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Uno degli infermieri piantò un ago lungo dieci centimetri nella coscia di Marygay e cominciò a trasfonderle il sangue da un sacco di plastica.

— Scusate il ritardo — disse Doc Wilson con voce stanca. — C’è molta richiesta. Cosa dicevi della tuta?

— La Potter aveva già avuto due lesioni di poco conto. La tuta non aderisce a dovere, sotto l’effetto della pressione fa le grinze.

Quello annuì distrattamente, mentre le controllava la pressione sanguigna. — Qualcuno mi dia… — Qualcuno gli porse un tovagliolo di carta sgocciolante acqua. — Uh, le avete dato qualcosa?

— Una fiala di Anti-shock.

Doc Wilson appallottolò il tovagliolo di carta e lo mise nella mano di Marygay. — Come si chiama? — Glielo dissi.

— Marygay, non possiamo darti dell’acqua da bere, ma puoi succhiare questo. Adesso ti punterò negli occhi una luce intensa.

Mentre le guardava la pupilla chiese: — Temperatura? — e uno della sanità lesse un numero sulla cassetta degli indicatori e ritirò una sonda. — Ha passato sangue?

— Sì. Un po’.

Doc Wilson posò delicatamente la mano sulla benda a pressione. — Marygay, puoi girarti un po’ sul fianco destro?

— Sì — disse lei lentamente, e puntellò il gomito per far leva. No — disse allora, e si mise a piangere.

— Su, su — fece lui distrattamente, e le spinse il fianco, quanto bastava per guardarle la schiena. — Solo una ferita — borbottò. Ma ha perso un sacco di sangue.

Premette due volte il lato del suo anello, e se l’accostò all’orecchio, scuotendolo. — C’è qualcuno a bottega?

— Harrison, a meno che lo abbiano chiamato da qualche parte.

Si avvicinò una donna, e in un primo momento non la riconobbi, così pallida e scarmigliata, con la tunica chiazzata di sangue. Era Estelle Harmony.

Doc Wilson alzò la testa. Altri clienti, dottor Harmony?

— No — fece lei con voce spenta. — L’addetto alla manutenzione aveva una doppia amputazione traumatica. È vissuto solo pochi minuti. Adesso lo tengono artificialmente in funzione per utilizzarne gli organi per i trapianti.

— E tutti gli altri?

— Decompressione esplosiva. — La Harmony fiutò l’aria. — Posso fare qualcosa, qui?

— Sì, un minuto solo. — Doc Wilson riprovò con l’anello. — Dio lo maledica. Sai dov’è Harrison?

— No… be’, forse potrebbe essere in Chirurgia B, se c’è qualche difficoltà a tenere in efficienza il cadavere. Ma credo che sia tutto a posto.

— Già, bene, diavolo se come…

— Finito! — disse l’infermiere con il sacco del sangue.

— Un altro mezzo litro per via femorale — disse Doc Wilson. — Estelle, ti spiace prendere il posto di uno degli infermieri, qui, e preparare la ragazza per la chirurgia?

— No, almeno avrò qualcosa da fare.

— Bene… Hopkins, va’ su a bottega e porta giù una lettiga e un litro, uhm, due litri di fluorocarbonio isotonico con lo spettro primario. Se sono Merck, sopra ci sarà scritto "spettro addominale". Trovò un lembo della manica che non era macchiato di sangue e ci si asciugò la fronte. — Se trovi Harrison, mandalo in Chirurgia A e digli che prepari la sequenza anestetica per un intervento addominale.

— E portiamo la ragazza in Chirurgia A?

— Giusto. Se non riesci a pescare Harrison, di’ a qualcuno.

E puntò il dito nella mia direzione. — Questo qui, per portare su la paziente all’A; tu vai avanti e prepari la sequenza.

Prese la borsa e guardò nel suo interno. — Potremmo cominciare la sequenza già qui — borbottò. — Ma diavolo, senza parametadone… Marygay? Come ti senti? Lei stava ancora piangendo.

— Mi fa… male.

