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— Ah, vuoi dire i film storici! — esclama Judy. — Interessanti, sì. Cupi. Non sono molto realistici, ma sono sicura che lo erano per voi — aggiunge generosamente. E si rimettono a discutere tra donne se la collocazione delle galline non le esponga troppo alla luce, lasciando Lorimer a interrogarsi su come quelle che lui suppone siano le verità eterne della natura umana possano essere scomparse dalla realtà del mondo. Amore, conflitti, eroismo, tragedia; tutti «irreali»? Bene, gli equipaggi spaziali non sono mai composti da grandi lettori, però, di solito, le donne leggono di più… qualcosa deve essere cambiato, lo sente. Qualcosa di così fondamentale da intaccare la natura umana. Forse uno sviluppo fisico, una mutazione? Che cosa c’è realmente sotto quegli indumenti fluttuanti? Sono le due Judy a creargli più interrogativi. Si esercita solo con loro due, ascoltandole chiacchierare su una certa figura leggendaria, di nome Dagmar.

— La Dagmar che ha inventato l’apertura degli scacchi? — chiede.

— Sì. Lei fa di tutto. Quando va bene è grande!

— Perché, qualche volta va male? — Una delle Judy ride: si può parlare di un problema Dagmar. Lei ha la tendenza ad organizzare tutto. È bello quando va bene; ma spesso va troppo in fretta. Pensa di essere una regina, o qualcosa di simile; e allora occorrono le reti per frenare le farfalle nella sua testa.

Tutto al presente: ma Lady Blue gli ha detto che il gambitto Dagmar ha più di un secolo. «Longevità», pensa: perdio, questo è quello che nascondono! L’aver raggiunto una durata di vita doppia o tripla cambierebbe certamente la psicologia umana, trasformerebbe ogni prospettiva. Hanno conquistato una maturità eccezionale, forse? Stavano lavorando attorno al ringiovanimento delle cellule endocrine quando sono partito. Quanti anni hanno queste ragazze, per esempio? Sta per formulare una domanda, quando Judy Dakar dice: — Ero all’asilo quando lei sbagliò, ma è brava. Più tardi l’ho amata. — Lorimer, a causa della pronuncia di lei, ha delle difficoltà a capire che si tratta di un asilo comune.

— È sempre la stessa Dagmar? — chiede. — Deve essere molto vecchia.

— Oh, no, è sua sorella!

— Una sorella con cento anni di differenza?

— Volevo dire sua figlia… Sua nipote. — Comincia a pedalare più velocemente.

— Judy! — grida la sua gemella, dietro di loro.

Sorella, di nuovo. Ciascuno sembra avere uno straordinario numero di sorelle, riflette Lorimer. Sente Judy Paris rivolgersi alla gemella: — Penso di ricordare Dagmar all’asilo. Faceva uniformi per tutti, colori e numeri.

— Non dovresti ricordarla, non eri ancora nata — replica Judy Dakar. C’è un silenzio nella ruota. Lorimer si gira verso i raggi per guardarle. Due visi vivaci, arrossati, che si lanciano caldi sguardi d’intesa. Fanno lo stesso movimento nel gettare indietro la testa per liberare gli occhi dai capelli neri. Identiche… Ma la Dakar sulla bicicletta non ha forse un tratto di maturità in più, il viso più attempato?

— Avevo pensato che voi foste gemelle.

— Oh! Le Judy parlano troppo — dicono insieme, e ridono con aria colpevole.

— Voi non siete sorelle — afferma Lorimer, — voi siete ciò che noi chiamiamo «cloni». — Un altro silenzio. — Ebbene, sì — ammette Judy Dakar. — Ma ci chiamiamo sorelle. Oh, mamma! Non ritenevamo opportuno dirvelo. Myda ha detto che sareste stati terribilmente turbati. Era illegale ai vostri tempi, vero?

— Sì. Noi consideravamo immorale e contrario all’etica fare esperimenti con la vita umana. Ma, personalmente, la cosa non mi sconvolge.

— Oh, è magnifico! — esclamano insieme. — Pensiamo che tu sia diverso — dice senza riflettere Judy Paris. — Tu, be’, ci piaci di più. Per favore, non dirlo agli altri, d’accordo? Non farlo, per favore.

