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Nel Museo degli Antichi Coloni, Codino si comportò con prudenza: non perse mai di vista Johnny ma si guardò anche alle spalle. Io indossavo una tuta da meditazione degli gnostici Zen, compreso il visore isolante e tutto il resto, e non guardai mai dalla loro parte, mentre facevo il giro del portale esterno del museo e mi teleportavo direttamente su Bosco Divino.

Mi sentii a disagio quando lasciai Johnny da solo nel museo e nel terminex di Nordholm, ma erano luoghi pubblici e quindi si trattava di un rischio calcolato.

Al momento previsto, Johnny varcò il portale d’arrivo del Mondo Albero e acquistò un biglietto per il giro turistico. La sua ombra fu costretta ad affrettarsi per non perderlo, uscì allo scoperto e s’imbarcò sullo skimmer omnibus un attimo prima della partenza. Io mi ero già sistemata sul sedile posteriore del ponte superiore e Johnny trovò un posto nella parte anteriore, secondo i piani. Ora indossavo l’abbigliamento base del turista; la mia olocamera era una delle dieci in azione, quando Codino si affrettò a prendere posto tre file dietro Johnny.

Il giro turistico del Mondo Albero è sempre divertente (papà mi ci portò per la prima volta quando avevo solo tre anni standard) ma stavolta, mentre lo skimmer si muoveva sopra i rami grandi come autostrade e girava in alto intorno al tronco che ha il diametro di Mons Olympus, reagii alla vista dei Templari incappucciati con qualcosa che s’avvicinava molto all’ansia.

Johnny e io avevamo discusso diversi modi astuti e sofisticati per seguire fin nel suo covo Codino, se si fosse fatto vedere, ed eravamo pronti a perdere settimane intere, se occorreva, per scoprire il suo gioco. Ma alla fine optai per un approccio tutt’altro che sofisticato.

L’omnibus ci aveva scaricati nei pressi del Museo Muir; la gente girava nella piazza, incerta se spendere dieci marchi nell’acquisto di un biglietto per educarsi, o puntare direttamente al negozio di regali. Raggiunsi Codino, lo afferrai per un braccio e gli dissi, in tono familiare: «Ehi, ti spiace dirmi che diavolo vuoi dal mio cliente?»

Un vecchio stereotipo dice che i lusiani sono sagaci come una sonda gastrica e quasi altrettanto spiacevoli. Se da parte mia contribuivo a confermare la prima parte di questo luogo comune, Codino andò vicinissimo a rinforzare la seconda.

Fu rapido. Anche se la mia stretta dall’aria casuale gli paralizzava i muscoli del braccio destro, il coltello nella mano sinistra entrò in azione in meno di un secondo.

Mi lasciai cadere a destra mentre la lama tagliava l’aria a un centimetro dalla mia guancia, colpii il lastrico e rotolai, poi mentre mi alzavo in ginocchio per affrontare la minaccia impugnai lo stordi tore neurale.

Nessun pericolo. Codino correva. Lontano da me. Lontano da Johnny. Spinse da parte i turisti, scantonò dietro di loro, si diresse all’ingresso del museo.

Rimisi nella fondina da polso lo storditore e presi a correre anch’io» Gli storditori sono armi ottime, a distanza ravvicinata (facili da puntare quanto il fucile a canne mozze, ma senza effetti terribili se la rosa incontra spettatori innocenti) però non valgono un fico a una decina di metri. A piena intensità, potevo procurare a tutti i turisti della piazza un brutto mal di testa, ma Codino era già troppo lontano per fermarlo. Lo inseguii.

Johnny corse verso di me. Gli feci segno di stare indietro. «A casa mia!» gli gridai. «E spranga tutto!»

Codino aveva raggiunto l’ingresso del museo e ora si era girato verso di me. Impugnava sempre il coltello.

Mi lanciai alla carica provando una sorta di gioia al pensiero dei minuti successivi.

Codino superò con un balzo il cancelletto girevole e spinse da parte i turisti per infilare la porta. Lo seguii.

Solo quando fui nella Grande Sala e lo vidi farsi largo a spintoni sull’affollata scala mobile che portava al Mezzanino dell’Escursione, capii dove era diretto.

