D’Averoigne non era diverso dalla volta precedente in cui lo avevano incontrato, ad eccezione del fatto che indossava una tuta scura invece di un abito scuro, e parve contento di rivederli. Ruiz sospettò che dovesse sentirsi a volte terribilmente solo, così estraniato sulla Luna dalla sua famiglia e dall’umanità intera.
— Ho una sorpresa per voi — disse loro. — Abbiamo terminato il nuovo telescopio: 200 metri di diametro, il complesso lenticolare composto di foglie di sodio. Sorge sul Monte Piton, poche centinaia di chilometri a nord. I cavi di collegamento ci sono stati portati ieri; ho passato tutta la notte a verificare i miei circuiti. Adesso hanno un aspetto più elegante della scorsa volta.
L’oggetto che ora il conte mostrava loro era una semplice cassa di smalto nero, grande quanto un magnetofono, e più o meno con lo stesso numero di manopole.
— Naturalmente, è più facile a farsi, ciò che intendiamo fare ora, che non captare un impulso da un trasmettitore che non è attrezzato con CirCon — ammise il conte. — Ma i risultati sono altrettanto soddisfacenti. Guardate.
Con un gesto drammatico, premette un pulsante. Sul grande schermo teso sulla parete opposta della sala osservatorio, un grande pianeta galleggiava nello spazio, circondato di nubi.
— Mio Dio! — mormorò Michelis. — Ma quello è… Lithia, non è vero, conte d’Averoigne?
— Vi prego: qui sono il dottor Petard. Sì, è Lithia. Il suo sole è visibile dalla Luna un po’ più di dodici giorni al mese. Sebbene lontano cinquanta anni luce, lo vediamo a una distanza apparente di circa trecentomila chilometri, un po’ meno di quella che divide la Terra dalla Luna. È notevole la quantità di luce che si può ottenere con un paraboloide di sodio di duecento metri e la totale mancanza di atmosfera. Ovviamente, se ci fosse un’atmosfera, non potremmo neppure avere la superficie riflettente… la gravità stessa, qui, è quasi troppa.
— Incredibile — mormorò Liu.
— E non è che il principio. Abbiamo abbracciato non solo lo spazio, ma anche il tempo. Il pianeta che abbiamo sotto gli occhi è Lithia quale è in questo momento stesso, e non Lithia qual era cinquant’anni fa.
— Complimenti — disse Michelis, impressionato. — Naturalmente, la difficoltà maggiore dev’essere stata la realizzazione pratica… ma mi pare che siate riuscito a completare l’installazione in un tempo record.
— Già, lo penso anch’io — disse il Conte, togliendosi di bocca il sigaro e mettendosi a rimirarlo con compiacenza.
— Potremmo dunque assistere all’arrivo dell’astronave di Egtverchi? — domandò l’uomo dell’ONU.
— No, temo — rispose il Conte. — Secondo gli orari che mi avete fornito, l’atterraggio dovrebbe essere avvenuto ieri e io non posso fare andare avanti e indietro il mio apparecchio sullo spettro temporale. Le equazioni lo costringono alla simultaneità, e la simultaneità è quello che ottengo. Ecco tutto.
Il tono della sua voce cambiò bruscamente. Il cambiamento lo trasformò, da un uomo grassoccio deliziato del suo giocattolo nuovo, nel filosofo e matematico Henri Petard più di qualsiasi sua affermazione.
— Vi ho invitati a tenere la vostra conferenza qui — disse, — perché desideravo che foste tutti testimoni d’un evento che spero proprio non abbia a verificarsi… Mi spiego subito:
«Sono stato pregato recentemente di verificare il ragionamento su cui si basa il dottor Cleaver per tentare l’esperimento che dovrebbe aver luogo oggi. Questo esperimento è un tentativo d’immagazzinare la totalità dell’energia liberata da un generatore Nernst durante un periodo di circa novanta secondi, grazie a un’applicazione speciale di quello che si chiama "effetto compressione".
