— Bene.
— Ah, pensa a tutte le cose splendide che potremo…
— William.
Dovetti lasciar perdere. Non sono mai stato molto abile a mentire.
— Non cercare di farmi coraggio. Parlami della saldatura nel vuoto, della tua infanzia, di qualunque cosa. Non prendermi in giro dicendomi che tornerò sulla Terra. — Girò la faccia verso la parete. — Ho sentito i dottori che parlavano nel corridoio, una mattina: credevano che dormissi. Ma era semplicemente una conferma di quello che sapevo già, che avevo capito dal modo in cui si comportavano tutti.
"Allora dimmi: sei nato nel Nuovo Messico nel 1975. E poi? Sei rimasto nel Nuovo Messico? Eri bravo a scuola? Avevi degli amici, o eri troppo bravo, come me? Quanti anni avevi quando sei andato a letto per la prima volta con una ragazza?"
Continuammo per un po’ su questo tono, impacciati. Mentre parlavamo mi venne un’idea, e quando lasciai Marygay andai subito a cercare il dottor Wilson.
— Le diamo cinquanta probabilità su cento di sopravvivere, ma è un giudizio arbitrario. Nessuno dei dati pubblicati su questo genere di cose corrisponde esattamente.
"Comunque, è certo che le sue probabilità di sopravvivenza sono tanto migliori quanto è minore l’accelerazione che deve sopportare.
"Certamente. Per quello che vale. Il commodoro farà manovrare il più dolcemente possibile, ma saranno pur sempre quattro o cinque gravità. E tre potrebbero essere già troppe: non lo sapremo finché non sarà finita."
Annuii, impaziente. — Sì, ma credo esista un sistema per esporla a un’accelerazione inferiore a quella cui saremo sottoposti tutti noi.
— Se hai inventato uno schermo antiaccelerazione — disse Doc Wilson, sorridendo — farai bene a precipitarti a brevettarlo. Potresti venderlo per una cifra enorme…
— No, Doc, in condizioni normali non servirebbe a molto: i nostri gusci funzionano meglio, e sono basati sugli stessi principi.
— Spiegati.
— Mettiamo Marygay dentro a un guscio e allaghiamo…
— Aspetta, aspetta. Assolutamente no. Le è capitato quel che le è capitato proprio per colpa di un guscio che aderiva male. E questa volta, dovrà adoperare il guscio di qualcun altro.
— Lo so, Doc, mi lasci spiegare. Non è necessario che il guscio le calzi bene, purché gli attacchi del sistema ambiente funzionino. Il guscio non dovrà essere pressurizzato dall’interno, perché lei non dovrà essere sottoposta a quella pressione di migliaia di chilogrammi per centimetro quadrato dal fluido esterno.
— Non sono sicuro di seguirti.
— È solo un adattamento di… ha studiato fisica, vero?
— Un po’, alla facoltà di medicina. Era il corso in cui riuscivo peggio, dopo il latino.
— Ricorda il principio di equivalenza?
— Ricordo che c’era qualcosa che si chiamava così. Aveva a che fare con la relatività, no?
— Uh-uh. Significa che… non c’è differenza tra il trovarsi in un campo gravitazionale e il trovarsi in una struttura accelerata equivalente… Significa che quando l’Anniversary passa a cinque gravità, l’effetto su di noi è lo stesso ce se fosse ferma su un grosso pianeta, con una gravità superficiale di cinque g.
— Mi sembra ovvio.
— Forse sì. Vuol dire che a bordo nella nave nessun esperimento potrebbe indicarle se sta accelerando o se sta semplicemente fermo su un grosso pianeta.
— Sicuro che c’è. Potresti spegnere i motori e se…
— Oppure potrebbe guardare fuori, sicuro. Ma io mi riferivo a esperimenti in condizioni di laboratorio, isolato.
— Va bene. Lo accetto. E allora?
— Conosce la legge di Archimede?
— Sicuro, la falsa corona… È questo che mi ha sempre colpito, nella fisica: fanno un gran chiasso sulle cose più ovvie, e poi quando si arriva a quelle difficili…
— La Legge di Archimede afferma che quando si immerge qualcosa in un liquido, l’oggetto riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del liquido spostato.
