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«Non è una novità.»

«Parlo sul serio. Dovremmo tentarlo solo se riteniamo che sia di vitale importanza capire che cosa teme il Nucleo da Hyperion.»

«Lo ritengo importantissimo.»

«Ci occorre un operativo. Qualcuno abilissimo in operazioni sul piano dati. Un tipo intelligente, ma non tanto da impedire che loro rinuncino a correre il rischio. E che sia un tipo coraggioso, capace di mantenere il segreto solo per amore della burla finale cyberpuke

Sogghignai. «Conosco proprio l’uomo adatto.»

BB viveva da solo in un appartamento a buon mercato, alla base di una torre a buon mercato in un quartiere a buon mercato di TC2. Ma non c’era niente a buon mercato, nelle apparecchiature che riempivano gran parte delle quattro stanze. Quasi tutto lo stipendio di BB, nell’ultimo decennio standard, era finito in giocattoli cyberpuke d’avanguardia.

Cominciai col dire che volevamo fargli fare qualcosa d’illegale. BB rispose che in qualità di pubblico impiegato non poteva nemmeno prendere in considerazione l’idea. Domandò di che cosa si trattava. Johnny cominciò a spiegare. BB si sporse per seguirlo con attenzione; nei suoi occhi vidi l’antico brillio cyberpuke che ricordavo dai giorni del college. Mi aspettavo quasi che si mettesse a vivisezionare Johnny lì per lì solo per vedere come funziona un cìbrido. Poi Johnny arrivò alla parte interessante e negli occhi di BB il brillio si trasformò in una specie di bagliore verde.

«Quando autodistruggo la mia persona IA, il passaggio alla coscienza cìbrida richiede solo alcuni nanosecondi» disse Johnny. «Ma in quel momento la mia sezione di difese perimetriche del Nucleo verrà meno. I fagi di sicurezza riempiranno il vuoto prima che passi un numero eccessivo di nanosecondi; ma in quel lasso di tempo…»

«Ingresso nel Nucleo» mormorò BB, con occhi che brillavano come un antico VDT.

«Sarebbe davvero pericoloso» insistette Johnny. «Per quanto ne so, nessun operatore umano è mai penetrato nella periferia del Nucleo.»

BB si strofinò il labbro superiore. «La leggenda dice che Cowboy Gibson ci sia riuscito, prima della secessione del Nucleo» borbottò. «Ma nessuno ci crede. E Cowboy sparì.»

«Anche se riusciamo a penetrare, non ci sarebbe tempo sufficiente per accedere; ma possiedo le coordinate dei dati.»

«Fan-ta-sti-co» sussurrò BB. Si girò verso la console e allungò la mano verso lo shunt. «Facciamolo subito.»

«Ora?» obiettai. Anche Johnny sembrò colto alla sprovvista.

«Perché aspettare?» BB innestò lo shunt, collegò i cavetti meta-corticali, ma lasciò in folle il ponte. «Lo facciamo o ne parliamo soltanto?»

Mi spostai accanto a Johnny sul divano e gli presi la mano. Aveva la pelle fredda. Sembrava impassibile, ma immaginavo benissimo come ci si poteva sentire ad affrontare l’imminente distruzione della propria personalità e della propria esistenza precedente. Anche se il trasferimento funzionava, l’essere umano con la personalità di John Keats non sarebbe stato più “Johnny”.

«Ha ragione» disse Johnny. «Perché aspettare?»

Gli diedi un bacio. «D’accordo. Vado con BB.»

«No!» protestò Johnny, stringendomi la mano. «Non puoi aiutarlo e corri un rischio tremendo.»

La mia voce suonò decisa come quella di Meina Gladstone. «Può darsi. Ma non posso chiedere a BB di fare una cosa che io non farei. E non ti lascerò lì da solo.» Gli strinsi la mano un’ultima volta e mi andai a sedere alla console, a fianco di BB. «Come mi collego a questo maledetto aggeggio, BB?»