— Lo so — disse Doc Wilson dolcemente. Rifletté per un secondo poi disse a Estelle: — È impossibile stabilire esattamente quanto sangue ha perduto. Può darsi che lo abbia passato sotto la pressione. E ce n’è un po’ che ristagna nella cavità addominale. Dato che è ancora viva, non credo che l’emorragia sotto pressione sia durata molto. Spero che non ci siano lesioni cerebrali.

Toccò il manometro collegato al braccio di Marygay. — Controlla la pressione sanguigna, e se pensi che sia il caso, dalle cinque centimetri cubi di vasocostrittore. Vado a darmi una ripulita.

Doc Wilson chiuse la borsa. — Hai qualche vasocostrittore, oltre alla fiala pneumatica?

Estelle controllò nella sua borsa. — No, solo la fiala d’emergenza… uh… sì, ho il dosaggio controllato sul vasodilatatore.

— Okay, se devi usare il vasocostrittore e la pressione sale troppo in fretta…

— Le do il vasodilatatore a due centimetri cubi per volta.

— Bene. È un sistema da matti, ma… bene. Se non sei troppo stanca, vorrei che mi assistessi nell’operazione, di sopra.

— Sicuro. — Doc Wilson salutò con un cenno del capo e se ne andò.

Estelle cominciò a fare spugnature al ventre di Marygay con alcool isopropilico. Aveva un odore freddo e pulito. — Qualcuno le ha fatto l’Antishock?

— Sì — dissi io. — Circa dieci minuti fa.

— Ah. Ecco perché Doc era preoccupato… no, hai fatto benissimo. Ma l’Antishock contiene un po’ di vasocostrittore. Altri cinque centimetri cubi potrebbero essere una dose eccessiva. — Continuò a pulire, in silenzio, alzando gli occhi quasi continuamente per controllare l’indicatore della pressione sanguigna.

— William? — Era la prima volta che Estelle dava segno di conoscermi. — Questa don… uhm, Marygay, è la tua amante? La tua amante regolare?

— Infatti.

— È molto carina. — Un’osservazione straordinaria: il corpo di Marygay era sventrato e incrostato di sangue, la faccia tutta macchiata, dove io avevo cercato di asciugare le lacrime. Immagino che solo un dottore, una donna o un innamorato fosse capace di vedere oltre tutto questo e di riconoscere la bellezza.

— Sì, davvero. — Marygay aveva smesso di piangere e teneva gli occhi chiusi, mentre succhiava le ultime gocce d’acqua dalla carta appallottolata.

— Posso darle un altro po’ d’acqua?

— Okay, lo stesso di prima. Non troppo.

Andai nel vano degli armadietti a prendere un tovagliolo di carta. Adesso che i fumi del liquido pressurizzante si erano dileguati, potevo sentire l’odore dell’aria. Non era l’odore giusto. Olio da macchina e metallo bruciato, come l’odore di un’officina per la lavorazione dei metalli. Pensai che avessero sovraccaricato il condizionatore dell’aria. Era già successo, la prima volta che avevano usato le camere antiaccelerazione.

Marygay prese l’acqua senza aprire gli occhi.

— Avete intenzione di mettervi insieme, quando tornerete sulla Terra?

— Probabilmente — dissi io. — Se ci torneremo, sulla Terra. Abbiamo ancora una battaglia.

— Non ci saranno più battaglie — disse Estelle, con voce inespressiva. — Vuoi dire che non l’hai saputo?

— Che cosa?

— Non sai che l’astronave è stata colpita?

— Colpita? — (E allora, come facevamo a essere ancora vivi?)

— Esatto. — Estelle riprese a pulire Marygay. — I vani della Squadra quattro. E il vano armature. A bordo dell’astronave non è rimasto un solo scafandro da combattimento… e non possiamo combattere in mutande.

— Cosa… I vani della squadra? E cos’è successo a quelli che c’erano dentro?

— Nessun superstite.

Trenta persone. — Chi erano?

— Tutto il Terzo plotone. La Prima squadra del Secondo plotone.

Al-Sadat, Busia, Maxwell, Negulesco. — Mio Dio.

— Trenta morti, e non si ha la più vaga idea di quello che è successo. Non si sa neanche se può ricapitare da un momento all’altro.