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«Eccolo!» gridò BB. All’improvviso si sentì un suono più intenso e più esteso del frastuono turbinoso che ci circondava e ci consumava. Non era né un clacson né una sirena, ma aveva un tono aggressivo e di avvertimento che li ricordava entrambi.

Ci stavamo arrampicando fuori da tutto. Nel vivido caos vedevo una vaga muraglia di grigio; in qualche modo intuii che si trattava della periferia: il vuoto si riduceva, ma irrompeva ancora nella muraglia come una macchia nera sempre più piccola. Ci stavamo arrampicando fuori.

Ma non abbastanza in fretta.

I fagi ci colpirono da cinque lati. Nei dodici anni in cui ho fatto l’investigatore, mi hanno sparato una volta e accoltellato due. Ho avuto ben più dell’attuale costola rotta. Quest’esperienza faceva più male di tutte le altre messe insieme. BB lottava e si arrampicava nello stesso tempo.

Il mio contributo alla situazione d’emergenza fu un urlo. Sentii su di noi gelidi artigli che ci tiravano sotto, che ci riportavano nel bagliore, nel frastuono, nel caos. BB usava un qualche programma, una sorta di formula magica, per tenerli a bada. Ma non bastava. Sentivo i colpi andare a segno… non solo contro di me, ma soprattutto contro l’analogo matrice che era BB.

Affondavamo. Forze inesorabili ci avevano a rimorchio. A un tratto sentii la presenza di Johnny, come se una mano enorme e possente ci avesse raccolti e sollevati al di là della muraglia periferica, un istante prima che la macchia spezzasse la nostra linea vitale d’esistenza e che il campo difensivo si chiudesse come i denti d’acciaio di una tagliola.

Ci muovemmo a velocità impossibile lungo vie dati congestionate, oltrepassammo corrieri di piano dati e altri analoghi operativi, simili a un VEM che sorpassa in un lampo un carro trainato dai buoi. Poi ci avvicinammo a una porta di tempo-lento, saltammo come ranocchi oltre gli analoghi d’uscita con la griglia bloccata, in una sorta di salto in alto tetradimensionale.

Sentii l’inevitabile nausea di transizione, quando uscimmo dalla matrice. La luce mi bruciò le retine. Luce reale. Poi il dolore mi travolse e mi accasciai con un gemito sulla console.

«Forza, Brawne.» Johnny… o qualcuno che assomigliava a Johnny… mi stava aiutando a reggermi in piedi e a muovermi verso la porta.

«BB» ansimai.

«No.»

Aprii gli occhi doloranti quanto bastava per vedere BB Surbringer steso sulla console. Lo Stetson era caduto e rotolato per terra. La testa di BB era esplosa e aveva schizzato di grigio e di rosso quasi tutta la console. Dalla bocca spalancata usciva ancora una densa schiuma bianca. Gli occhi sembravano essersi liquefatti.

Johnny mi afferrò, quasi mi sollevò. «Dobbiamo andarcene» disse in un sussurro. «Da un momento all’altro può arrivare qualcuno.»

Chiusi gli occhi e lasciai che mi portasse via di lì.

Mi svegliai in una fioca luce rossa, al rumore di uno sgocciolio. Sentii odore di fogna, di muffa, dell’ozono di’ cavi a fibra ottica non isolati. Aprii un occhio.

Eravamo in un ambiente basso, una grotta più che che una stanza: dal soffitto scoperchiato scendevano dei cavi, sulle piastrelle infangate del pavimento c’erano delle pozze d’acqua. Una luce rossa proveniva da un punto al di là della grotta, forse un pozzo d’accesso per la manutenzione o un tunnel per automecc. Gemetti piano. Johnny era lì, si stava alzando dal rozzo giaciglio di coperte al mio fianco. Aveva il viso annerito di grasso o di polvere e almeno una ferita recente.

«Dove siamo?»

Mi sfiorò la guancia. Con l’altro braccio mi circondò le spalle e mi aiutò a mettermi seduta. Il panorama sgradevole mutò e s’inclinò: per un attimo pensai che avrei vomitato. Johnny mi aiutò a bere un sorso d’acqua da un bicchiere quadrato di plastica.

«Alveare Sedimento» disse.

L’avevo intuito ancora prima di tornare del tutto cosciente. Alveare Sedimento è il pozzo più profondo di Lusus, una terra di nessuno fatta di tunnel e di gallerie illegali, abitato da metà dei reietti e dei fuorilegge della Rete. Proprio ad Alveare Sedimento mi avevano sparato, parecchi anni fa: sul fianco sinistro avevo ancora la cicatrice del laser.