— È stata una coincidenza che ci fossero due come noi, qui — dice Judy Dakar. — Myda ci aveva avvertite: «Non potete aspettare un pochino?». — Due identiche paia di occhi scuri lo implorano. — Benissimo — risponde lui pacatamente, — non lo dirò subito ai miei amici. Ma se io mantengo il segreto, in cambio, voi dovrete rispondere a qualche domanda. Per esempio, quante di voi vengono create artificialmente in questo modo? — Comincia a rendersi conto che c’è veramente qualcosa sotto. Dave ha ragione, dannazione, ci nascondono qualcosa. Non sarà un bel mondo nuovo popolato da schiavi subumani e retto da manipolatori di cervelli? Zombie decerebrati, lavoratori senza stomaco né sesso, esseri privi di corteccia cerebrale dominati dalle macchine. Esperimenti mostruosi gli vengono alla mente. È stato ancora una volta ingenuo. Queste donne, apparentemente normali, possono essere la facciata di un mondo spaventoso. — Quante?

— Ci sono circa undicimila di noi — risponde Judy Dakar. Le due Judy si guardano l’un l’altra, lasciando trasparire la conferma. Non sono abituate all’inganno, pensa Lorimer. È positivo? E si diverte all’esclamazione di Judy Paris: — Non riusciamo a spiegarci perché voi riteneste che fosse un male.

Lorimer cerca di spiegarglielo, di comunicare l’orrore della manipolazione dell’identità umana, che crea vite anormali. La minaccia all’individualità, la paura che il potere possa finire nelle mani di un dittatore. — Dittatore? — echeggia una di loro senza espressione. Lui fissa i loro volti e riesce a dire solamente: — È qualcuno che fa le cose senza il consenso del popolo. Ritengo che sia triste.

— Ma è proprio quello che pensiamo di voi! — esplode la Judy più vicina. — Come vi considerate? Cosa pensate di essere, voi, tutti soli, senza sorelle con cui spartire la vita! Non sapete ciò che è possibile, ciò che è interessante provare. Siete solo dei poveri figli unici, voi… agite stupidamente e infine morite. E tutto per niente! — La voce di lei vibra.

Confuso, Lorimer vede che entrambe hanno occhi annebbiati.

— Supereremo questo momento — lo rassicura Judy.

Riprendono il ritmo, e pezzo dopo pezzo Lorimer cerca di scoprire come stiano le cose. — Niente embrioni in provetta — gli rispondono indignate. — Abbiamo madri umane come chiunque altro. Madri giovani, le migliori. Un nucleo di cellula somatica viene inserito in un ovulo enucleato, e reimpiantato nell’utero. Nella sua tarda adolescenza ogni madre ha due bambine, due «sorelle» che alleva un poco fino a quando cambia lavoro. Gli asili nido sono sempre pieni di madri.

Le idee di longevità di Lorimer suscitano il riso; non è stato raggiunto altro che un miglioramento delle regole di vita. — Possiamo raggiungere novant’anni in buona forma — gli assicurano. — Cento e otto anni, raggiunti da Judy Eagle, sono il nostro record. Ma era abbastanza mal messa, alla fine. — La stirpe stessa dei cloni è vecchia. Risale al tempo dell’epidemia: faceva parte del tentativo iniziale di salvare la specie, quando i bambini smisero di nascere, e hanno continuato a essere prodotti finora.

— È perfetto — gli dicono. — Ognuna di noi corrisponde a un libro. È proprio come in una biblioteca: tanti messaggi registrati. Il nostro è il libro di Judy Shapiro. Dakar e Paris sono nomi propri: ci chiamiamo come le città, ora.

Ridono, cercando di non parlare contemporaneamente. Le avventure, i problemi e le scoperte di ciascuna si aggiungono al genotipo di cui tutte loro sono parte. — Se si fa un errore è utile per le altre. Naturalmente cerchiamo di non farne, o per lo meno di farne di nuovi.

— Alcune delle prime non erano così perfezionate — aggiunge l’altra. — Le cose erano differenti, penso. Ora ogni tipo è in funzione di un tipo particolare di esperimenti. Le Judy, ad esempio, del cancro della pelle.

— Ma dobbiamo riverificare tutti i dati ogni dieci anni — aggiunge la Judy di nome Dakar. — È illuminante. Maturando si possono capire alcune delle cose che non avevi potuto capire prima. — Stupefatto, Lorimer cerca di immaginare come potrebbe essere ascoltare le voci di trecento anni di Orren Lorimer. Che potevano essere matematici, idraulici, artisti, vagabondi o criminali, chissà. Una continua esplorazione e un continuo perfezionamento di se stessi. E dozzine di doppie vite: i Lorimer vecchi e i Lorimer bambini. E i bambini e le donne degli altri Lorimer… Sarebbe bello o brutto? Non lo sa.