Выбрать главу

Ripensandoci, credo che ci divertissimo a discutere in quel modo. Comunque, non mi guarì.

Avevo un nuovo amico che veniva sempre a sedersi sulle mie ginocchia. Era il gatto, che aveva la solita abilità di sfuggire a coloro che amano i gatti e di attaccarsi a quelli che soffrono di sinusite o che non hanno simpatia per quelle bestiole subdole. Comunque avevamo qualcosa in comune, poiché oltre me era l’unico mammifero maschio eterosessuale esistente a distanza ragionevole. Era castrato, naturalmente, ma date le circostanze non faceva molta differenza,

32

Successe esattamente 400 giorni dopo l’inizio dei lavori di costruzione. Ero seduto alla scrivania, a non controllare il nuovo elenco degli incarichi compilato dalla Hilleboe. Il gatto era sulle mie ginocchia, e faceva rumorosamente le fusa sebbene io rifiutassi di coccolarlo. Charlie era stravaccato su una sedia e leggeva qualcosa al visore. Il telefono squillò, ed era il commodoro.

— Sono qui.

— Cosa?

— Ho detto che sono qui. Una nave taurana è appena uscita dal campo della collapsar. Velocità 0,80 c. Decelerazione trenta gravità. Prendere o lasciare.

Charlie era venuto ad appoggiarsi alla mia scrivania. — Cosa? — Io spinsi giù il gatto.

— Quanto ci vuole prima che possiate inseguirla? — chiesi.

— Non appena riattacchi il telefono. — Tolsi la comunicazione e andai al computer logistico, che era il gemello di quello a bordo della Masaryk II, con cui era collegato direttamente. Mentre cercavo di ricavarne qualche cifra, Charlie manovrava il visore.

Il visore era un ologramma di circa un metro quadrato con uno spessore di mezzo metro, programmato per mostrare le posizioni di Sade-138, del nostro pianeta e di qualche altro frammento di roccia del sistema. C’erano punti verdi e punti rossi per indicare le posizioni delle nostre astronavi e di quelle taurane.

Il computer disse che il tempo minimo che i taurani avrebbero impiegato a decelerare e a tornare verso il nostro pianeta sarebbe stato un po’ più di undici giorni. Ovviamente, ci sarebbe voluta accelerazione e decelerazione massima, per quello: e in tal caso li avremmo beccati come una mosca sul muro. Perciò, come noi, avrebbero combinato a casaccio la direzione di volo e il grado di accelerazione. Sulla base di parecchie centinaia di preesistenti documentazioni sul comportamento dei nemici, il calcolatore era in grado di darci una tabella delle probabilità:

Giorni al contatto Probabilità

11: 0,000001

15: 0,001514

20: 0,032164

25: 0,103287

30: 0,676324

35: 0,820584

40: 0,922685

45: 0,993576

50: 0,999369

28,9554 MEDIANA 0,500000

A meno che, naturalmente, l’Antopol e la sua banda di allegri pirati non riuscissero a eliminarla. Le probabilità, come avevo appreso nel barattolo, erano leggermente inferiori al cinquanta per cento.

Ma sia che ci volessero 28,9554 giorni o due settimane, noi che eravamo sul pianeta dovevamo starcene lì a guardare. Se l’Antopol ce l’avesse fatta, non avremmo dovuto combattere, e infine una guarnigione regolare sarebbe venuta a rimpiazzarci; poi noi ci saremmo trasferiti alla prossima collapsar.

— Non s’è ancora mossa. — Charlie aveva regolato il visore alla scala minima: il pianeta era una sfera bianca delle dimensioni di un grosso melone e la Masaryk II era un punto verde sulla destra, alla distanza di circa otto meloni: era impossibile vederli tutti e due suillo schermo contemporaneamente.

Mentre noi guardavamo, un punto verde schizzò fuori dal punto che rappresentava la nave e se ne allontanò. Uno spettrale numero 2 apparve accanto al puntino e una proiezione nell’angolo in basso a sinistra dello schermo l’identificò: 2 — Missile automatico. Altri numeri della proiezione identificavano la Masaryk II un caccia difensivo planetario e quattordici missili automatici planetari difensivi. I sedici veicoli non erano ancora abbastanza distanti l’uno dall’altro per apparire come puntolini separati.

Il gatto mi si strofinò contro le caviglie; lo presi in braccio e lo accarezzai. — Di’ alla Hilleboe di ordinare l’adunata. Tanto vale dirlo subito a tutti.

Gli uomini e le donne non la presero molto bene, e non potevo biasimarli. Tutti c’eravamo aspettati che i taurani attaccassero molto prima, e quando quelli si erano ostinati a non farsi vivi, si era diffusa l’impressione che il Comando della Forza d’Attacco avesse commesso un errore, e che i nemici non sarebbero mai comparsi.

Volevo che la compagnia cominciasse ad addestrarsi sul serio con le armi: da quasi due anni non avevano più usato armi ad alta energia. Perciò attivai le dita-laser e feci distribuire i lanciagranate e i lanciarazzi. Non potevamo fare le esercitazioni dentro la base per timore di danneggiare i sensori esterni e il cerchio difensivo dei laser. Perciò spegnemmo metà del cerchio di laser e ci spingemmo un chilometro oltre il perimetro: un plotone per volta, accompagnato da me o da Charlie. La Rusk teneva d’occhio gli schermi del preavviso. Se qualcosa si fosse avvicinato, lei doveva lanciare un bengala, e il plotone doveva rientrare nel cerchio prima che il veicolo sconosciuto superasse l’orizzonte: in quel momento i laser difensivi sarebbero entrati automaticamente in azione, e oltre a liquidare il veicolo sconosciuto, avrebbero arrostito il plotone entro 0,02 secondi.

Non potevamo sacrificare niente di quel che c’era alla base per servircene come bersaglio, ma non fu un problema. Il primo razzo a tachioni che sparammo scavò una buca lunga venti metri, larga dieci e profonda cinque: i pezzi di roccia che erano volati via ci offrirono una quantità di bersagli, dal doppio della grandezza d’un uomo in giù.

I soldati erano in gamba, molto più di quanto si fossero dimostrati con le armi primitive nel campo di stasi. Il miglior sistema per le esercitazioni con i laser era una specie di tiro al piattello: bastava appaiare due soldati, metterne uno dietro all’altro e fargli lanciare le pietre a intervalli irregolari. Quello che sparava doveva calcolare la traiettoria della pietra e colpirla prima che toccasse il suolo. Avevano un impressionante coordinamento occhi-mano: forse il Consiglio Eugenetico aveva davvero fatto qualcosa di buono. Quasi tutti facevano centro più di nove volte su dieci, con pietre anche piccole come ciottoli. Il sottoscritto, che non era un prodotto dell’ingegneria genetica, riusciva al massimo a far centro sette volte su dieci; eppure avevo avuto molte più occasioni di far pratica.

Erano altrettanto abili nel valutare le traiettorie con il lanciagranate, che era un’arma molto più versatile di quanto non fosse stata in passato. Invece di sparare bombe da un microtone con una carica propulsiva tipo, aveva quattro cariche diverse e una scelta di bombe da uno, due, tre e quattro microtoni. E per il combattimento a distanza ravvicinata, quando usare i laser era pericoloso, la canna del lanciarazzi si poteva staccare, e la si caricava con un magazzino di proiettili "da caccia". Ogni colpo scagliava una nube in espansione di mille minuscole freccette, che a cinque metri erano mortali e a sei si trasformavano in un vapore innocuo.