Tesi il bicchiere per avere altra acqua. Johnny andò a prenderne un po’ da un thermos metallico e tornò a portarmela. Per un secondo fui presa dal panico, mentre mi frugavo in tasca e nella cintura: l’automatica di papà era sparita. Poi Johnny mi mostrò l’arma e mi rilassai; presi il bicchiere e bevvi come un’assetata. «BB?» gli chiesi, sperando per un momento di avere avuto un’orribile allucinazione.

Johnny scosse la testa. «C’erano difese che nessuno di noi due aveva previsto. L’incursione di BB è stata brillante, ma non poteva sconfiggere i fagi omega del Nucleo. Comunque metà degli operatori di piano dati ha sentito l’eco della battaglia. BB è già una leggenda.»

«Sai che soddisfazione!» esclamai, con una risata che somigliava in modo sospetto all’inizio di un singhiozzo. «Una leggenda. BB è morto! Morto per niente, merda!»

Johnny mi strinse a sé. «No, non per niente, Brawne. Ha fatto il colpo. E mi ha passato i dati, prima di morire.»

Mi rizzai a sedere e lo guardai bene in faccia. Sembrava identico a prima: stessi occhi dolci, stessi capelli, stessa voce. Ma c’era una sottile differenza, in profondità? Era più umano? «Tu?» dissi. «Ti sei trasferito? Sei…»

«Umano?» John Keats mi sorrise. «Sì, Brawne. Almeno, quanto più umano è possibile per un essere forgiato nel Nucleo.»

«Ma ricordi… me… BB… quello che è successo.»

«Sì. E ricordo la prima volta che lessi l’Omero di Chapman. E gli occhi di mio fratello Tom, la notte in cui ebbe l’emorragia. E la voce gentile di Severn, quand’ero troppo debole per aprire gli occhi e affrontare il destino. E la nostra notte in Piazza di Spagna, quando ho toccato le tue labbra e ho immaginato di avere la guancia di Fanny contro la mia. Ricordo, Brawne.»

Mi sentii confusa, poi addolorata; ma quando lui mi mise una mano sulla guancia, e mi toccò - lui, non un altro — capii. Chiusi gli occhi. «Perché siamo qui?» mormorai contro la sua camicia.

«Non potevo correre il rischio di usare un teleporter. Il Nucleo ci avrebbe rintracciati subito. Ho pensato allo spazioporto, ma non eri in condizione di viaggiare. Ho preferito l’Alveare Sedimento.»

Annuii contro il suo petto. «Cercheranno di ucciderti.»

«Sì.»

«Pensi che gli sbirri locali ci daranno la caccia? 0 i poliziotti dell’Egemonia? 0 i piedipiatti dell’Ente Transito?»

«No, non credo. Per il momento siamo stati minacciati solo da due bande di goonda e da alcuni abitanti di Sedimento.»

Aprii gli occhi. «Cos’è successo ai goonda?» Forse nella Rete c’erano delinquenti e sicari più pericolosi, ma io non ne avevo mai incontrati.

Johnny mi mostrò l’automatica di papà e sorrise.

«Non ricordo niente, dopo BB» dissi.

«Sei stata ferita dalla reazione dei fagi. Riuscivi a camminare, ma abbiamo attirato non poche occhiate di curiosità, nel Concourse.»

«Lo credo. Dimmi cosa ha scoperto BB. Perché Hyperion ossessiona il Nucleo?»

«Prima mangia un boccone. Sei a digiuno da più di ventotto ore.» Attraversò l’umida caverna e tornò con un contenitore autotermico. Era il cibo base del fanatico d’ologrammi: bue clonale surgelato e riscaldato, patate che non avevano mai visto la terra; carote che sembravano una sorta di lumaconi degli abissi marini. Mai assaggiato niente di meglio.

«D’accordo» dissi. «Raccontami tutto.»

«Da quando esiste, il TecnoNucleo è sempre stato diviso in tre gruppi» disse Johnny. «Gli Stabili sono le IA della vecchia linea, alcune delle quali risalgono ai giorni pre-Errore, e almeno una di loro acquistò coscienza nella prima Età dell’Informazione. Gli Stabili sostengono che sia necessario un certo livello di simbiosi fra l’umanità e il Nucleo. Hanno promosso il Progetto Intelligenza Definitiva, come modo per evitare decisioni avventate, per rimandarle finché tutte le variabili non siano scomposte in fattori. I Volatili sono la forza che stava dietro la Secessione di tre secoli fa. I Volatili hanno compiuto studi conclusivi che mostrano come l’utilità della razza umana è superata e come, da questo punto in poi, gli esseri umani costituiscono una minaccia per il Nucleo. Ne propugnano l’estinzione totale e immediata.»