADIOATTIVO, NON CAPOVOLGERE» e spedito per via normale all’astroporto. Anche un Lithiano doveva patire i disagi di un simile trattamento, ed Egtverchi, oltre a essere piuttosto minuto per la sua razza, era già in fuga da varie ore al momento della spedizione.
L’astronave aveva anche a bordo un prototipo trasportabile del CirCon di Petard; e fin dalla prima prova dell’apparecchio il capitano aveva potuto comunicare al conte di avere un clandestino a bordo. Il conte ne aveva informato l’ONU per via radio. Egtverchi era stato messo ai ferri, ma sembrava allegro e in buona salute. Poiché era impossibile all’apparecchio tornare indietro, l’ONU, in definitiva, gli stava facendo un favore, a una velocità molto superiore a quella della luce.
Ruiz-Sanchez provò un’ombra di pietà per quell’essere nato esule e che trasportavano ora, chiuso come una belva tra le sbarre d’una gabbia, in attesa di sbarcarlo nel suo mondo natio, di cui non conosceva nemmeno la lingua. Ma quando l’uomo dell’ONU cominciò a far loro delle domande (occorreva un’attendibile previsione delle prossime mosse di Egtverchi) la pietà lasciò il posto alle ipotesi concrete. Era giusto e doveroso avere pietà dei bambini, ma Ruiz-Sanchez cominciava a convincersi che gli adulti, di solito, si meritano le sciagure in cui incorrono.
Il trauma che una creatura come Egtverchi avrebbe causato in una società stabile come quella di Lithia sarebbe stato esplosivo. Sulla Terra, almeno, Egtverchi era stato una sorta di mostro, di fenomeno da baraccone; su Lithia, invece, sarebbe stato considerato un altro Lithiano. E la Terra aveva avuto esperienze molteplici, in ogni epoca della sua storia, di quel genere di falsi profeti; ma un simile evento non si era mai verificato su Lithia. Egtverchi avrebbe fatto marcire quel giardino paradisiaco fino alle radici, per rifarlo a sua propria immagine, trasformando il pianeta in quell’ipotetico nemico contro cui Cleaver stava costruendo il suo arsenale!
Eppure, qualcosa di simile era accaduto anche sulla Terra, quando essa era ancora un giardino senza variazioni. Forse (O felix culpa!) succedeva sempre così, itutti i mondi. Forse l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male era come l’Yggdrasil delle leggende della terra natale di Papa Adriano, che affondava le radici nel pavimento dell’universo e che sui rami portava i pianeti: chi assaggerà i frutti dell’uno potrà assaggiare quelli dell’altro…
No, questo non doveva succedere. Lithia come Giardino contraffatto era già abbastanza pericolosa; ma Lithia trasformata in una città di Dite grande come un pianeta era una minaccia per i Cieli stessi.
L’osservatorio del conte d’Averoigne era stato eretto dall’ONU, in base alle sue direttive, al centro del cratere Stadius. Quell’antico, vastissimo cratere, agli inizi della sua storia era stato ricoperto e parzialmente calcinato dai flutti di lava che avevano costituito il Mare Imbrium. Quel che restava dei suoi bordi serviva al conte e ai suoi assistenti da bastione difensivo contro le meteoriti durante le «piogge»; tuttavia questo bastione restava al di sotto dell’orizzonte, cosa che permetteva al conte di puntare il suo telescopio in tutte le direzioni.