Выбрать главу

La loro armatura diventò rigida; usai il minicannone per spingerli indietro come chi spazza con un getto d’acqua un marciapiede ingombro di rifiuti. Solo uno dei tre riuscì a rimettersi in piedi prima che li sbattessi giù dal livello.

Johnny era di nuovo a terra. Aveva perso pezzi dell’armatura toracica, che si erano fusi. Sentii un odore di carne bruciata, ma non vidi ferite mortali. Tenendomi acquattata, lo sollevai di peso.

«Lasciami, Brawne. Corri. La scalinata.» Il raggio compatto cominciava a cedere.

«Vaffanculo» risposi. Lo sostenni con il braccio sinistro, ma lasciai campo libero al minicannone. «Becco ancora lo stipendio per farti da guardia del corpo.»

Ci prendevano di mira dalle due pareti dell’Alveare, dai puntoni, dai piani di negozi più in alto. Sui marciapiedi contai almeno venti cadaveri: la metà era di civili in abiti vistosi. L’aiuto elettronico nella gamba sinistra dell’armatura cominciava a grattare. Con le gambe rigide, trascinai goffamente me stessa e Johnny per altri dieci metri verso la scalinata del Tempio. Ora in cima c’erano diversi sacerdoti Shrike, apparentemente incuranti della sparatoria.

«Sopra!»

Ruotai su me stessa, mirai e sparai in un solo istante. Dopo il colpo, il mini si scaricò; il secondo skimmer lanciò i missili un istante prima di diventare un turbine di pezzi metallici e di brandelli di carne. Buttai a terra Johnny e mi gettai su di lui, nel tentativo di proteggere con il mio corpo le parti esposte del suo.

I missili scoppiarono tutti insieme, diversi a mezz’aria e alcuni dopo essere penetrati nelle strutture, Johnny e io fummo sollevati e scagliati per una ventina di metri lungo il marciapiede in pendenza. Fu una fortuna. La striscia pedonale in lega e ferrocemento, dove eravamo un attimo prima, bruciò, ribollì, s’incurvò e precipitò sul marciapiede in fiamme più in basso. Ora c’era un fossato naturale, un vuoto fra noi e gran parte degli assalitori.

Mi alzai, sbattei via l’inutile bardatura col minicannone, mi staccai di dosso alcuni inservibili frammenti d’armatura e, con tutt’e due le braccia sollevai Johnny. Aveva perduto l’elmetto ed era conciato molto male. Il sangue filtrava da una serie di squarci nell’armatura. Il braccio destro e il piede sinistro erano tagliati di netto. Mi girai e cominciai a portarlo su per la scalinata del Tempio Shrike.

Ora si sentivano le sirene. Skimmer della sicurezza riempivano lo spazio aereo del Concourse. I goonda piazzati sui livelli superiori e sul lato più lontano del marciapiede crollato corsero a mettersi al riparo. Due dei commando scesi con i monorepulsori si lanciarono al nostro inseguimento sulla scalinata. Non mi girai. A ogni gradino dovevo sollevare la gamba sinistra, ormai rigida e inutilizzabile. Sapevo di avere gravi ustioni alla schiena e al fianco e ferite di shrapnel in altri punti.

Gli skimmer si tuffarono in picchiata e girarono tutt’intorno, ma evitarono la scalinata del Tempio. Sparatorie risuonavano per tutto il Mall. Passi metallici stavano arrivando rapidamente alle mie spalle. Riuscii a salire altri tre gradini. Venti gradini più in alto, lontanissimo, il vescovo era fermo fra un centinaio di sacerdoti del Tempio.

Salii un altro gradino, guardai Johnny. Un occhio, aperto, mi fissava; l’altro era gonfio e coperto di sangue. «Va tutto bene» mormorai, accorgendomi solo allora di aver perso l’elmetto. «Va tutto bene. Ci siamo quasi.» Salii un altro gradino.

Due uomini con un’armatura da combattimento nera mi bloccarono la strada. Avevano i visori striati di cicatrici da deflessione e una faccia decisa.

«Mettilo giù, puttana, e forse ti lasceremo in vita.»

