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A malapena visibili negli scafandri anneriti, i dodici, uomini e donne, ci passarono accanto con un fruscio. Non appena furono lì al sicuro, si avviarono verso sinistra, fuori della nostra visuale.

— Fuoco! — Cerchi rossi di luce danzarono più avanti, dove il bunker era appena visibile. La portata massima di quelle granate da esercitazione era cinquecento metri; ma io speravo di avere fortuna, perciò puntai il lanciagranate sull’immagine del bunker, lo tenni inclinato a un angolo di quarantacinque gradi e feci partire una salva di tre colpi.

Il bunker rispose al fuoco prima ancora che le mie granate arrivassero a terra. I suoi laser automatici non erano più potenti di quelli che adoperavamo noi, ma un colpo diretto avrebbe disattivato il trasformatore d’immagini, lasciandoci ciechi. Il bunker stava sparando a casaccio, senza neppure avvicinarsi ai macigni dietro i quali stavamo nascosti.

Tre lampi fulgidissimi, come magnesio, ammiccarono simultaneamente a trenta metri dal bunker. — Mandella! Credevo che tu sapessi maneggiare quel coso!

— Accidenti, Potter… arriva a mezzo chilometro soltanto. Quando saremo più vicini, lo colpirò giusto sul tetto, tutte le volte.

— Sicuro. — Io non replicai. Non sarebbe stata in eterno al comando della squadra. E poi, non era stata una cattiva ragazza, prima che il potere le desse alla testa.

Poiché il granatiere è l’assistente del comandante di squadra, io ero collegato alla radio della Potter, e potevo sentire la Squadra B che parlava con lei.

— Potter, qui è Freeman. Perdite?

— Qui Potter… no, sembra che stiano concentrando il fuoco su di voi.

— Già, ne abbiamo perduti tre. Adesso ci troviamo in una depressione a ottanta, cento metri più avanti di voi. Possiamo coprirvi, quando siete pronti.

— Okay, cominciate. — Uno scatto sommesso: — Squadra A, seguitemi. — La Potter sgusciò fuori del riparo della roccia e accese il faro color rosa pallido sotto il suo accumulatore. Io accesi il mio e uscii per correre al suo fianco, mentre il resto della squadra si apriva a ventaglio. Nessuno sparò mentre la Squadra A ci copriva con il suo fuoco.

Tutto quel che riuscivo a sentire era il respiro della Potter e il sommesso scricchiolio dei miei stivali. Non riuscivo a vedere molto, e perciò, con un colpo di lingua, alzai il trasformatore d’immagini fino a un’intensificazione pari al logaritmo di due. L’immagine diventò un po’ confusa, ma adeguatamente luminosa. Sembrava che il bunker avesse inchiodato a dovere la Squadra A: venivano arrostiti mica male, quelli. Rispondevano al fuoco esclusivamente con i laser. Dovevano avere perduto il granatiere.

— Potter, qui Mandella. Non dovremmo cercare di distogliere un po’ il fuoco dalla Squadra B?

— Non appena riuscirò a trovare una copertura adatta. Qualcosa in contrario, soldato? — lei era stata promossa caporale giusto per la durata dell’esercitazione.

Tagliammo verso destra e ci sdraiammo dietro un lastrone di roccia. Quasi tutti gli altri trovarono un riparo nelle immediate vicinanze, ma alcuni dovettero sdraiarsi per terra.

— Freeman, qui Potter.

— Potter, qui è Smith. Freeman è fuori uso; Samuels è fuori uso. Siamo rimasti solo in cinque. Copriteci un po’, in modo che possiamo arrivare…

— Ricevuto, Smith. — Click. - Aprite il fuoco, Squadra A. La B è nei guai.

Sbirciai oltre lo spigolo della roccia. Il mio cercabersaglio diceva che il bunker era a circa trecentocinquanta metri di distanza, ancora abbastanza lontano. Puntai in alto il lanciagranate e ne sparai tre, poi lo abbassai di un paio di gradi e ne lanciai altre tre. Le prime passarono oltre il bersaglio mancandolo di una ventina di metri; poi la seconda salva divampò direttamente davanti al bunker. Cercai di mantenere quell’angolazione e lanciai quindici granate, il resto del caricatore, in quella direzione.

