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— No — rispose Sileno. — Sono al di là di quelle alture. Ma vede quelle cose bianche leggermente a nordovest? Quelle cose che brillano nella sabbia come schegge di denti rotti?

— Sì.

— Quella è la Città dei Poeti. Il posto dove re Billy aveva costruito Keats e al quale aveva destinato tutte le cose brillanti e belle. I locali dicono che vi si aggirano fantasmi decapitati.

— Sei uno di loro? — gli chiese Lamia.

Martin Sileno si girò per replicare, guardò per un momento la pistola che la donna ancora impugnava, scosse la testa e tornò a girarsi.

Da un’invisibile curva delle scale arrivò un rumore di passi. Il colonnello Kassad rientrò nella sala. — Ci sono due stanzini, sopra la sala da pranzo — disse. — Hanno un balcone esterno, ma l’unico ingresso è questa scala. Facili da difendere. I locali sono… puliti.

Sileno rise. — Significa che nessuno può attaccarci, oppure che se qualcuno ci attacca non abbiamo via di scampo?

— Dove andremmo? — disse Sol Weintraub.

— Già, dove? — disse il Console. Era stanchissimo. Prese i bagagli e una maniglia del pesante cubo di Moebius, aspettando che padre Hoyt prendesse l’altra. — Facciamo come dice Kassad. Ha trovato un posto in cui trascorrere la notte. Almeno usciamo da questa sala. Puzza di morte.

Per cena consumarono le ultime razioni liofilizzate, un po’ di vino dell’ultima bottiglia di Sileno e un pezzo di torta stantia che Sol Weintraub aveva portato con sé per celebrare l’ultima sera insieme. Rachel era troppo piccola per mangiare la torta, ma bevve il latte e si addormentò, prona accanto al padre sul materasso.

Lenar Hoyt prese dal suo bagaglio una piccola balalaika e suonò qualche accordo.

— Non sapevo che suonasse — disse Brawne Lamia.

— Maluccio.

Il Console si strofinò gli occhi. — Peccato che non ci sia un pianoforte.

— Lei ne ha uno — disse Martin Sileno.

Il Console fissò il poeta.

— Lo porti qui — disse Sileno. — Gradirei molto uno scotch.

— Di cosa parla? — intervenne bruscamente padre Hoyt. — Si spieghi meglio.

— La sua nave - disse Sileno. — Non ricorda che il compianto Voce dell’Albero Masteen ha rinfacciato al nostro amico Console che la sua arma segreta era quella graziosa mononave dell’Egemonia ferma allo spazioporto di Keats? La chiami, sua Altezza Consolare. La faccia venire qui.

Kassad si scostò dalla scala dove aveva piazzato alcuni raggi trappola. — La sfera dati del pianeta è morta. I satelliti per le trasmissioni non funzionano. Le navi della FORCE in orbita mantengono il silenzio radio. Come farebbe a chiamarla?

Fu Lamia, a rispondere. — Con un trasmettitore astrotel.

Il Console la fissò.

— I trasmettitori astrotel sono grossi come edifici — replicò Kassad.

Brawne Lamia alzò le spalle. — Quello che ha detto Masteen è sensato. Se fossi stata il Console… se fossi stata una delle poche migliaia di persone nell’intera maledetta Rete a possedere una mononave… mi sarei assicurata di poterla comandare da lontano, in caso di necessità. Il pianeta è troppo primitivo per fare affidamento sulla sua rete di comunicazioni, la ionosfera è troppo debole per le onde corte, i comsat sono le prime cose a lasciarci Le penne nelle scaramucce… la chiamerei per astrotel.

— E il problema delle dimensioni? — disse il Console.

Brawne Lamia guardò il diplomatico negli occhi. — L’Egemonia non sa ancora fabbricare trasmettitori astrotel portatili. Corre voce che gli Ouster sappiano farlo.

Il Console sorrise. Da un punto imprecisato arrivò uno stridio, poi uno schianto metallico.

— Restate qui — disse Kassad. Tirò fuori dalla veste la neuroverga, cancellò con il comlog tattico i raggi trappola e sparì giù per le scale.

— Immagino che ora siamo sotto la legge marziale — disse Sileno dopo che il colonnello fu sparito. — Ascendente: Marte.

