— Okay, Settimo, venite avanti. — Mentre ci stavamo avviando, uno degli esseri si mosse, con un lieve brivido, e Cortez passò sopra di esso il raggio del laser, con un gesto quasi negligente. Il raggio aprì uno squarcio profondo un palmo nel corpo della creatura, che morì, come le altre, senza emettere un suono.
Erano meno alti di noi umani, ma più tozzi. Erano coperti d’una pelliccia verdescura, quasi nera… riccioli bianchi, là dove il pelame era stato strinato dal laser. Sembrava avessero tre gambe e un braccio solo. L’unico ornamento delle teste irsute era una bocca, un umido orificio nero, pieno di piatti denti neri. Erano assolutamente ripugnanti, ma il particolare peggiore non era costituito da una diversità, bensì da una somiglianza… Dove il laser aveva squarciato una cavità interna, si riversavano all’esterno globi venati e lucidi, lattei, e grovigli di organi, e il loro sangue era rosso scuro.
— Rogers, dai un’occhiata, taurani o no?
La Rogers si inginocchiò accanto a uno degli esseri sbudellati e aprì una cassetta piatta di plastica, piena di scintillanti ferri chirurgici. Scelse un bisturi. — C’è un modo per scoprirlo. — Doc Wilson stava a guardare al di sopra della sua spalla, mentre lei incideva metodicamente la membrana che ricopriva parecchi organi.
— Ecco. — Sollevò una massa fibrosa e nerastra tra due dita, in una parodia di schizzinosità, data quell’armatura.
— Allora?
— È erba, sergente. Se i taurani sono erbivori e respirano l’aria, certamente hanno trovato un pianeta straordinariamente simile al loro. — Gettò via la massa nerastra. — Sono animali, sergente, solo fottuti animali.
— Non so — disse Doc Wilson. — Solo perché camminano a quattro zampe, o forse a tre, e mangiano l’erba…
— E va bene, controlliamo il cervello. — La Rogers ne trovò uno che era stato colpito alla testa e scrostò dalla ferita i tessuti superficiali carbonizzati. — Guarda un po’.
Era quasi osso massiccio, lei tirò e scarruffò i peli sulla testa di un altro. — Ma che cosa diavolo ha, come organi sensoriali? Niente occhi, né orecchi, né… — Si rialzò. — In quella fottuta testa non c’è altro che una bocca e dieci centimetri di cranio: e per proteggere un bel niente.
— Se potessi scrollare le spalle, le scrollerei — disse il dottore. Questo non dimostra niente… non è necessario che un cervello abbia l’aspetto d’un gheriglio di noce ammuffito e che sia piazzato dentro alla testa. Magari quel cranio non è osso, magari è quello il cervello, una specie di griglia di cristalli…
— Già, ma quel fottuto stomaco è al posto giusto, e se quelli non sono intestini sono disposta a mangiarmi…
— Sentite — fece Cortez — questo è molto interessante, ma a noi basta sapere se questi cosi sono pericolosi, e poi dobbiamo andare avanti. Non possiamo star qui a…
— Non sono pericolosi — cominciò la Rogers. — Non…
— Medico! Doc! - Qualcuno che era rimasto con la fila dei tiratori agitò le braccia. Doc si avviò di corsa, seguito da tutti noi.
— Cos’è successo? — Mentre correva, Doc si era sganciato la cassetta del pronto soccorso dalle spalle.
— È la Ho. Ha perso i sensi.
Doc spalancò lo sportello del monitor biomedico della Ho. Non ebbe bisogno di guardare molto a lungo. — È morta.
— Morta? — fece Cortez. — Cosa diavolo…
— Un minuto solo. — Doc innestò una spina nel monitor e trafficò con alcuni quadranti della sua cassetta. — Qui sono registrate tutte le letture dei dati biomedici di tutti quanti, per le ultime dodici ore. Sto tornando indietro, dovrei riuscire a… ecco!
— Cosa?
— Quattro minuti e mezzo fa… deve essere successo quando avete aperto il fuoco… Gesù!
— Allora?
— Emorragia cerebrale massiccia. Nessun… — Guardò i quadranti. — Nessun… preavviso, nessuna indicazione di qualcosa fuori dell’ordinario; pressione sanguigna alta, polso elevato, ma normale date le circostanze… niente che… indichi… — Si chinò e aprì lo scafandro della morta. I fini lineamenti orientali erano distorti in una smorfia orribile, con le gengive scoperte. Un fluido viscido scorreva dalle palpebre abbassate, e da ognuno degli orecchi scendeva ancora un rivoletto di sangue. Doc Wilson tornò a chiudere lo scafandro.
