— Mike…
Subito, Michelis ricomparve. Teneva tra pollice e indice un batuffolo di cotone, umido di qualche soluzione, e con questo pulì delicatamente labbra e mento di Cleaver.
— Non ti agitare. Agronski è andato a prenderti da bere. Tra poco potrai parlare. Non avere fretta.
Cleaver si rilassò un poco. Lui aveva fiducia in Michelis, ma essere costretto a lasciarsi curare come un bambino era più di quanto potesse sopportare, e due lagrime di rabbia impotente gli scorsero lentamente sulle guance. Michelis gliele asciugò con un gesto rapido, quasi distratto.
Agronski ritornò portando alcune pillole nel palmo della mano.
— Ho trovato queste — disse. — Ce ne sono delle altre in laboratorio e la pressa per pillole del Padre è ancora fuori. Ci sono anche il mortaio e il pestello, ma sono stati puliti.
— Va bene, proviamo con queste — disse Michelis. — Hai visto nient’altro?
— No. C’è però una siringa a bollire nello sterilizzatore, se ciò può rivelarti qualcosa.
Michelis sbottò in un’imprecazione breve e concisa.
— Può rivelarmi che ci deve essere la giusta antitossina in qualche angolo di questa baracca — aggiunse. — Ma, a meno che Ramon non abbia lasciato delle istruzioni, non sarà facile trovare quale sia.
Parlando, sollevò la testa di Cleaver e gli introdusse le pastiglie in bocca, sulla lingua. L’acqua che seguì le pillole era fredda al primo contatto, ma una frazione di secondo più tardi fu come fuoco liquido. Cleaver boccheggiò, e nello stesso tempo Michelis gli strinse le narici. Le pillole furono inghiottite d’un colpo.
— Nessuna traccia del Padre?
— No, nessuna, Mike. Tutto è in ordine e il suo corredo è al suo posto. Le due tute da giungla sono nell’armadio.
— Forse è andato da qualcuno — disse Michelis con aria pensosa. — Chissà quanti Lithiani ha fatto in tempo a conoscere ormai. Li aveva in simpatia.
— Con un malato da curare? No, non è da lui, Mike. Ma forse è semplicemente uscito per qualche commissione, contando di rientrare al più presto…
— Sì, e l’hanno mangiato gli orchi, perché si è dimenticato di battere per tre volte il piede in terra prima di attraversare un ponte.
— Bravo, bravo: scherzaci sopra…
— No, credimi, non sto affatto scherzando. È proprio il tipo di stupidaggine che può causare la morte di un individuo in una cultura diversa dalla sua. Però non riesco a immaginare che una cosa simile succeda proprio a Ramon.
— Mike…
Michelis fece un passo e si chinò su Cleaver. Il suo volto, visto dal malato attraverso un velo di lacrime, pareva galleggiare alla deriva, staccato da tutto. Disse:
— Bene, Paul, raccontaci che cosa è successo. Ti stiamo ascoltando.
Ma era troppo tardi. La doppia dose di sedativo aveva sopraffatto Cleaver. Poté soltanto scuotere il capo, e quel movimento fece allontanare il volto di Michelis in un turbine di aloni iridati.
Ma, fatto strano, non si addormentò del tutto. Aveva già avuto quasi una normale notte di sonno, e cominciava la giornata in forza e salute. La conversazione degli altri due membri del Comitato e l’ossessiva consapevolezza della sua necessità di parlare loro prima che Ruiz-Sanchez ritornasse, contribuivano a mantenerlo, se non sveglio del tutto, almeno in uno stato di leggera trance. Inoltre, la presenza nel suo organismo di trenta grani di acido acetilsalicilico aveva notevolmente aumentato il suo consumo di ossigeno, cosa che determinava in lui non soltanto una sensazione di vertigine, ma anche una specie di precaria eccitazione emotiva. Il fatto che il combustibile che veniva bruciato per conservare quello stato di eccitazione fosse in parte il substrato proteico delle sue stesse cellule gli era ignoto, ma se anche lo avesse saputo la cosa non l’avrebbe certamente allarmato, nello stato in cui era.