Avrei dovuto accovacciarmi dietro la roccia per ricaricare, ma volevo vedere dove sarebbero finite le mie quindici bombe, e perciò tenni gli occhi fissi sul bunker mentre tendevo il braccio all’indietro per sganciarmi dalle spalle un altro caricatore…

Quando il laser colpì il mio trasformatore d’immagini, ci fu un bagliore rosso così intenso che parve attraversarmi gli occhi e rimbalzare sulla parete interna del cranio. Dovettero passare solo pochi millesimi di secondo, prima che il trasformatore si sovraccaricasse e si spegnesse, ma l’immagine residua, verde viva, mi bruciò gli occhi per parecchi minuti.

Poiché ero ufficialmente "morto", la mia radio si spense automaticamente; e io dovevo restare dov’ero fino alla fine della finta battaglia. Senza altre percezioni sensoriali che il tocco della mia pelle (che era dolorante, dove aveva sfolgorato il trasformatore d’immagini) e il ronzio nelle orecchie, mi sembrò un tempo spaventosamente lungo. Alla fine, un elmo urtò contro il mio.

— Tutto a posto, Mandella? — La voce della Potter.

— Mi dispiace, sono morto di noia venti minuti fa.

— Alzati e prendi la mia mano. — Obbedii; strascicando i piedi, tornammo agli alloggiamenti. Dovemmo impiegare più di un’ora. Lei non disse altro, per tutto il percorso — quello è un sistema un po’ scomodo per comunicare — ma dopo che fummo entrati dal vano stagno e ci fummo scaldati un po’, mi aiutò a togliermi la tuta. Mi preparai a una blanda ramanzina, ma quando lo scafandro si aprì, prima ancora che i miei occhi si riabituassero alla luce, lei mi afferrò per il collo e mi piantò un bacio umido sulla bocca.

— Bel tiro, Mandella.

— Eh?

— Non hai visto? No, naturalmente… l’ultima salva, prima che venissi colpito… quattro centri diretti. Il bunker ha deciso che era stato messo fuori combattimento, e tutto quello che abbiamo dovuto fare è stato camminare per il resto del percorso.

— Magnifico. — Mi grattai la faccia, sotto gli occhi, e si staccarono dei pezzi di pelle secca. La Potter ridacchiò.

— Dovresti vederti. Sembri…

— Tutto il personale a rapporto in sala riunioni. — Era la voce del capitano. Di solito, erano cattive notizie.

La Potter mi consegnò tunica e sandali. — Andiamo. — La sala riunioni, che era anche la sala rancio, era appena in fondo al corridoio. Sulla porta c’era una fila di pulsanti per dare il "presente"; schiacciai quello sotto il mio nome. Quattro nomi erano coperti da strisce d’adesivo nero. Andava bene, quattro soltanto. Non avevamo perduto nessuno, durante le manovre di quel giorno.

Il capitano era seduto sulla pedana rialzata, il che almeno significava che non dovevamo passare per la solita stupida procedura dell’at-tenti! La sala si riempì in meno di un minuto. Lo squillo d’un campanello indicò che tutti erano presenti all’appello.

Il capitano Stott non si alzò. — Ve la siete cavata abbastanza bene, oggi. Non è rimasto ucciso nessuno, contrariamente a quello che mi aspettavo. Da questo punto di vista avete superato le mie previsioni, ma da tutti gli altri avete fatto schifo.

"Sono lieto che abbiate saputo badare a voi stessi, perché ognuno di voi rappresenta un investimento di oltre un milione di dollari, e un quarto di vita umana.

"Ma in questa battaglia simulata contro un robot molto stupido, trentasette di voi sono riusciti a mettersi sul raggio laser e a farsi ammazzare in modo simulato, e poiché i morti non hanno bisogno di cibo, voi non avrete bisogno di cibo per i prossimi tre giorni. I caduti di questa battaglia avranno diritto solo a due litri d’acqua e a una razione di vitamine al giorno."

Sapevamo che non era il caso di lanciare gemiti o altro, ma c’erano espressioni abbastanza disgustate, soprattutto sulle facce con le ciglia strinate e un rettangolo di pelle scottata, color rosa carico, intorno agli occhi.