Un gentiluomo di un certo tipo l’avrebbe aiutata a spogliarsi e poi sarebbe uscito con discrezione. Un gentiluomo di un altro tipo si sarebbe precipitato fuori dalla porta. Poiché non appartenevo a nessuna delle due categorie, mi avvicinai, deciso a stare al gioco.
Per fortuna, forse, lei si addormentò prima che avessimo avuto il tempo di cominciare. Restai ad ammirarla a lungo e poi, immensamente imbarazzato, riuscii a raccogliere tutta la sua roba e a rivestirla.
La sollevai dal letto, dolce peso, e poi mi resi conto che se qualcuno mi avesse visto mentre la riportavo nella sua cabina, sarebbe diventata lo zimbello di tutti per il resto della campagna. Chiamai Charlie, gli dissi che avevamo bevuto un po’ e che Diana si era sentita male e gli chiesi se era disposto a venire da me per bere qualcosa o per aiutarmi a riportare a casa la cara dottoressa.
Quando Charlie bussò, lei era innocentemente abbandonata su una sedia, e russava piano.
Charlie la guardò e sorrise. — Medico, cura te stesso. — Gli offrii la bottiglia e un avvertimento. La fiutò e fece una smorfia.
— Che cos’è, vernice?
— Una porcheria che hanno combinato i cuochi. Distillazione sotto vuoto.
Charlie la posò con cautela, come se potesse esplodere. — Prevedo un imminente calo di clienti. Un’epidemia di morti per avvelenamento… Diana ha bevuto davvero questo schifo?
— Be’, i cuochi hanno ammesso che l’esperimento non era riuscito. Gli altri sapori evidentemente sono potabili. Sì, l’ha bevuto e le è piaciuto.
— Bella questa… — Charlie scoppiò a ridere. — Accidenti! Allora, tu la prendi per le gambe e io per le braccia?
— No, senti, prendiamo un braccio per ciascuno. Magari riusciamo a farla camminare.
Diana gemette un po’ quando l’alzammo dalla sedia, aprì un occhio e disse: — Ciao, Charliiie. — Poi richiuse l’occhio e si lasciò trascinare fino alla sua cabina. Lungo il percorso non ci vide nessuno, ma la sua compagna di cuccetta, la Laasonen, era alzata e leggeva.
— Ha proprio bevuto quella roba, eh? — Guardò l’amica con ironia affettuosa. — Qua, lasciate che vi aiuti.
Fra tutti e tre, riuscimmo a metterla a letto. La Laasonen le scostò i capelli dagli occhi. — Aveva detto che era un esperimento.
— È più devota alla scienza di me — disse Charlie. — E ha anche lo stomaco più forte.
Sarebbe stato meglio che non lo avesse detto.
Diana ammise timidamente che non ricordava più niente di quello che era successo dopo il primo bicchiere, e parlando con lei dedussi che era convinta che Charlie fosse sempre stato presente. Il che era un bene, naturalmente. Ma, oh, Diana, mia deliziosa eterosessuale potenziale, permettimi di offrirti una bottiglia di ottimo scotch, la prima volta che arriveremo in porto. Fra settecento anni.
Tornammo nelle vasche per il salto da Resh-10 a Kaph-35. Furono due settimane a venticinque gravità; poi altre quattro settimane di routine a una gravità.
Io avevo annunciato la mia politica della porta aperta, ma in pratica non ne approfittò nessuno. Vedevo pochissimo la truppa, e quelle occasioni erano sempre negative: li interrogavo sul ripasso dell’addestramento, facevo ramanzine, e qualche volta tenevo lezioni. Ed era raro che quelli parlassero in modo intelligibile, se non per rispondere a una domanda diretta.
Quasi tutti conoscevano l’inglese come lingua madre o come seconda lingua, ma in quei quattrocentocinquant’anni era tanto cambiato che li capivo a malapena, soprattutto se lo parlavano in fretta. Per fortuna, durante il primo addestramento avevano imparato tutti l’inglese del Ventunesimo secolo: quella lingua, o dialetto, era la lingua franca temporale, grazie alla quale un soldato del Venticinquesimo secolo poteva comunicare con qualcuno che era stato contemporaneo dei suoi nonni di diciannove generazioni prima. Se l’istituzione dei nonni esisteva ancora.