Avete letto tutti dei cyberpuke. Conoscete tutti la terribile bellezza del piano dati, delle strade tri-di con il loro panorama di ghiaccio nero, dei perimetri al neon, degli strani anelli e dei grattacieli luccicanti di blocchi-dati sotto le nubi sospese delle IA. Anch’io vidi questo panorama, correndo a cavalluccio sull’onda portante di BB. Fu quasi eccessivo. Troppo intenso. Troppo terrificante. Sentivo persino le nere minacce dei corpulenti fagi di sicurezza; sentivo l’odore di morte nell’alito dei virus tenia in controspinta, anche attraverso gli schermi di ghiaccio; sentivo il peso della collera delle IA sopra di noi… eravamo come insetti sotto una zampa d’elefante, e non avevamo ancora fatto nient’altro che viaggiare su vie dati approvate in una regolare missione d’accesso inventata da BB, una sorta di lavoro a casa per l’ufficio Controllo Flusso Registrazioni e Statistiche.

E portavo cavetti piantati nel cranio, vedevo cose in una versione piano dati simile a un confuso apparecchio TV in bianco e nero, mentre Johnny e BB ne vedevano la piena versione olo stim-sim così com’era.

Non so come fecero a resistere.

«Bene» mormorò BB, nell’equivalente piano dati di un sussurro. «Ci siamo.»

«Dove?» Vedevo solo un infinito labirinto di vivide luci e di ombre anche più vivide, diecimila città schierate in quattro dimensioni.

«Periferia del Nucleo» sussurrò BB. «Reggiti forte. È quasi ora.»

Non avevo braccia con cui reggermi e niente di fisico da afferrare, in quell’universo. Ma mi concentrai sulle tonalità a forma d’onda che erano il nostro camion dati e mi aggrappai.

Johnny morì in quel momento.

Ho già visto di persona un’esplosione nucleare. Quando papà era senatore, portò mamma e me alla Scuola Comando Olympus per assistere a una dimostrazione della FORCE. Come ultima esercitazione, lo scomparto panoramico degli spettatori fu teleportato su chissà quale mondo abbandonato da Dio… Armaghast, credo… e un plotone di ricognizione della FORCE:terra lanciò un’atomica tattica pulita contro un finto nemico a nove chilometri di distanza. Lo scomparto panoramico era schermato da un campo di contenimento classe 10, polarizzato, e l’atomica era solo un ordigno tattico da 50 kiloton, ma non dimenticherò mai l’esplosione, l’onda d’urto che sbatacchiò come una foglia lo scomparto da ottanta tonnellate su repulsori, l’urto fisico della luce così oscenamente vivida da costringere il polarizzatore a un buio da mezzanotte e, nonostante questo, farci venire le lacrime agli occhi.

Era peggio.

Una sezione di piano dati sembrò lampeggiare e poi implodere, mentre la realtà si riversava in uno scarico di un nero purissimo.

«Tieniti forte!» gridò BB per superare le statiche del piano dati che mi raschiavano le ossa e roteavano e rotolavano, risucchiate nel vuoto come insetti in un vortice oceanico.

In qualche modo, incredibile, impossibile, in quel frastuono pazzesco due fagi in armatura nera si spinsero verso di noi. BB ne evitò uno e gli rivolse contro le membrane acide dell’altro. Eravamo risucchiati in qualcosa di più gelido e più nero di qualsiasi vuoto possibile nella nostra realtà.

«Là!» gridò BB: l’analogo voce andò quasi perduto nel tornado d’aria della sfera dati che si lacerava.

“Là, dove?” Poi vidi una sottile linea gialla che s’increspava nella turbolenza come una bandiera nell’uragano. BB ci fece ruotare, trovò la nostra onda per portarci contro la tempesta, pareggiò coordinate che danzarono sorpassandomi troppo velocemente perché potessi vederle bene, ci ritrovammo a cavalcare la banda gialla dentro…

… dentro cosa? Fontane congelate di fuochi d’artificio. Diafane catene montuose di dati, infiniti ghiacciai di ROM, gangli d’accesso ramificati come crepe, nuvole ferrigne di bolle di processo interno semisenzienti, luminose piramidi di materiale di fonte primaria, ciascuna sorvegliata da laghi di ghiaccio nero e da eserciti di fagi.

«Merda» mormorai, a nessuno in particolare.

BB seguì la banda gialla, giù, dentro, attraverso. Sentii una connessione, come se a un tratto qualcuno ci avesse dato da trasportare un grande peso.