— È logico.
— E questo vale per qualunque tipo di accelerazione o di gravità… In una nave lanciata a cinque gravità, l’acqua spostata, se è acqua, pesa cinque volte di più dell’acqua normale a una gravità.
— Sicuro.
— Quindi, se mette a galleggiare qualcuno in una vasca d’acqua, in modo che non abbia peso, continua a non averne anche quando l’astronave arriva a cinque gravità.
— Un momento, figliolo. Fin qui ci sono arrivato. Ma non funzionerebbe.
— Perché no? — Provai la tentazione di dirgli di occuparsi di pillole e di stetoscopi e di lasciare la fisica a me, ma fu un bene che mene stessi zitto.
— Cosa succede quando lasci cadere una chiave inglese a bordo di un sommergibile?
— Un sommergibile?
— Esatto. Anche quelli funzionano in base al principio di Archimede…
— Uhg! Ha ragione. Gesù. Non ci avevo pensato.
— La chiave inglese cade sul pavimento, esattamente come se il sommergibile non fosse privo di peso. — Doc Wilson guardò nel vuoto, battendo una matita sulla scrivania. — Quello che hai descritto è un sistema molto simile a quello che adoperiamo per curare i pazienti con gravi lesioni alla pelle… ustioni, per esempio… sulla Terra. Ma non offre nessun appoggio agli organi interni, a differenza dei gusci antiaccelerazione, perciò nel caso di Marygay non servirebbe a niente…
Mi alzai per andarmene. — Mi scusi se le ho fatto perdere…
— Fermati un momento. Forse potremmo sfruttare in parte la tua idea.
— E cioè?
Neanch’io ci avevo pensato bene. Naturalmente, il solito modo con cui usiamo i gusci per Marygay non andrebbe bene. — Preferivo non pensarci. Occorre un bel po’ di condizionamento ipnotico per starsene lì sdraiati con il fluorocarbonio ossigenato che ti entra a forza da tutti gli orifici naturali del corpo e da uno artificiale. Toccai la valvola innestata proprio sopra l’osso dell’anca.
— Già, è ovvio, la farebbe a pezzi… cioè, lei intende dire, la bassa pressione…
— È esatto. Non avremo bisogno di migliaia di atmosfere per proteggerla contro un’accelerazione in linea retta a cinque gravità; servono solo per tutte quelle sterzate e schivate… Adesso chiamo la Manutenzione. Scendi nel vano della tua squadra: adopereremo quello. Dalton ti raggiungerà lì.
Mancavano cinque minuti all’ingresso nel campo della collapsar, e io cominciai la sequenza dell’allagamento. Marygay e io eravamo soli, nei gusci; la mia presenza non era necessaria perché all’allagamento e allo svuotamento poteva provvedere il Controllo. Ma è meglio esagerare in fatto di precauzioni, e poi ci tenevo a essere lì.
Era molto meno orribile della procedura normale: non c’era la solita sensazione di essere schiacciati e di scoppiare. All’improvviso ti trovavi pieno di quella roba dall’odore di plastica (non te ne accorgevi, al primo momento, quando si precipitava dentro a sostituire l’aria nei polmoni); e poi c’era una leggera accelerazione, e poi stavi respirando di nuovo l’aria, in attesa che il guscio si aprisse. E poi staccare i cavi e aprire le chiusure lampo e uscire fuori…
Il guscio di Marygay era vuoto. Mi avvicinai e vidi del sangue.
— Ha avuto un’emorragia. — La voce di Doc Wilson echeggiava, sepolcrale. Mi voltai, con gli occhi che mi bruciavano, e lo vidi appoggiato alla porta. Orribilmente, inspiegabilmente, sorrideva.
— Proprio come avevamo previsto. La sta curando il dottor Harmony. Si rimetterà presto.
21
Dopo una settimana, Marygay camminava; dopo due "fraternizzava" e dopo sei fu dichiarata completamente guarita.