Mia sorella maggiore, Lira, si unì ai ribelli nei giorni disperati che seguirono la Battaglia dell’Arcipelago. Testimoni oculari la videro morire. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Mio padre non pronunciò mai più il suo nome.
Entro tre anni dal cessate il fuoco e dall’ammissione al Protettorato, noi coloni originari diventammo una minoranza sul nostro stesso mondo. Le isole venivano sottomesse e vendute ai turisti, proprio come Merin aveva predetto a Siri. Ora Primosito conta undici milioni di abitanti: i condomini e le guglie e le città EM si estendono lungo le coste intorno a tutta l’isola. Il porto di Primosito rimane un pittoresco bazar d’altri tempi, dove discendenti delle Prime Famiglie vendono manufatti e oggetti artistici a prezzi esagerati.
Vivemmo per un certo periodo su Tau Ceti Centro, quando mio padre fu eletto senatore la prima volta. Lì terminai le scuole. Ero il figlio diligente che esaltava le virtù della vita nella Rete, che studiava la gloriosa storia dell’Egemonia dell’Uomo, che si preparava alla carriera nel corpo diplomatico.
E per tutto quel tempo aspettai.
Ritornai su Patto-Maui per un breve periodo, dopo la laurea; lavorai in ufficio, nell’Isola dell’Amministrazione Centrale. Una parte del mio incarico consisteva nel visitare le centinaia di piattaforme di trivellazione impiantate sulle secche, nel fare rapporto sui complessi sottomarini in rapida espansione, nel fare da trait d’union con le compagnie di sviluppo che arrivavano da TC2 e da Sol Draconis Septem. Il lavoro non mi piaceva. Ma ero efficiente. E sorridevo. E aspettavo.
Mi fidanzai e mi sposai con una ragazza delle Prime Famiglie, del ramo del cugino di Siri, Bertol; superato con lode l’esame per entrare nel corpo diplomatico, chiesi di essere assegnato a una sede fuori della Rete.
Così iniziò la nostra diaspora privata, mia e di Gresha. Ero un tipo efficiente. Nato per fare il diplomatico. In cinque anni standard ero già viceconsole. In otto, console a buon diritto. Finché fossi rimasto nella Periferia, era il massimo grado che potevo raggiungere.
Era la mia scelta. Lavoravo per l’Egemonia. E aspettavo.
All’inizio il mio ruolo era quello di fornire tecnologia della Rete per aiutare i coloni a fare quello in cui riescono meglio: distruggere le vere forme di vita indigene. Non è un caso che nei sei secoli di espansione interstellare l’Egemonia non abbia incontrato altre specie classificate come intelligenti nel Catalogo Drake-Turing-Chen. Su Vecchia Terra, era stato da lungo tempo riconosciuto che, se una specie inseriva l’Uomo nella sua catena alimentare, in breve diventava una specie estinta. Mentre la Rete si espandeva, se una specie tentava di mettersi seriamente in competizione con l’intelletto umano, si estingueva prima che un teleporter si aprisse nel sistema.
Su Whirl demmo la caccia agli elusivi zeplen, fra le loro torri di nuvole. Può darsi che secondo gli standard umani o del Nucleo non fossero intelligenti. Ma erano creature magnifiche. Quando morivano, passavano attraverso i colori dell’arcobaleno, ma i loro variegati messaggi rimanevano invisibili e muti ai loro compagni di gregge in fuga: impossibile trovare parole per descrivere la bellezza della loro agonia. Vendemmo a compagnie della Rete la loro pelle fotoricettiva, a mondi come Porta del Paradiso la loro carne, e riducemmo in polvere le loro ossa per venderle come afrodisiaco agli impotenti e ai superstiziosi di altri venti mondi coloniali.
