Выбрать главу

Siri aveva altre diciotto imbarcazioni. Dodici appartenevano alla sua flotta di rapidi catamarani che commerciavano fra l’Arcipelago errante e le isole casa. Due erano magnifici yacht da corsa, usati solo due volte all’anno per vincere la regata del Fondatore e il Criterium del Patto. Le altre quattro erano antiche barche da pesca, brutte e sgraziate, ben tenute, ma poco più che semplici chiatte.

Siri aveva diciannove imbarcazioni, ma eravamo a bordo di un peschereccio, la Ginnie Paul. Negli ultimi otto giorni avevamo pescato lungo lo zoccolo delle Secche Equatoriali: un equipaggio di due sole persone, che lanciavano le reti e le tiravano a bordo, si muovevano immersi fino al ginocchio fra pesci puzzolenti e fragili trilobiti, sguazzavano in ogni onda, gettavano e tiravano altre reti, montavano di guardia e, nei brevi periodi di riposo, dormivano come bambini esausti. Non avevo ancora ventitré anni. Pensavo di essermi abituato ai lavori pesanti a bordo della L.A., dove ero solito fare un’ora d’allenamento nel modulo a 1,3 g un turno sì e uno no; ma ora le braccia e la schiena mi dolevano per la fatica e le mie mani erano coperte di piaghe e di calli. Siri aveva appena compiuto i settanta.

«Merin, vai a prua a terzarolare la vela di trinchetto. Riduci anche il fiocco, poi scendi di sotto a preparare i panini. Non lesinare con la mostarda.»

Andai a prua. Per un giorno e mezzo avevamo giocato a nascondino con una tempesta: navigando davanti, quando potevamo; girandoci e subendola, quando non era possibile evitarla. All’inizio era stato entusiasmante; un sollievo rispetto alla fatica di calare in continuazione le reti, tirarle a bordo e rammendarle. Ma dopo le prime ore, il flusso di adrenalina si affievolì e lasciò il posto a una nausea continua, alla fatica, a una stanchezza terribile. Il mare non si placava. Le onde arrivavano a sei metri e anche di più. La Ginnie Paul ci sguazzava da brava matrona dall’ampio baglio qual era. Ogni cosa era fradicia. Avevo la pelle bagnata, sotto tre strati di materiali impermeabili. Per Siri era una vacanza a lungo attesa.

«Questo è niente» disse, nell’ora più buia della notte, mentre le onde spazzavano la tolda e si rompevano contro la plastica ammaccata del quartiere di poppa. «Dovresti vedere durante la stagione dei simun.»

Le nuvole ancora basse si fondevano in lontananza con le onde grigie, ma il mare si era ora ridotto a una tranquilla maretta di cinque piedi. Spalmai di mostarda i panini con l’arrosto e versai nei grossi boccali bianchi il caffè fumante. A gravità zero era più facile portare il caffè nella caffettiera piuttosto che risalire con le tazze in mano la ripida scaletta del tambucio. Siri accettò senza commenti la tazza mezza vuota. Per un po’ restammo in silenzio, a gustare il cibo e il liquido che bruciava la lingua. Presi il timone, mentre Siri scendeva a riempire di nuovo le tazze. Impercettibilmente, il giorno grigio si stava trasformando in sera.

«Merin» disse Siri dopo avermi dato una tazza, mentre si sedeva sulla lunga panca imbottita che circondava il quartiere di poppa. «Cosa accadrà, quando apriranno il teleporter?»

Quella domanda mi sorprese. Non avevamo parlato quasi mai del momento in cui Patto-Maui si sarebbe unito all’Egemonia. Lanciai a Siri un’occhiata: fui colpito da quanto, all’improvviso, mi sembrasse anziana. Il suo viso era un mosaico di rughe e d’ombre. I magnifici occhi verdi erano due pozzi bui; gli zigomi erano fili di coltello tesi sotto una pergamena friabile. I capelli grigi, che ora portava corti, sparavano in fuori in tante punte. Il collo e i polsi erano un fascio tendini che emergevano dal maglione informe.

«Come sarebbe a dire?» risposi.

«Cosa accadrà, dopo l’apertura del teleporter?»

