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«Non essere sciocco» disse Siri. «Possiamo sempre afferrare una radice di chiglia e seguirla. Oppure un viticcio di nutrimento. Vieni.» Mi gettò una maschera a osmosi e si mise la sua. La pellicola trasparente dava l’impressione che lei avesse il viso lucido d’olio. Prese dalla tasca del caffetano un grosso medaglione e se lo mise al collo. Il metallo sembrò scuro e sinistro contro la sua pelle.

«Che cos’è?» domandai.

Siri non sollevò la maschera a osmosi per rispondere. Si sistemò sul collo i cavi di comunicazione e mi tese l’auricolare. La voce era metallica. «Disco traduttore» disse. «Pensavo che conoscessi tutti i marchingegni, Merin. L’ultimo è un auricolare sottomarino.» Con una mano tenne fermo fra i seni il disco e si tuffò dall’isola. Vidi i pallidi globi delle natiche, quando si capovolse e scalciò per scendere in profondità. Nel giro di qualche secondo fu solo una sagoma bianca e confusa nell’acqua profonda. Mi misi anch’io la maschera, collegai i cavetti di comunicazione e mi tuffai.

Il fondo dell’isola era una macchia scura contro un soffitto di luce cristallina. Diffidai dei viticci di nutrizione, anche se Siri mi aveva ampiamente dimostrato che s’interessavano solo a divorare il minuscolo zooplancton che anche in quel momento rifletteva la luce del sole come la polvere di una sala da ballo abbandonata. Le radici di chiglia, simili a stalattiti contorte, scendevano per centinaia di metri nell’abisso violaceo.

L’isola si muoveva. Vedevo la lieve fibrillazione dei viticci che si spostavano. Una scia prese la luce dieci metri sopra di me. Per un secondo soffocai, mentre il gel della maschera mi toglieva il fiato proprio come avrebbe fatto l’acqua circostante; poi mi rilassai e l’aria mi riempì liberamente i polmoni.

Mi arrivò la voce di Siri: «Più giù, Merin». Battei le palpebre… un lento ammiccare, mentre la maschera si riadattava sui miei occhi; intravidi Siri, venti metri più in basso, aggrappata a una radice della chiglia, sospesa senza sforzo sopra le correnti più profonde e più fredde, dove non arrivava la luce. Pensai ai chilometri d’acqua sotto di me, alle creature che forse erano in agguato, sconosciute ai coloni umani e non cercate. Lo scroto mi si contrasse.

«Vieni giù.» La voce di Siri era un ronzio d’insetto. Ruotai e scalciai. La spinta idrostatica qui era inferiore a quella dei mari della Vecchia Terra, ma occorreva sempre una certa forza per spingersi così in basso. La maschera compensava la profondità e l’azoto, ma sentivo la pressione sulla pelle e nelle orecchie. Alla fine smisi di scalciare e afferrai una radice; usandola come fune, raggiunsi il livello di Siri.

Nuotammo fianco a fianco nella luce fioca. Siri era una figura spettrale, con i lunghi capelli che fluttuavano come un nimbo color vino scuro, le strisce di pelle non abbronzata che mandavano pallidi riflessi nella luce verdazzurra. La superficie sembrava lontanissima. La V sempre più larga formata dalla scia e il movimento di deriva dei numerosi viticci mostravano che ora l’isola si muoveva più velocemente, che si spostava con noncuranza verso altri pascoli, altre acque più lontane.

«Dove sono i…» iniziai a subvocalizzare.

«Sst» disse Siri. Si gingillò col medaglione. E allora li sentii: grida stridule e trilli, fischi, fusa e grida echeggianti. Di colpo il mare si era riempito di una musica bizzarra.

«Oddio» dissi; e poiché Siri aveva sintonizzato con il traduttore i nostri cavetti di comunicazione, la parola fu trasmessa sotto forma di un fischio e di un suono di corno privi di significato.

«Salve!» disse Siri, e il saluto fu tradotto dal trasmettitore: un cinguettio rapidissimo che scivolava negli ultrasuoni. «Salve!» ripeté Siri.