— Chiudi il becco — replicò Lamia.

— Credete che sia stato lo Shrike? — chiese Hoyt.

Il Console rispose con un gesto. — Lo Shrike non ha bisogno di fare rumore in fondo alla scala. Può comparire semplicemente… qui!

Hoyt scosse la testa. — Intendevo dire che se’è stato lo Shrike la causa… dell’assenza di gente. Dei segni di massacro qui nel Castello.

— Forse i villaggi deserti sono il risultato dell’ordine d’evacuazione — disse il Console. — Nessuno vuol restare ad affrontare gli Ouster. Gli effettivi dell’FAD sono impazziti. Il massacro potrebbe essere in gran parte opera loro.

— Senza cadaveri? — rise Martin Sileno. — Pio desiderio. I nostri ospiti assenti penzolano ora dall’albero d’acciaio dello Shrike. Dal quale, fra non molto, penzoleremo anche noi.

— Sta’ zitto — replicò, stanca, Brawne Lamia.

— E se non sto zitto, signora mia? Mi spari? — sogghignò il poeta.

— Sì.

Il silenzio durò fino al ritorno del colonnello. Kassad riattivò i raggi trappola e si rivolse agli altri, seduti sulle casse d’imballaggio e sui cubi di flussoschiuma. — Non era niente. Alcuni uccelli che divorano carogne… araldi, mi pare li chiamino i locali. Sono entrati dalle vetrate rotte della sala da pranzo per terminare il banchetto.

Sileno ridacchiò. — Araldi. Un nome davvero appropriato.

Kassad sospirò, si sedette su una coperta, con le spalle contro una cassa, e diede un colpetto al cibo freddo. Un’unica lanterna, portata dal carro a vela, illuminava la stanza; le ombre iniziavano a risalire le pareti negli angoli dalla porta al balcone. — È la nostra ultima notte — disse Kassad. — Manca ancora una storia. — Lanciò un’occhiata al Console.

Il Console stava stropicciando la strisciolina di carta con su scritto il numero 7. Si umettò le labbra. — A che scopo? Il pellegrinaggio è già stato rovinato.

Gli altri si mossero a disagio.

— Cosa vuol dire? — domandò padre Hoyt.

Il Console accartocciò la striscia di carta e la gettò in un angolo. — Perché lo Shrike conceda una richiesta, il numero dei pellegrini dev’essere un numero primo. Eravamo sette. La… la scomparsa di Masteen ci ha ridotti a sei. Ci stiamo avviando alla morte senza nessuna speranza che un solo desiderio venga esaudito.

— Superstizione — disse Lamia.

Con un sospiro, il Console si sfregò la fronte. — Sì. Ma è la nostra ultima speranza.

Padre Hoyt indicò la bambina addormentata. — Rachel non potrebbe essere il settimo?

Sol Weintraub si lisciò la barba. — No. Un pellegrino deve venire alla Tombe di sua spontanea volontà.

— Ma Rachel l’ha fatto, una volta — disse Hoyt. — Forse questo la rende idonea.

— No — disse il Console.

Martin Sileno, che aveva continuato a prendere appunti su un bloc notes, si alzò e si mise a passeggiare per la stanza. — Cristo, gente! Guardatevi. Non siamo sei pellegrini di merda, siamo una banda da circo. Hoyt, con il suo crucimorfo, che si porta dietro il fantasma di Paul Duré. Il nostro erg “semicosciente” in quella cassa. Il colonnello Kassad e i suoi ricordi di Moneta. La signora Brawne che, se dobbiamo credere alla sua storia, si porta dentro non solo un figlio, ma anche un poeta romantico defunto. Il nostro studioso, con la neonata che fu sua figlia. Me, e la mia musa. Il Console, che chissà quale bagaglio di merda si è portato in questo folle viaggio. Oddio, gente, dovevamo farci fare un maledetto sconto comitive, per il viaggio!

— Siediti — disse Lamia, in tono calmo ma minaccioso.

— No, ha ragione — disse Hoyt. — Anche la presenza di padre Duré come crucimorfo può riguardare in un certo senso la superstizione del numero primo. Dico di continuare domattina, con la convinzione che…