«Sai cosa dice il Consiglio, Siri.» Parlai a voce alta, perché da un orecchio non ci sentiva bene. «Per Patto-Maui nascerà una nuova era di commercio e di tecnologia. E non sarete più confinati in un solo piccolo mondo. Una volta acquisita la cittadinanza, tutti potranno usare il teleporter.»

«Sì» disse Siri, con voce stanca. «L’ho sentito dire, Merin. Ma cosa accadrà? Chi saranno i primi a venire da noi?»

Mi strinsi nelle spalle. «Altri diplomatici, credo. Specialisti in contatti culturali. Antropologi. Etnologi. Biologi marini.»

«E poi?»

Esitai. Era già buio. Il mare ormai era quasi calmo. Le nostre luci di posizione, una rossa e una verde, brillavano nella notte. Provai la stessa ansia che avevo conosciuto due giorni prima, quando la muraglia della tempesta era comparsa all’orizzonte. Dissi: «E poi verranno i missionari. I geologi in cerca di petrolio. Gli esperti in coltivazioni marine. Gli addetti allo sviluppo».

Siri sorseggiò il caffè. «Pensavo che la vostra Egemonia avesse superato un’economia basata sul petrolio.»

Risi e bloccai il timone. «Nessuno può superare l’economia basata sul petrolio. Almeno finché il petrolio c’è. Non lo utilizziamo come combustibile, se è questo che intendi, ma è sempre essenziale per la produzione di materie plastiche, di sintetici, di basi per i cibi, di cheroidi. Duecento miliardi di persone consumano un mucchio di plastica.»

«E su Patto-Maui c’è il petrolio?»

«Oh, sì» dissi. Adesso non avevo più voglia di ridere. Una riserva di miliardi di barili solo sotto le Secche Equatoriali.»

«Come lo estrarranno, Merin? Con le piattaforme?»

«Già. Piattaforme. Impianti sommersi. Colonie sottomarine con manodopera modificata e importata da Mare Infinitum.»

«E le isole mobili? Ogni anno devono tornare alle Secche per cibarsi di fuchiblù e per riprodursi. Cosa ne sarà, delle isole?»

Tornai a stringermi nelle spalle. Il troppo caffè mi aveva lasciato in bocca un gusto amaro. «Non so» risposi. «All’equipaggio non è che dicano molto. Ma durante il nostro primo viaggio, Mike ha sentito dire che intendevano dare sviluppo al maggior numero possibile di isole, così alcune saranno protette.»

«Dare sviluppo?» La voce di Siri per una volta tanto mostrò sorpresa. «Che cosa significa? Le stesse Prime Famiglie devono chiedere al Popolo del Mare il permesso anche per costruire i rifugi albero-casa.»

Sorrisi all’uso del termine locale per indicare i delfini. I coloni di Patto-Maui erano infantili, quando si trattava dei loro maledetti delfini. «I piani sono già pronti» dissi. «Esistono 128.573 isole mobìli abbastanza grandi per costruirci sopra un’abitazione. I permessi per farlo sono già stati venduti da tempo. Le isole più piccole saranno distrutte e le isole casa saranno “sviluppate” a scopo ricreativo.»

«A scopo ricreativo» ripeté Siri. «Quanti cittadini dell’Egemonia useranno il teleporter per venire qui… a scopo ricreativo?»

«All’inizio, intendi? Poche migliaia, il primo anno. Finché l’unico portale si troverà sull’isola 241… il Centro Commerciale… l’affluenza sarà limitata. Forse cinquantamila il secondo anno, quando anche Primosito avrà una porta. Si tratterà di un giro di lusso. Succede sempre così, quando una colonia viene aperta alla Rete.»

«E dopo?»

«Dopo il periodo di prova di cinque anni? Ci saranno migliaia di porte, naturalmente. Direi che arriveranno una ventina di milioni di nuovi residenti, nel primo anno di piena cittadinanza.»

«Una ventina di milioni» disse Siri. La luce del sostegno della bussola illuminò dal basso il suo viso pieno di rughe. C’era ancora bellezza, in quel viso. Niente rabbia, né sorpresa. Me le ero aspettate tutte e due.

«Comunque, a quel punto sarete cittadini anche voi» dissi. «Liberi di andare in qualsiasi punto della Rete. Ci saranno sedici mondi nuovi fra cui scegliere. Probabilmente di più, a quel punto.»