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Questa mano viva, ora calda e in grado d’afferrare con gioia, se fosse fredda e gelida nel silenzio della tomba, tormenterebbe i tuoi giorni e gelerebbe le notti sognanti tanto da farti desiderare d’avere il cuore esangue perché nelle mie vene scorra ancora la rossa vita, e la tua coscienza sia in pace… vedi, eccola qui… a te la tendo.

Sono incinta. Credo che Johnny lo sapesse, ma non ne sono sicura.

Sono doppiamente incinta. Una volta, del figlio di Johnny; e una volta del ricordo Schrön di ciò che egli era. Non so se i due sono destinati a essere collegati. Passeranno mesi, prima che il bambino nasca; e solo pochi giorni, prima che affronti lo Shrike.

Ma ricordo quei minuti, dopo che il corpo massacrato di Johnny fu portato davanti alla folla e prima che mi conducessero via per curarmi. Erano tutti lì nel buio, a centinaia, sacerdoti, accoliti, esorcisti, ostiari, fedeli… e cominciarono a salmodiare all’unisono, lì nella penombra rossastra sotto la scultura girevole dello Shrike, dove la loro voce echeggiava nelle volte gotiche. E la loro salmodia diceva pressappoco:

BENEDETTA SIA LEI

BENEDETTA SIA LA MADRE DEL NOSTRO SALVATORE

BENEDETTO SIA LO STRUMENTO DELLA NOSTRA REDENZIONE

BENEDETTA SIA LA SPOSA DELLA NOSTRA CREAZIONE

BENEDETTA SIA LEI

Ero ferita, sotto choc. Allora non capii. Neppure adesso capisco.

Ma so che, quando sarà il momento e arriverà lo Shrike, io e Johnny lo affronteremo insieme.

Il buio era calato da tempo. La funivia correva fra stelle e ghiaccio. Il gruppetto rimase in silenzio: l’unico rumore era lo scricchiolio del cavo.

Dopo un certo tempo, Lenar Hoyt disse a Brawne Lamia: — Anche lei porta il crucimorfo.

Lamia fissò il prete.

Il colonnello Kassad si sporse verso la donna. — Crede che Het Masteen fosse il Templare che parlò a Johnny?

— Può darsi — rispose Brawne Lamia. — Non l’ho mai saputo.

Kassad non batté ciglio. — È stata lei a uccidere Het Masteen?

— No.

Martin Sileno si stiracchiò e sbadigliò. — Mancano alcune ore all’alba — disse. — Chi ha voglia di dormire un poco? Alcuni annuirono.

— Monterò la guardia — disse Fedmahn Kassad. — Non sono stanco.

— Le terrò compagnia — disse il Console.

— Scalderò un po’ di caffè da mettere nel thermos — disse Brawne Lamia.

Mentre gli altri dormivano e la piccola Rachel gemeva sommessamente nel sonno, loro tre rimasero a guardare la luce fredda delle stelle lontane nel cuore della notte.