Passò qualche minuto, prima che i deflini venissero a indagare. Girarono dietro di noi, sorprendentemente grossi, grandi da far paura, la pelle lucida e muscolosa nella luce incerta. Un grosso delfino nuotò a un metro da noi e all’ultimo momento deviò, e il suo ventre biancastro fu come un muro intorno a noi. L’occhio scuro ruotò per seguirmi, mentre il delfino passava oltre. Un colpo dell’ampia pinna caudale produsse uno spostamento d’acqua così forte da darmi la misura della forza dell’animale.

«Salve» gridò Siri; ma la sagoma veloce svanì nella foschia della distanza e ci fu un silenzio improvviso. Siri spense il traduttore. «Vuoi parlare ai delfini?» mi domandò.

«Sì.» Ero dubbioso. Più di tre secoli di tentativi non avevano avuto molto successo nello stabilire un dialogo fra l’uomo e quei mammiferi marini. Una volta Mike m’aveva detto che le strutture di pensiero dei due gruppi d’orfani della Vecchia Terra erano troppo diverse e i punti di contatto troppo pochi. Un esperto pre-Egira aveva scritto che parlare a un delfino o a una focena dava la stessa soddisfazione di parlare a un bambino di un anno. In genere lo scambio di suoni piaceva a entrambi gli interlocutori e c’era una sorta di dialogo, ma nessuno ne ricavava conoscenze superiori. Siri accese di nuovo il disco traduttore. «Salve» dissi io.

Ci fu un ultimo minuto di silenzio; poi gli auricolari si misero a ronzare, e il mare a echeggiare di ululati striduli.

distanza/no-coda/salve-tono?/corrente impulso/gira intorno a me/divertente?

«Cosa diavolo succede?» chiesi a Siri, ma dal traduttore la domanda uscì in forma di trillo. Sotto la maschera a osmosi, Siri rideva.

Provai di nuovo. «Salve! Saluti da… uh… dalla superficie. Come va?»

Il grosso maschio… immaginai che fosse maschio… descrisse una curva verso di noi con la velocità d’una torpedine. Si mosse nell’acqua dieci volte più in fretta di quanto avrei mai potuto fare io, anche se mi fossi ricordato di mettere un paio di pinne. Per un istante pensai che ci avrebbe speronati e alzai le ginocchia afferrandomi forte alla radice. Ma il delfino passò oltre e risalì per respirare, mentre Siri e io venivamo sbattuti qua e là dalla turbolenza della sua scia, storditi dal suo grido acuto.

no-coda/no-cibo/no-nuoto/no-gioco/no-divertimento.

Siri spense il traduttore e mi si avvicinò. Mi strinse piano la spalla, mentre mi reggevo sempre con la destra alla radice. Andammo alla deriva nell’acqua tiepida e le nostre gambe si toccarono. Un banco di minuscoli pesci guerrieri color cremisi sciamò sopra di noi; le sagome scure dei delfini giravano in cerchio, più lontano.

«Ti basta?» domandò Siri. Mi posò sul petto la mano.

«Ancora una prova» risposi. Siri annuì e riaccese il disco. La corrente ci spinse di nuovo l’uno addosso all’altra. Lei mi circondò col braccio.

«Perché seguite le isole?» chiesi alle sagome dal naso gonfio che giravano nella luce variegata. «Quali vantaggi avete, a stare con loro?»

risonanti adesso/antichi canti/acqua fonda/no-Grandi Voci/no-Squalo/antichi canti/nuovi canti.

Il corpo di Siri era adesso allineato al mio. Con la sinistra si strinse a me. «Grandi Voci erano le balene» mormorò. I suoi capelli si aprirono a ventaglio come stelle filanti. Mosse la destra più in basso e sembrò sorpresa da quel che trovò.

«Sentite la mancanza delle Grandi Voci?» domandai alle ombre. Non ci fu risposta. Con le gambe Siri mi circondò i fianchi. La superficie era una conca di luce che ribolliva quaranta metri più in alto.

«Cosa vi manca di più, degli oceani della Vecchia Terra?» chiesi. Con la sinistra tirai Siri più vicino, lasciai scivolare la mano lungo la curva della sua schiena fino all’attaccatura delle natiche, e la tenni stretta. Ai delfini che ci giravano intorno certo sembravamo una creatura sola.