Su Garden, ero consigliere per gli ingegneri dell’arcologia che prosciugavano la Grande Palude ponendo così fine al breve regno dei centauri maremmani che lì dominavano… e minacciavano il progresso dell’Egemonia. Alla fine i centauri tentarono di migrare, ma le Marche Nordiche erano troppo asciutte; alcuni decenni dopo, quando Garden faceva ormai parte della Rete, visitai la regione: i resti essiccati dei centauri ingombravano ancora alcune Marche remote, come gusci di piante esotiche di un’epoca più pittoresca.
Su Hebron arrivai proprio quando i coloni ebrei terminavano la lunga faida con gli Aluit Seneschai, creature fragili quanto l’ecologia priva d’acqua di quel mondo. Gli Aluit erano empatici: furono uccisi a causa della nostra paura e della nostra avidità… e della loro irrimediabile natura aliena. Ma su Hebron non fu la morte degli Aluit a farmi impietrire il cuore, ma la mia parte nel condannare i coloni stessi.
Su Vecchia Terra avevano una parola per indicare ciò che ero: collaborazionista. Infatti, anche se Hebron non era il mio mondo, i coloni rifugiati lassù avevano avuto motivi chiari quanto quelli dei miei antenati che su Maui, un’isola della Vecchia Terra, firmarono il Patto di Vita. Ma aspettavo. E nell’attesa recitavo… in tutti i sensi.
I coloni di Hebron si fidavano di me. Arrivarono a credere alle mie candide rivelazioni su quanto fosse meraviglioso riunirsi alla comunità umana… entrare nella Rete. Pretesero con insistenza che solo una città fosse aperta ai forestieri. Sorrisi e accettai. E ora Nuova Gerusalemme conta sessanta milioni d’abitanti, mentre il continente ospita dieci milioni d’indigeni ebrei, che dipendono dalla città della Rete per la maggior parte delle loro esigenze. Bastò un decennio. Forse meno.
Mi lasciai andare un poco, dopo l’apertura di Hebron alla Rete. Scoprii gli alcolici, la benedetta antitesi al Flashback e al collegamento neurale. Gresha rimase con me in ospedale finché non fui disintossicato. Curiosamente, trattandosi d’un mondo ebraico, la clinica era cattolica. Ricordo ancora il fruscio delle tonache nei corridoi, la notte.
Il mio esaurimento nervoso si era manifestato su un mondo lontano e non era stato pubblicizzato. Non mi danneggiò la carriera. In veste di console, portai moglie e figlio su Bressia.
Quant’era delicato il nostro ruolo, su quel mondo! Quant’era bizantina la linea sottile che seguivamo! Da decenni, colonnello Kassad, militari del TecnoNucleo attaccavano gli sciami Ouster dovunque fuggissero. Ora i falchi del Senato e il Comitato di Consulenza IA avevano stabilito che bisognava fare esperimenti sulla potenza degli Ouster nella Periferia stessa. Fu scelto Bressia. Lo ammetto, per decenni i bressiani erano stati i nostri sostituti, prima del mio arrivo. La loro società era antiquata e piacevolmente prussiana, militaristica all’eccesso, arrogante nelle pretese economiche, xenofoba al punto da prestarsi volentieri a cancellare “la Minaccia Ouster”. All’inizio, alcune navi-torcia in affitto, in modo che potessero raggiungere gli sciami. Armi al plasma. Sonde a impatto con virus adattati.
Fu un piccolo errore di calcolo, il fatto che mi trovassi ancora su Bressia quando arrivarono le orde degli Ouster. Uno scarto di qualche mese. Al mio posto avrebbe dovuto esserci una squadra d’analisi politico-militare.
Non importava. I fini dell’Egemonia erano serviti. La decisione e la capacità di sviluppo rapido della FORCE furono adeguatamente messe alla prova, mentre gli interessi dell’Egemonìa non subivano alcun vero danno. Gresha, morì, certo. Nel primo bombardamento. E anche mio figlio Alón, a soli dieci anni. Era stato con me, era sopravvissuto alla guerra, solo per morire quando un idiota della FORCE piazzò una trappola esplosiva o una carica di demolizione troppo vicino alle baracche di rifugio, a Buckminster, la capitale.