Mio padre mi aveva portato a fare l’Escursione Templare quando avevo tre anni. I portali dei teleporter erano sempre aperti; occorrevano circa tre ore per compiere il giro turistico dei trenta mondi in cui gli ecologi templari avevano conservato parti di natura che secondo loro avrebbero compiaciuto il Muir. Non lo ricordavo con sicurezza, ma mi sembrava che i sentieri fossero piste a spirale coi portali abbastanza vicini per facilitare il transito delle guide templari e dei tecnici della manutenzione.

Merda.

Una guardia in uniforme, accanto al portale del giro turistico, vide il trambusto provocato dal passaggio di Codino e cercò di bloccare quell’intruso incivile. Anche da quindici metri vidi l’espressione d’incredulità e stupore che si dipinse sul viso della guardia di mezz’età, mentre barcollava all’indietro: il manico del lungo coltello gli sporgeva dal petto.

La guardia, probabilmente uno sbirro locale in pensione, abbassò lo sguardo; pallida in viso, toccò cautamente il manico d’osso, come se fosse uno scherzo, e crollò bocconi sulle piastrelle del mezzanino. Strilli di turisti. Qualcuno gridò di chiamare un medico. Codino diede uno spintone a una guida templare e si lanciò attraverso il portale luminoso.

La cosa non rientrava affatto nei piani.

Mi precipitai verso il portale senza rallentare.

Dall’altra parte, quasi scivolai sull’erba sdrucciolevole di un pendio. Cielo color giallo limone, su di noi. Profumi tropicali. Facce stupite si girarono dalla mia parte. Codino era a metà strada dall’altro portale; stava tagliando fra le aiuole ben curate e toglieva di mezzo a calci i bonsai potati in fogge bizzarre. Riconobbi il mondo di Fuji; sbandai lungo il pendio, tornai ad arrampicarmi fra le aiuole e seguii la pista devastata lasciata da Codino. «Fermate quell’uomo!» urlai, rendendomi conto di quanto doveva sembrare ridicolo. Nessuno si mosse, tranne un turista giapponese che alzò l’olocamera per registrare la scena.

Codino si guardò indietro, si fece largo fra un gruppo di turisti a bocca aperta, varcò il portale.

Agitai lo storditore verso la folla. «Indietro! Indietro!» gridai. Tutti si affrettarono a togliersi di mezzo.

Varcai con prudenza il portale, arma in pugno. Codino non aveva più il coltello, ma non sapevo quali altri giocattoli portasse con sé.

Luce brillante sull’acqua. Le onde violacee di Mare Infinitum. Il sentiero era una stretta passerella di legno a dieci metri sopra i sostegni galleggianti. S’allontanava con una curva dolce sopra una barriera corallina da regno delle fate e isole di sargassi e fuchi gialli, prima di curvare ancora; ma una stretta passerella tagliava verso il portale al termine del sentiero. Codino aveva scavalcato il cancello con la scritta: ACCESSO VIETATO ed era già a metà della passerella.

Superai di corsa i dieci passi che mi separavano dall’orlo della piattaforma, selezionai il raggio compresso, misi lo storditore sull’automatico totale e sventagliai intorno con il raggio invisibile come se maneggiassi una pompa da giardino.

Codino sembrò inciampare, ma poi percorse gli ultimi dieci metri e si tuffò. Imprecando m’arrampicai sul cancello senza badare alle grida d’una guida templare dietro di me. Colsi la fuggevole visione di un cartello che ricordava ai turisti di indossare l’equipaggiamento termico e poi fui al di là del portale, accorgendomi appena del formicolio che accompagna il passaggio dello schermo teleporter.

Una tempesta di neve ruggiva, frustava il campo di contenimento ad arco che trasformava il sentiero turistico in un tunnel nel candore abbagliante. Sol Draconis Septem: l’avamposto settentrionale in cui le pressioni politiche dei Templari sulla Totalità avevano fermato il progetto di riscaldamento planetario, allo scopo di salvare gli spettri artici. Sulle spalle la gravità di 1,7 g mi pesava come il giogo del mio attrezzo d’allenamento. Era un peccato che anche Codino fosse lusiano: se avesse avuto il fisico d’un normale individuo della Rete, lì non ci sarebbe stata nessuna lotta. Adesso avremmo visto chi di noi due era più in forma.