«Seguirai la croce per il resto dei tuoi giorni» ha detto Alfa con voce che aveva il tono della litania. Gli altri Bikura hanno ripetuto la frase come fosse un canto liturgico.
«Sarai del crucimorfo per il resto dei tuoi giorni» ha detto Alfa, poi, mentre gli altri ripetevano le parole, ha tolto dalla parete un piccolo crucimorfo. Non più lungo di dieci centimetri, si è staccato con un debolissimo schiocco e ha perso luminosità sotto i miei occhi. Dalla veste Alfa ha tirato fuori una cordicella, l’ha legata a una piccola protuberanza del braccio superiore della croce e l’ha sollevata sopra la mia testa. «Sarai del crucimorfo ora e sempre» ha detto.
«Ora e sempre» hanno fatto eco i Bikura.
«Amen» ho mormorato io.
Beta mi ha fatto segno di aprire la veste. Alfa ha abbassato la piccola croce e me l’ha appesa al collo. Mi è sembrata fredda, sul petto; il retro era perfettamente piatto, perfettamente liscio.
I Bikura si sono alzati e si sono diretti all’ingresso della caverna; sembravano di nuovo apatici e indifferenti. Li ho guardati uscire, poi, con cautela, ho toccato la croce, l’ho sollevata e l’ho esaminata. Il crucimorfo era freddo, inerte. Se davvero pochi istanti prima era vivo, ora non mostrava segno di vita. Al tatto sembrava corallo, più che cristallo o roccia, e sul retro liscio non c’era traccia di materiale adesivo. Ho cercato di capire quali effetti fotochimici potevano essere responsabili della luminosità. Ho pensato al fosforo naturale, alla bioluminescenza e alle altre possibilità che l’evoluzione creasse organismi del genere. Ho cercato di spiegarmi in che modo, se pure c’era, la loro presenza lì si collegasse al labirinto e agli eoni necessari a sollevare l’altopiano affinché fiume e canyon tagliassero uno dei tunnel. Ho fatto ipotesi sulla basilica e su chi l’ha costruita, sui Bikura, sullo Shrike, su me stesso. Alla fine, ho smesso: ho chiuso gli occhi e ho pregato.
Quando sono uscito dalla caverna, con il crucimorfo freddo contro il petto, sotto la veste, i Tre Ventine e Dieci erano chiaramente pronti a iniziare la risalita dei tre chilometri di scalini. Ho alzato gli occhi verso la pallida fetta di cielo mattutino fra le pareti della Fenditura.
«No!» ho gridato, con una voce che quasi si è persa nel fragore del fiume. «Ho bisogno di riposo. Riposo!» Sono caduto in ginocchio sulla sabbia, ma cinque o sei Bikura mi si sono avvicinati, mi hanno tirato in piedi con gentilezza e mi hanno spinto verso la scalinata.
Ho provato, lo sa Iddio se ho provato; ma dopo un paio d’ore di salita ho sentito le gambe cedere e sono crollato, scivolando sulla pietra, incapace di evitare la caduta di seicento,metri sulle rocce e nel fiume. Ricordo d’avere stretto il crucimorfo, sotto la stoffa pesante; poi una decina di mani mi ha bloccato, mi ha sollevato, mi ha portato di peso. Dopo, non ricordo altro.
Fino a stamattina. Mi sono svegliato quando i raggi del sole appena sorto hanno riversato la loro luce nell’apertura della capanna. Avevo addosso solo la veste: un rapido tocco mi ha assicurato che il crucimorfo era ancora appeso alla cordicella di fibra. Mentre guardavo il sole levarsi sulla foresta, ho capito di aver perso un giorno, e di avere in qualche modo dormito non solo durante la risalita della scalinata senza fine (come hanno potuto, questi piccoli uomini, portarmi per due chilometri e mezzo lungo quella salita verticale?), ma anche il giorno e la notte seguenti.
Mi sono guardato in giro. Il comlog e le altre apparecchiature di registrazione sono scomparsi. Rimangono solo l’analizzatore medico e alcuni programmi antropologici resi inutili dalla distruzione degli altri strumenti. Scuotendo la testa, sono andato al torrente a lavarmi.
I Bikura dormono. Ora che ho partecipato al loro rituale e che “sono diventato del crucimorfo”, hanno perso interesse nei miei confronti. Mentre mi spogliavo per fare il bagno, ho deciso di mostrare un’uguale mancanza d’interesse nei loro confronti. Ho deciso di andarmene, appena avrò riacquistato le forze. Se occorre, troverò un percorso che giri attorno alla foresta di fuoco. Posso scendere la scalinata e seguire il Kans, se necessario. Sono più che mai convinto che sia indispensabile informare il mondo esterno dell’esistenza di questo pianeta e dei suoi prodigiosi manufatti.
Mi sono tolto la veste pesante. Pallido e tremante, sono rimasto nudo nella luce del mattino e ho provato a togliermi dal petto il piccolo crucimorfo.
Non si è staccato.
È lì, come se facesse parte della mia carne. Ho grattato, tirato, strappato la cordicella finché non s’è rotta. Ho artigliato il grumo a forma di croce. Non si è staccato. Come se la carne fosse incollata ai suoi bordi. A parte i graffi prodotti dalle unghie, non ho sentito dolore, nessuna sensazione fisica, nel crucimorfo e nella carne circostante: solo puro e semplice terrore nell’anima al pensiero che quella cosa si fosse attaccata a me. Passato il primo istante di panico, sono rimasto a sedere per un minuto; poi mi sono rivestito in fretta e sono corso al villaggio.
Il coltello è sparito, come il maser, le forbici, il rasoio… qualsiasi cosa possa aiutarmi a tirar via l’escrescenza sul petto. Le unghie hanno lasciato lividi sanguinosi sulla rossa croce in rilievo. Allora mi sono ricordato dell’analizzatore medico. Mi sono passato sul petto il ricettore, ho letto il diskey, ho scosso la testa incredulo e ho eseguito l’intera analisi. Dopo un po’ ho chiesto una copia dei risultati e sono rimasto immobile a lungo.
E ora me ne sto qui seduto, con le lastre in mano. Il crucimorfo compare chiaramente nelle lastre soniche e crociate… e anche le fibre interne che si diramano come tentacoli, come radici, in tutto il mio corpo.
Gangli in eccesso s’irradiano da uno spesso nucleo all’altezza dello sterno e mi riempiono di filamenti tutto il corpo… un incubo di nematodi. Per quanto posso dire basandomi sull’analizzatore da campo, i nematodi terminano nell’amigdala e negli altri gangli basali dei due emisferi cerebrali. La temperatura, il metabolismo e il livello linfocitico sono normali. Non c’è invasione di tessuti estranei. Secondo l’analizzatore, i filamenti nematodici sono il risultato di estese ma semplici metastasi. Secondo l’analizzatore, il crucimorfo stesso si compone di tessuti familiari… il DNA è il mio. Sono del crucimorfo.
Giorno 116
Ogni giorno percorro avanti e indietro i confini della mia gabbia: le foreste di fuoco a sud e a est, le forre boscose a nordest, la Fenditura a nord e a ovest. I Tre Ventine e Dieci non mi permettono di scendere al di sotto della basilica. Il crucimorfo non mi permette di allontanarmi a più di dieci chilometri dalla Fenditura.
All’inizio non potevo crederci. Avevo deciso di entrare nella foresta di fuoco confidando, per attraversarla, nella fortuna e nell’aiuto di Dio. Ma mi ero inoltrato solo per un paio di chilometri, quando un dolore acuto m’ha colpito al petto, alle braccia, alla testa. Ero sicuro di essere vittima d’un grave attacco cardiaco, ma appena sono tornato verso la Fenditura i sintomi sono scomparsi. Ho fatto altre prove, con risultati sempre identici. Appena mi avventuro all’interno della foresta di fuoco, lontano dalla Fenditura, il dolore torna e aumenta finché non faccio marcia indietro.
Comincio a capire altre cose. Ieri, mentre facevo delle esplorazioni verso nord, mi sono imbattuto per caso nel relitto della navetta originaria. Ai margini della foresta di fuoco, accanto a una gola, restano solo rottami metallici coperti di liane. Ma, acquattato fra le centine di fibrolega dell’antica navetta, ho potuto immaginare la gioia dei settanta superstiti, il breve tragitto fino alla Fenditura, la scoperta della basilica e… e che cosa? Da questo punto in poi, le congetture sono inutili; ma rimangono dei sospetti. Domani voglio tentare un altro esame fisico di un Bikura. Forse, ora che “sono del crucimorfo”, non si opporranno.