6

Castel Crono sporgeva dall’orlo orientale della grande Briglia: un cumulo fosco e barocco di pietre essudanti, con trecento fra stanze e sale, un labirinto di corridoi bui che portavano a locali profondi, torri, torrette, balconate prospicienti le brughiere settentrionali; pozzi d’aria che si alzavano per mezzo chilometro alla luce e che, si diceva, sprofondavano fino nel labirinto stesso del mondo; parapetti sferzati da venti gelidi provenienti dai picchi più in alto, scalinate — interne ed esterne — scavate nella roccia della montagna e che non portavano da nessuna parte; finestre di vetri colorati alte un centinaio di metri, poste in modo da catturare i primi raggi del solstizio o della luna nella notte di mezzo inverno; finestrelle prive di vetri, grosse quanto un pugno, che guardavano su niente in particolare; un infinito spiegamento di bassorilievi, di sculture grottesche in nicchie seminascoste, e più di mille doccioni che guardavano giù da grondaie e parapetti, da transetti e sepolcri, che scrutavano da falsi puntoni di legno nelle grandi sale, che sbirciavano dalle finestre tinteggiate di rosso sangue della facciata nordest, con ombre alate e ingobbite che si muovevano come sinistre ore di meridiana, create di giorno dal sole e di notte dalle torce a gas. E dappertutto, a Castel Crono, segni della lunga occupazione da parte della Chiesa Shrike: altari di espiazione drappeggiati di velluto rosso, sculture sospese e in piedi dell’Avatar con lame d’acciaio policromo e occhi di eliotropia, altre statue dello Shrike scolpite nella pietra delle strette scale e delle sale buie, in modo che in nessun momento della notte ci si liberasse della paura di toccare mani che sporgevano dalla roccia, la netta curvatura di una lama che spuntava dalla pietra, quattro braccia che stringevano nell’ultimo abbraccio. E, come ultimo tocco ornamentale, una filigrana di sangue nella maggior parte delle stanze e delle sale un tempo occupate, rossi arabeschi schizzati su quasi tutti i disegni lungo le pareti e il soffitto dei tunnel, lenzuola macchiate di una sostanza secca color rosso ruggine, una sala da pranzo centrale — piena del lezzo di cibo marcio di un pranzo abbandonato settimane prima — con il pavimento, il tavolo, le sedie e le pareti adorne di sangue, stoffe macchiate e tonache a brandelli ammassate in mucchi silenziosi. E dappertutto il ronzio delle mosche.

— Un bel posto di merda, vero? — disse Martin Sileno. La sua voce echeggiò nella grande sala.

Padre Hoyt avanzò di alcuni passi. La luce del pomeriggio, entrando dal lucernario rivolto a ovest, quaranta metri più in alto, cadeva sulle colonne polverose. — È incredibile — mormorò il prete. — San Pietro, a Nuovo Vaticano, non è niente, al confronto.

Martin Sileno rise. La luce intensa metteva in rilievo i suoi zigomi e le sue sopracciglia da satiro. — È stato costruito per una divinità vivente - disse.

Fedmahn Kassad posò a terra la sacca da viaggio e si schiarì la voce. — Di certo questo edificio risale a epoche precedenti la Chiesa Shrike.

— Infatti — disse il Console. — Ma negli ultimi due secoli l’ha occupato la Chiesa.

— Ora non sembra molto occupato — disse Brawne Lamia. Nella sinistra impugnava l’automatica del padre.

Nei primi venti minuti dentro Castel Crono, tutti avevano lanciato richiami ad alta voce, ma gli echi morenti, i silenzi, il ronzio delle mosche nella sala da pranzo li avevano presto fatti smettere.

— Sono stati gli androidi di Billy il Triste e i servocloni a costruire questo posto maledetto — disse il poeta. — Otto anni locali di fatica, prima dell’arrivo delle spin-navi. In teoria doveva essere il più grosso stabilimento turistico della Rete, la base per andare alle Tombe del Tempo e alla Città dei Poeti; ma secondo me perfino quei poveri scemi d’operai androidi conoscevano la versione locale della storia dello Shrike.

Sol Weintraub, fermo vicino a una finestra che dava a oriente, teneva alta la figlioletta, in modo che la morbida luce del sole le cadesse sulla guancia e sulla manina stretta a pugno. — Ormai tutto questo importa poco — disse. — Andiamo a cercare un angolo che non sia un carnaio, per consumare la cena e dormire.

— Non proseguiamo stanotte? — chiese Brawne Lamia.

— Fino alle Tombe? — disse Sileno. Per la prima volta dall’inizio del viaggio sembrò davvero sorpreso. — Andresti allo Shrike nel buio?

Lamia scrollò le spalle. — Farebbe differenza?

Il Console si avvicinò a una porta a vetri piombati che dava su un balcone di pietra e chiuse gli occhi. Gli sembrava di oscillare ancora al ritmo della funivia. La notte e il giorno di viaggio sopra le vette gli avevano confuso la mente, persa nella stanchezza di quasi tre giorni senza sonno e della tensione sempre crescente. Riaprì gli occhi per non appisolarsi in piedi. — Siamo stanchi — disse. — Stanotte ci fermeremo qui e domattina scenderemo.

Padre Hoyt era uscito sullo stretto balcone. Si sporse dal parapetto di pietra frastagliata. — Si vedono le Tombe, da qui?