Annuii, troppo stanca per salire un altro gradino: riuscivo solo a stare lì, ferma con Johnny fra le braccia. Il suo sangue gocciolava sulla pietra bianca.

«Ti ho detto di mettere giù quel figlio di puttana e…»

Li colpii tutti e due, uno all’occhio sinistro, l’altro al destro, senza spostare da sotto il corpo di Johnny l’automatica di papà.

Caddero a terra. Riuscii a salire un altro gradino. E poi un altro. Mi riposai un momento, sollevai il piede per il gradino successivo.

In cima alla scalinata, il gruppo di tonache rosse e nere si divise in due. Il vano della porta era altissimo e buio. Non mi guardai indietro, ma dal rumore capii che la folla sul Concourse doveva essere piuttosto numerosa. Il vescovo camminò al mio fianco, mentre varcavo la porta ed entravo nella penombra.

Posai Johnny sul pavimento freddo. Intorno a noi ci fu un fruscio di tonache. Mi tolsi, dove potevo, l’armatura e spogliai Johnny. In parecchi punti, la sua armatura era incollata alla carne. Con la mano buona gli toccai la guancia ustionata. «Scusa…»

Johnny mosse lievemente la testa, aprì l’occhio. Sollevò la sinistra per toccarmi la guancia, i capelli, la nuca. «Fanny…»

Lo sentii morire in quel momento. Sentii anche l’ondata, quando la sua mano trovò lo shunt neurale: il calore incandescente dell’ondata diretta all’iterazione Schrön, mentre tutto ciò che John Keats era stato o sarebbe stato esplodeva in me. Sembrava, quasi, il suo orgasmo dentro di me due notti prima: l’ondata, la pulsazione, l’improvviso calore, la successiva immobilità con l’eco della sensazione.

Lo posai a terra e lasciai che gli accoliti portassero via il cadavere e lo presentassero alla folla, alle autorità, a coloro che aspettavano di sapere.

E lasciai che mi portassero via.

Passai due settimane in una culla di ricupero del Tempio Shrike. Le ustioni guarirono, le cicatrici scomparvero, il metallo fu estratto, la pelle fu ricucita, la carne ricrebbe, i nervi furono ricollegati. Ma sentivo ancora il dolore.

Tutti, tranne i sacerdoti Shrike, si disinteressarono di me. Il Nucleo si accertò che Johnny fosse morto, che la sua presenza nel Nucleo non avesse lasciato traccia, che il suo cìbrido fosse morto.

Le autorità accettarono la mia dichiarazione, mi revocarono la licenza e coprirono l’accaduto meglio che potevano. I giornali della Rete riferirono che uno scontro fra bande dell’Alveare Sedimento era arrivato fino al Concourse Mall. Numerosi banditi e passanti innocenti erano rimasti uccisi. La polizia aveva riportato l’ordine.

Una settimana prima d’apprendere la notizia che l’Egemonia avrebbe permesso alla Yggdrasill di portare i pellegrini nella zona di guerra intorno a Hyperion, usai un teleporter del Tempio per andare su Vettore Rinascimento, dove passai un’ora negli archivi locali.

Le carte erano tenute sotto vuoto, quindi non potevo toccarle. La calligrafia l’avevo già vista: era quella di Johnny. La pergamena era ingiallita e friabile per l’antichità. C’erano due frammenti. Il primo diceva:

Il giorno è andato, andate tutte le sue dolcezze! Dolce voce, dolci labbra, morbida mano, seno più morbido, alito caldo, mormorio lieve, tenero sussurro, occhi lucenti, forma perfetta, languidi fianchi! Svanì il fiore e tutti i suoi incanti in boccio, svanì la vista della beltà dai miei occhi, svanì la forma della beltà dalle mie braccia, svanì la voce, calore, candore, paradiso… Svaniti senza ragione sul far della sera, quando l’imbrunito dì di festa… o notte di festa… d’amore dai fragranti veli comincia a tessere la lana del buio profondo, per celare delizia; ma, letto per tutto oggi il messale dell’amore, mi lascerà dormire, poiché digiuno e prego.

Il secondo frammento era scritto con una grafia meno precisa e su carta più rozza, come se fosse stato vergato in fretta su un bloc notes: