Le Tombe del Tempo risplendevano. Quella che il Console sulle prime aveva scambiato per una luce riflessa dall’alto, proveniva invece dalle Tombe. Ognuna splendeva di una tonalità diversa ed era adesso chiaramente visibile, mentre il bagliore aumentava e le Tombe si allontanavano nel buio della valle. L’aria odorava di ozono.
— È un fenomeno normale? — domandò padre Hoyt, con voce flebile.
Il Console scosse la testa. — Non ne ho mai sentito parlare.
— Non era mai stato segnalato, quando Rachel venne qui a studiare le Tombe — disse Sol Weintraub. Iniziò a canticchiare a bocca chiusa il motivetto di prima, mentre tutti riprendevano il cammino fra le sabbie che si spostavano.
Si fermarono all’imboccatura della valle. Le dune cedevoli lasciavano il posto alla roccia e a ombre nere come inchiostro, nella depressione che portava alle Tombe risplendenti. Nessuno si mise alla guida. Nessuno parlò. Il Console sentì che il cuore gli batteva come impazzito. Peggio della paura o della consapevolezza di quello che c’era più avanti, era il buio dell’anima che sembrava averlo raggiunto col vento, che lo gelava e gli faceva desiderare di mettersi a correre urlando verso le montagne da cui erano venuti.
Il Console si rivolse a Sol Weintraub. — Cos’è quel motivo che sta canticchiando a Rachel?
Lo studioso si costrinse a sorridere e si grattò la barbetta. — Il tema d’un antico film bi-di. Pre-Egira. Diamine, pre-tutto.
— Sentiamolo — disse Brawne Lamia, che aveva capito le intenzioni del Console. Era pallidissima in viso.
Weintraub lo cantò, con una voce flebile, all’inizio appena percettibile. Ma il motivo era vigoroso e bizzarramente irresistibile. Padre Hoyt prese la balalaika e lo accompagnò, mentre le note si facevano più decise.
Brawne Lamia scoppiò a ridere. Con stupore reverenziale, Martin Sileno disse: — Oddio, lo cantavo da bambino. È antichissimo.
— Ma chi è il mago? — domandò il colonnello Kassad. La voce amplificata dall’elmetto risuonò bizzarra e divertente, in quel contesto.
— E cos’è Oz? — domandò Lamia.
— E chi va a trovare questo mago? — chiese il Console, sentendo diminuire il panico che aveva dentro.
Sol Weintraub s’interruppe e cercò di rispondere alle domande, spiegando la trama d’un film bi-di che da secoli era polvere.
— Lasci perdere — disse Brawne Lamia. — Ce lo racconterà dopo. Riprenda a cantare.
Dietro di loro, l’oscurità aveva ingoiato le montagne, mentre la tempesta scivolava verso di loro sulla brughiera. Il cielo continuava a sanguinare luce, ma ora l’orizzonte orientale era un po’ più pallido del resto. A sinistra, la città morta risplendeva come denti di pietra.
Brawne Lamia riprese a guidare il gruppo. Sol Weintraub cantò a voce più alta, mentre Rachel si dimenava di piacere. Lenar Hoyt si gettò sulle spalle il mantello per suonare meglio la balalaika. Martin Sileno scagliò fra le dune la bottiglia vuota e si unì al canto, con voce profonda e forte, piacevole, sopra il rumore del vento.
Fedmahn Kassad alzò il visore e si mise in spalla il fucile e si unì al coro. Il Console iniziò a cantare, pensò all’assurdità delle parole, scoppiò a ridere, riprese a cantare.
Proprio dove iniziava l’oscurità, il sentiero diventava più largo. Il Console si spostò a destra, Kassad gli si accostò, Sol Weintraub riempì lo spazio vuoto: anziché in processione, i sei avanzarono gomito a gomito. Brawne Lamia prese nella sua la mano di Sileno, con l’altra strinse quella di Sol.
Continuando a cantare a voce alta, procedendo di pari passo, senza guardarsi indietro, scesero nella valle.