Pensai al mio primo comandante, il capitano Stott — che avevo odiato cordialmente, insieme con tutto il resto della compagnia — e cercai di immaginare ciò che avrei provato se lui fosse stato un deviante sessuale e se io fossi stato costretto a imparare un’altra lingua per sua comodità.
Quindi avevamo dei problemi di disciplina, sicuro. Ma era già un miracolo che ci fosse la disciplina. Di questo era responsabile la Hilleboe, e per quanto personalmente avessi poca simpatia per lei, dovevo riconoscere che sapeva far filare la truppa.
Quasi tutte le scritte scarabocchiate sulle pareti della nave alludevano a improbabili geometrie sessuali tra il secondo ufficiale di campo e il suo comandante.
Da Kaph-35 balzammo a Sarnk-78, e da lì ad Ayin-129 e finalmente a Sade-138. In generale, i balzi erano di poche centinaia d’anni-luce, ma l’ultimo fu di 140.000, il più lungo da collapsar a collapsar mai compiuto da un veicolo con uomini a bordo.
Il tempo trascorso nel passare da una collapsar all’altra era sempre lo stesso, indipendentemente dalla distanza. Ai tempi in cui avevo studiato fisica io, si pensava che la durata di un balzo fosse esattamente zero. Ma un paio di secoli dopo, avevano effettuato un complicato esperimento con onde guida e avevano dimostrato che in effetti il balzo durava una piccola frazione di un nanosecondo. Non sembra molto, ma avevano dovuto ricostruire la fisica partendo dalle fondamenta già quando avevano scoperto il balzo tra collapsar; e avevano dovuto smontarla di nuovo quando avevano accertato che ci voleva del tempo per andare da A a B. I fisici ne discutevano ancora.
Comunque, noi avevamo problemi più urgenti, quando schizzammo fuori dal campo collapsar di Sade-138 a tre quarti della velocità della luce. Era impossibile accertare, sul momento, se i taurani ci avessero preceduti. Lanciammo una sonda pre-programmata che avrebbe decelerato a 300 gravità e avrebbe dato un’occhiata preliminare in giro. Ci avrebbe avvertiti, se avesse scoperto altre astronavi nel sistema, o tracce di attività taurana su qualcuno dei pianeti della collapsar.
Dopo aver lanciato la sonda, ci chiudemmo nelle vasche e i computer incominciarono una nuova manovra evasiva della durata di tre settimane, mentre l’astronave rallentava. Non era un problema; ma tre settimane sono parecchio lunghe da passare congelati nella vasca. Dopo, per un paio di giorni, ci trascinammo in giro come vecchi invalidi.
Se la sonda ci avesse informati che i taurani erano già nel sistema, saremmo scesi immediatamente a una gravità e avremmo cominciato a usare i caccia e le sonde automatiche, armati di bombe nova. O forse non saremmo vissuti tanto a lungo: qualche volta i taurani ce la facevano a liquidare un’astronave poche ore dopo che era entrata in un sistema. Morire nella vasca forse non era il modo migliore di andarsene.
Impiegammo un mese per ritornare a un paio di unità astronomiche da Sade-138, dove la sonda aveva trovato un pianeta che faceva al caso nostro.
Era un pianeta strano, un po’ più piccolo della Terra, ma più denso. E non era il solito mondo criogenico, come quasi tutti i pianeti portale, sia per il colore che irradiava dal suo nucleo, sia perché la S Doradus, la stella più luminosa di tutta la Nube, era distante solo un terzo d’anno-luce.
La caratteristica più strana del pianeta era la mancanza di geografia. Dallo spazio sembrava una palla da biliardo lievemente danneggiata. Il nostro fisico, il tenente Gim, spiegò quelle condizioni indicando che la sua orbita anomala, quasi da cometa, significava probabilmente che aveva trascorso quasi tutta la sua esistenza da "pianeta vagabondo", andandosene da solo alla deriva nello spazio interstellare. C’erano buone probabilità che non fosse mai stato colpito da una grossa meteora fino a quando non era capitato dalle parti di Sade-138 ed era stato catturato… costretto a coabitare con tutti gli altri detriti cosmici che la collapsar si trascinava intorno.