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La voce di Bud risuona monotona. — E un felice anno nuovo a tutti voi quaggiù. — E, parodiando il tono oleoso della NASA: — Ehi, perché non ci inviate un segnale? Auguri a tutti voi terrestri, cioè a tutti voi lunari. Felice anno nuovo comunque ai presenti. — Soffia buffamente. — C’è un Babbo Natale, Houston, mai visto niente di simile? Houston, ovunque voi siate — canta a squarciagola: — Ehi, Houston, ci ricevete? — Nel silenzio Lorimer vede il viso di Dave trasformarsi in quello del comandante maggiore Norman Davis. E all’improvviso è di nuovo là, un anno prima, chiuso, sbattuto nel modulo di comando del Sunbird che usciva da dietro il Sole. È la droga che mi provoca questo, pensa, mentre il ricordo lo assale. È così reale. Basta! Cerca di aggrapparsi alla realtà; di sfuggire al panico che cresce incontrollato. Ma non ci riesce, è là, librato dietro a Bud e Dave sul triplo sedile, evitando come al solito di prender posto tra loro, a discutere sull’oscuramento dell’ormai inutile oblò. Il pannello esterno è stato bruciato, può scorgere solo una macchia vivida che deve essere Spica, fluttuante attraverso la testa di Dave, che si rifà la fasciatura simile a una corona.

— Houston, Houston, qui Sunbird — ripete Dave. — Sunbird chiama Houston. Houston, ricevete? Passo. — I minuti scorrono. Per sette minuti trasmettono, per sette ricevono. Settantotto milioni di miglia sono un tratto lungo da coprire. — Il pulsante del volume è andato, ecco cos’è — dice Bud vivacemente. Lo dice almeno una volta al giorno. — Niente da fare. — La voce di Dave è calma come al solito. — È disturbato. Ancora troppe interferenze dal sole, vero Doc?

— La radiazione residua dell’eruzione è proprio in linea con noi. Potrebbero avere forti difficoltà ad individuarci. — Per la millesima volta registra la sua debole, ridicola gratificazione nell’essere consultato.

— Merda, siamo all’esterno di Mercurio. — Bud scuote la testa: — Come riusciremo a sapere chi ha vinto il campionato di baseball? — Anche questo lo dice spesso, un rituale nella notte eterna. Lorimer guarda lo splendore di Spica spinto dal riflesso della faccia riccioluta e cespugliosa di Bud. I suoi baffetti sono radi e sottili, come un biondo Fu-Manchu. L’altro angolo dell’oblò è una striscia abbagliante che deve essere ciò che resta degli accumulatori di energia fusi dalla macchia solare che li ha colpiti un mese prima e ha fuso i rivestimenti esterni degli oblò, quando Dave si è ferito alla testa contro un pannello. Lorimer doveva essere stato travolto dall’onda d’urto gravitazionale; ma egli ancora non si fidava di quell’interpretazione. Fortunatamente l’onda aveva risparmiato un pezzo dell’oblò anteriore, e avevano ancora circa venti gradi di visibilità davanti a loro. Il brillante ricamo delle Pleiadi si vedeva scorrere da lì come dentro una macchia di luce.

Dodici minuti… tredici. Lo speaker acceso e spento a vuoto. Quattordici. Niente. — Sunbird a Houston, Sunbird a Houston. Rispondete. Passo. — Dave riaggancia il microfono. — Diamogli altre ventiquattr’ore. Attesa rituale. Domani, forse, Packard risponderà.

— È bello rivedere la vecchia terra — nota Bud.

— Non stiamo sprecando carburante, ad ogni modo — gli ricorda Dave. — Ho fiducia nei calcoli di Doc: — Non sono calcoli miei, è l’elementare realtà della meccanica celeste — Lorimer riflette: in ottobre c’è solo un punto in cui la terra si può trovare. Non lo dice mai. Non è da esperto trasvolatore ricavare la posizione di due corpi in modo così intuitivo. Bud è un buon pilota e un ingegnere ancora migliore. Dave è il migliore che c’è. Non c’è orgoglio, in questo.

— Il Signore ci aiuti, Doc, se Lo abbandoniamo.

— Sarà dura rientrare se il radar è sballato — dice Bud pigramente. Tutti pensano la stessa cosa per la centesima volta. Sarà dura ma Dave ce la farà. È per questo che risparmiamo carburante. I minuti scorrono. — Ci siamo — esclama Dave. E una voce scioccante invade la cabina: — Judy? — È forte e chiara, una voce di donna. — Judy? Sono così contenta di trovarti, cosa fai su questa banda d’onda? — Bud lascia andare il fiato; c’è un istante di gelo prima che Dave afferri il microfono. — Qui Sunbird, vi riceviamo. Questa è la missione Sunbird che chiama Houston. Ah! Sunbird Uno chiama base di controllo di Houston. Identificazione, prego. Chi siete? Potete riceverci? Passo.

— Che scherzo idiota! — esclama Bud. — Qualche incredibile burlone.

— Sei in difficoltà, Judy? — insiste la voce di donna. — Ti ricevo malissimo. Aspetta un minuto.

— Qui è la missione spaziale degli Stati Uniti Sunbird Uno — ripete Dave. — La missione Sunbird chiama il centro spaziale di Houston. State occupando il nostro canale. Identificatevi. Ripeto. Identificatevi e dite se siete in grado di contattare Houston. Passo.

— Brava Judy, bello scherzo! Prova ancora — fa la ragazza. Lorimer bruscamente si avvicina al LURP, l’accumulatore sperimentale di particelle di densità a lungo raggio e ne attiva il motore di comando. Il motore stride, vibra; fortunatamente era disattivato durante l’esplosione e quindi non si è fuso. Mette al massimo gli impulsi di sondaggio e inizia una irregolare ricerca manuale. — Avete intercettato la trasmissione ufficiale della missione degli Stati Uniti al Controllo di Houston. — Dave parla con vigore: — Se non potete collegarvi con Houston spegnete, state commettendo un’infrazione federale. Ripeto, potete riportare il nostro segnale al centro spaziale di Houston? Passo.

— La trasmissione è ancora pessima — dice la ragazza. — Cos’è Houston? Chi parla, comunque? Sapete che non abbiamo molto tempo. — La sua voce è dolce ma molto nasale.

— Gesù, che sfacciataggine! — esclama Bud. — È assurdo!

— Tienila. — Dave si muove intorno al radarscopio improvvisato da Lorimer. — Qui — Lorimer indica un sottile, stabile punto, all’estremo margine del ricevitore del diffusore transcoronale. Anche Bud allunga il collo. — Uno spettro.

— C’è qualcun altro qua fuori.

— Pronto, pronto? Siamo qui, adesso. — Ancora la ragazza. — Perché vi sentiamo così debolmente? State male, l’esplosione vi ha raggiunto?

— Fermo — avverte Dave. — Qual è la posizione, Doc?

— Più di trecentomila chilometri, approssimativamente. Forse diretti lontano da noi, in direzione dell’orbita solare. Possono essere cosmonauti, una spedizione sovietica?

— Ma allora, si sono persi.