Le voci continuavano a giungergli, e ad esse erano frammisti brandelli di sogni, così vicini alla superficie della sua coscienza da parere stranamente reali e nello stesso tempo assurdi e deprimenti. Negli intervalli semicoscienti egli faceva enormi quantità di progetti, tutti semplici e grandiosi a un tempo, per assumere il comando della spedizione, per comunicare con le autorità terrestri, per consegnare documenti segreti comprovanti che Lithia era inabitabile, per scavare una galleria sotto il Messico fino al Perù, per fare esplodere Lithia mediante una sola possente fusione di tutti i suoi atomi leggeri in un solo ed unico atomo di Cleaverium, l’elemento originario da cui era nato l’universo e il cui simbolo era alpha con zero…
Agronski: — Mike, vieni qui a vedere, tu che sai leggere il lithiano. Ci sono dei simboli sulla tavoletta dei messaggi, presso la porta.
(Dei passi.)
Michelis: — Dice che in questa casa c’è un malato. I segni non sono così disinvolti e abili da essere stati fatti da. un indigeno. Gli ideogrammi sono difficili a tracciarsi rapidamente, se non si ha molta pratica. Deve essere stato Ramon a scriverli.
Agronski: — Se almeno potessimo sapere dove è andato. Strano che non abbiamo visto il messaggio quando siamo arrivati.
Michelis: — Non ci vedo nulla di strano. Era buio, e non lo cercavamo.
(Passi. La porta che si chiude, senza sbattere. Rumore di passi. Scricchiolio di sedili.)
Agroski: — Be’, bisognerà cominciare a pensare al nostro rapporto. A meno che queste maledette giornate di venti ore non mi abbiano confuso del tutto, la nostra permanenza qui volge alla fine. Sei sempre dell’opinione di aprire il pianeta?
Michelis: — Sì. Non ho ancora visto nulla per convincermi che ci sia su Lithia il minimo pericolo per noi. Eccettuato forse la malattia di Cleaver, ma non credo che il Padre lo avrebbe lasciato solo, se fosse veramente grave. E non vedo come i terrestri potrebbero nuocere a questa società lithiana: troppo stabile, economicamente, emotivamente e sotto ogni altro aspetto.
(«Pericolo, pericolo» diceva qualcuno nel sogno di Cleaver. «Esploderà. È tutto un complotto clericale.» Poi tornò parzialmente desto, e si accorse di quanto gli facesse male la bocca.)
Agronski: — Secondo te, perché questi due buffoni non ci hanno mai chiamato?
Michelis: — Non ne ho la minima idea. E non voglio farmela se non quando avremo parlato con Ramon. O quando Paul non sia in grado di mettersi a sedere e di accorgersi della nostra presenza.
Agronski: — Non mi piace l’aria che tira, Mike. Questa città si trova esattamente nel cuore della rete di comunicazione di tutto il pianeta: è proprio per questo che l’abbiamo scelta, per tutti i diavoli! E ciò nonostante, nemmeno una parola, Cleaver malato, il Padre scomparso… Il fatto è che ci sono un mucchio di cose che non sappiamo ancora di Lithia, questo è quanto.
Michelis: — Anche del Brasile centrale c’è un mucchio di cose che tuttora non sappiamo, per non parlare di Marte o della Luna.
Agronski: — Nulla d’essenziale, Mike. Quello che sappiamo della periferia del Brasile ci dà tutte le informazioni che ci occorrono sull’interno… perfino informazioni sui pesci che mangiano la gente, come diavolo si chiamato, i pirana. Ma per Lithia è diverso. Non sappiamo se le informazioni periferiche che possediamo siano pertinenti, o se si tratti di osservazioni accidentali. Qualche cosa di enorme potrebbe essere nascosto sotto la superficie, senza che noi si possa scoprirlo.
Michelis: — Agronski, piantala di parlare come il supplemento domenicale di un quotidiano. Sottovaluti la tua stessa intelligenza. Quale specie di enorme segreto potrebbe esserci? Che i Lithiani sono antropofagi? Che sono capi di bestiame riservato ai pasti di divinità ignote, viventi nella giungla? O che siano invece super-esseri sotto mentite spoglie, capaci di far compiere voltafaccia alle anime, lavare i cervelli, fermare i cuori, congelare il sangue, strappare le viscere? Nello stesso istante in cui tenti di dare corpo a un’ipotesi del genere, non puoi fare a meno di respingerla in quanto assurda: è una paura che può allarmarti soltanto in astratto. Non c’è bisogno neppure di esaminarla, né di studiare un piano per affrontarla se dovesse risultare vera.