— Non ho mai visto niente di simile. È come se le fosse scoppiata una bomba dentro al cranio.
— Oh, merda — disse la Rogers. — La Ho aveva la sensibilità extrasensoriale, no?
— Esatto. — Cortez sembrava pensieroso. — Bene, ascoltate tutti. Comandanti dei plotoni, controllate i vostri effettivi e vedete se qualcuno manca o sta male. Nessun altro, nel Settimo?
— Io… io ho un mal di testa terribile, sergente — disse Lucky.
Altri quattro avevano tremendi mal di testa. Uno di loro affermò di possedere una leggera sensibilità extrasensoriale. Gli altri non lo sapevano.
— Cortez, mi sembra che sia evidente — disse Doc Wilson. — Dovremo girare alla larga da questi… mostri, e soprattutto non dobbiamo far loro del male. Non possiamo rischiare, con cinque persone esposte a quello che, a quanto pare, ha ucciso la Ho.
— Certamente, maledizione, non ho bisogno che me lo venga a dire un altro. Faremmo meglio a muoverci. Ho appena riferito al capitano quello che è successo: è d’accordo che faremmo bene ad allontanarci da qui al più presto possibile, prima di accamparci per passare la notte. Riprendiamo la formazione e continuiamo nella stessa direzione. Quinto plotone, passate all’avanguardia; Secondo, tornate alla retroguardia. Tutti gli altri, come prima.
— E la Ho? — chiese Lucky.
— Ci penserà l’astronave.
Percorso mezzo chilometro, ci furono un lampo e un tuono rombante. Dove prima c’era la Ho, si levò una nuvola luminosa e vaporosa a forma di fungo, che ribollì e si dissolse contro lo sfondo del cielo grigio.
13
Ci fermammo per passare la "notte" — in realtà il sole sarebbe tramontato solo dopo altre settanta ore — in cima a una piccola altura, a una decina di chilometri dal punto dove avevamo ucciso gli alieni. Ma non erano loro gli alieni, rammentai a me stesso… lo eravamo noi.
Due plotoni si disposero in cerchio intorno agli altri, e noi ci lasciammo cadere esausti. Ad ognuno spettavano quattro ore di sonno e poi due ore di servizio di sentinella.
La Potter venne a sedersi vicino a me. Con il mento, feci scattare la sua frequenza.
— Ciao, Marygay.
— Oh, William. — Attraverso la radio, la sua voce era rauca e crepitante. — Dio, è così orribile.
— Adesso è passato…
— Io ne ho ucciso uno, al primo istante. Gli ho sparato diritto nel… nel…
Le posai una mano su un ginocchio. Il contatto causò un ticchettio di plastica, e io tirai indietro la mano; negli occhi avevo visioni di macchine che si abbracciavano, si accoppiavano. — Non devi sentirti responsabile, Marygay: se una colpa esiste è… è… di tutti noi… in parti eguali, ma con una tripla porzione per Cor…
— Voi soldati piantatela di chiacchierare e dormite. Siete tutti e due di guardia fra due ore.
— Okay, sergente. — La voce di Marygay era triste e stanca in modo insopportabile. Avevo l’impressione che, se avessi potuto toccarla, avrei assorbito quella tristezza come un filo assorbe la corrente, ma tutti e due eravamo prigionieri nel nostro mondo di plastica…
— Buonanotte William.
— ’Notte. — È quasi impossibile eccitarsi sessualmente dentro a uno scafandro, con il tubo dell’evacuazione e tutti i sensori di cloruro d’argento che ti pungolano, ma fu proprio quella la reazione del mio corpo all’impotenza emotiva: forse a causa del ricordo di sonni più piacevoli in compagnia di Marygay, forse a causa del pensiero che in mezzo a tutta quella morte poteva venire presto la morte individuale, si alzò la gru della procreazione per un ultimo tentativo… pensieri deliziosi. Mi addormentai e sognai che ero una macchina, e imitavo le funzioni della vita, e avanzavo goffamente nel mondo, cigolando e sferragliando, e la gente era troppo educata per dire qualcosa, ma mi rideva alle spalle, e l’omino piccolo piccolo che stava seduto dentro alla mia testa, e tirava le leve e le barre e scrutava i quadranti, era esasperato e collezionava quelle offese in vista del giorno in cui…