«Ho trovato un errore nei ragionamenti di Cleaver, un errore abbastanza grave anche se non visibile immediatamente. Dato che il lithio-6 è onnipresente sul pianeta in osservazione, ogni sbaglio rischia di provocare una catastrofe totale. Ho mandato a Cleaver, per CirCon, un messaggio urgente che è stato registrato su magnetofono nell’astronave che è atterrata ieri. Avrei voluto usare l’Albero, ma, ovviamente, esso è stato abbattuto; comunque, dubito che Cleaver avrebbe accettato un messaggio da un Lithiano. Il comandante dell’astronave mi ha promesso di consegnare ad ogni costo il mio messaggio a Cleaver ancora prima del carico. Ma conosco l’incredibile cocciutaggine di Cleaver. Non è così?
— Sì — rispose Ruiz. — Dio sa quanto sia cocciuto.
— Bene, noi siamo pronti — disse ora il sedicente dottor Petard. — I miei strumenti possono registrare l’evento. Preghiamo non ce ne sia bisogno.
Il Conte era un cattolico passato all’ateismo. Il suo «preghiamo» era un’abitudine. Ma Ruiz-Sanchez non sarebbe riuscito a pregare per una simile cosa più del Conte stesso… e non poteva più lasciare al caso la decisione. La spada di San Michele era stata posta nelle sue mani in modo così evidente che anche uno sciocco avrebbe potuto vederlo.
Il Santo Padre aveva saputo che le cose sarebbero andate così. Aveva preparato tutto con l’abilità di un Disraeli. Escludendo la scomunica ufficiale, Adriano VIII aveva lasciato a Ruiz la possibilità di utilizzare, tra i doni della Grazia, l’unico che fosse adatto alla presente situazione.
E forse aveva capito, anche, che il tempo che Ruiz-Sanchez aveva dedicato al caso di coscienza, elaborato e capricciosamente iper-complicato, del romanzo di Joyce era tempo perso; un caso molto più semplice, una situazione tra. le più classiche era molto più pertinente, ma Ruiz-Sanchez non era riuscito a ravvisarla. Era il caso del bambino malato, e delle preghiere per la sua guarigione.
Al giorno d’oggi, la maggior parte dei bambini malati guariva in un giorno o poco più, grazie a un’iniezione di spettrosigmina o di qualche farmaco simile, anche se era giunto alle soglie del coma. Domanda: La preghiera è stata inutile, ed è stata la scienza temporale ad operare la guarigione?
Risposta: No, perché la preghiera è sempre ascoltata, e nessun uomo può scegliere per Dio i mezzi ch’Egli userà per esaudirla. Certamente un miracolo come un antibiotico capace di salvare una vita non è indegno della liberalità di Dio.
E la stessa risposta valeva anche per l’enigma del Grande Nulla. L’Avversario non crea se non nel senso che vuole sempre il male e fa sempre il bene. Non può arrogarsi nessun credito a causa della scienza temporale; non può nemmeno affermare con verità che un successo della scienza temporale sia uno scacco per la preghiera. In questa cosa, come in ogni altra, è costretto a mentire.
E là, su Lithia, c’era Cleaver, agente del Grande Nulla, condannato allo scacco; l’impresa stessa a cui stava ponendo mano per il servizio dell’Avversario era in procinto di distruggere tutta la sua opera. Il bastone di Tannhäuser era fiorito: «Questi sono i frutti caduti dall’albero della scienza del bene e del male.»
Ma anche mentre Ruiz-Sanchez si alzava, con sulle labbra le fiammeggianti parole di Gregorio VIII, egli esitò ancora. E se si fosse sbagliato, dopo tutto? Se Lithia fosse stata veramente il Paradiso Terrestre e il Lithiano cresciuto sulla Terra proprio il Serpente ad esso destinato?
La voce del Grande Nulla, che mormorava le sue ultime menzogne. Ruiz-Sanchez alzò la mano. La sua voce tremante echeggiò nell’oscura caverna dell’osservatorio:
— Io, sacerdote di Cristo, ordino a voi, spiriti malvagi, che agitate queste nuvole…