— Questa è l’ultima annotazione — disse Lenar Hoyt.
Quando il prete smise di leggere, i sei pellegrini intorno al tavolo alzarono il viso verso di lui, come se si stessero svegliando da un sogno comune. Il Console diede un’occhiata in alto. Hyperion adesso era molto più vicino: riempiva un terzo del cielo e con il suo freddo splendore scacciava le altre stelle.
— Arrivai dopo una decina di settimane da quando avevo visto per l’ultima volta padre Duré — continuò padre Hoyt con voce aspra e rauca. — Su Hyperion erano trascorsi più di otto anni… sette, dall’ultima annotazione sul diario. — Ora il prete soffriva visibilmente: sul suo viso, pallido e sconvolto, brillava un velo di sudore.
— Nel giro d’un mese, ho trovato la strada per la piantagione Perecebo, a monte del fiume rispetto a Port Romance — continuò Hoyt, sforzandosi di dare al tono di voce una certa forza. — Presumevo che i coltivatori di fibroplastica potessero dirmi la verità, visto che non avevano niente a che fare con il Consolato o con le autorità del Consiglio Autonomo. Non mi sbagliavo. L’amministratore di Perecebo, un certo Orlandi, ricordava padre Duré, come lo ricordava la nuova moglie di Orlandi, quella Semfa menzionata nei diari. Il direttore della piantagione aveva tentato di inviare sull’altopiano alcune spedizioni di soccorso, ma una serie senza precedenti di periodi attivi nella foresta di fuoco l’aveva costretto ad abbandonare i tentativi. Dopo alcuni anni, rinunciò alla speranza che padre Duré o il loro dipendente, Tuk, fossero ancora vivi.
“Tuttavia Orlandi reclutò due esperti piloti da giungla per portare fino alla Fenditura una spedizione di soccorso, a bordo di due skimmer della piantagione. Restammo nella Fenditura il massimo possibile, fidandoci della strumentazione per evitare gli ostacoli del terreno e della fortuna per arrivare al paese dei Bikura. In questo modo evitammo gran parte della foresta di fuoco, ma perdemmo ugualmente uno skimmer e quattro persone, a causa dell’attività dei tesla.”
Padre Hoyt s’interruppe e barcollò leggermente. Si afferrò al bordo del tavolo per sorreggersi e si schiarì la voce. — Non c’è molto da aggiungere — disse. — Abbiamo localizzato il villaggio dei Bikura. Erano in settanta, tutti stupidi e taciturni come dicono gli appunti di Duré, ma grazie a loro sono riuscito a stabilire che padre Duré era morto nel tentativo di penetrare nella foresta di fuoco. La sacca di besto aveva resistito e dentro abbiamo trovato i suoi diari e i dati medici. — Hoyt guardò per un attimo gli altri, poi abbassò gli occhi. — Li abbiamo convinti a mostrarci il posto dove padre Duré è morto — continuò. — Non… ah… non l’avevano seppellito. I resti erano bruciati e decomposti, ma abbastanza completi da mostrare che l’intensità delle scariche dei tesla aveva distrutto il… il crucimorfo… oltre al corpo di padre Duré.
“Padre Duré era morto della vera morte. Abbiamo riportato i resti alla piantagione Perecebo, dove è stato cristianamente sepolto dopo la Messa. — Hoyt trasse un profondo respiro. — Nonostante le mie forti obiezioni, il signor Orlandi ha distrutto il villaggio dei Bikura e un tratto della parete della Fenditura, impiegando alcune cariche atomiche sagomate che si era portato dalla piantagione. Non credo che qualche Bikura sia sopravvissuto. Per quanto ne so, l’ingresso del labirinto e la cosiddetta basilica sono andati distrutti nella frana.
“Nel corso della spedizione avevo riportato alcune ferite e così sono stato costretto a trattenermi nella piantagione per diversi mesi, prima di tornare nel continente settentrionale e procurarmi un passaggio per Pacem. Nessuno è al corrente di questi diari e del loro contenuto tranne il signor Orlandi, monsignor Edouard e i superiori che quest’ultimo ha creduto opportuno informare. Per quanto ne so, la Chiesa non ha fatto dichiarazioni riguardanti i diari di padre Duré.”
Ora padre Hoyt si sedette. Il sudore gli colava dal mento e il suo viso era livido, nella luce riflessa di Hyperion.
— Questo è… è tutto? — domandò Martin Sileno.
— Sì — riuscì a rispondere padre Hoyt.
— Signora, signori — disse Het Masteen. — È tardi. Vi suggerisco di preparare i bagagli e di recarvi sulla nave del nostro amico Console, nella sfera 11, fra trenta minuti o anche prima. Più tardi vi raggiungerò usando una delle tre navette.
Quasi tutto il gruppo si riunì in meno di quindici minuti. I Templari avevano costruito alla buona una passerella che andava da una banchina di carico all’interno della sfera fino alla loggia più alta della nave. Il Console condusse nel salotto il gruppo, mentre i cloni d’equipaggio stivavano i bagagli e se ne andavano.
— Un affascinante strumento antico — disse il colonnello Kassad, passando la mano sul coperchio dello Steinway. — Un arpicordo?
— Pianoforte — spiegò il Console. — Pre-Egira. Ci siamo tutti?
— Tutti tranne Hoyt — rispose Brawne Lamia, accomodandosi sul sedile della piazzuola di proiezione.
Entrò Het Masteen. — La nave da guerra dell’Egemonia ha dato il permesso di atterrare nello spazioporto di Keats — disse il comandante. Si diede un’occhiata intorno. — Mando un clone d’equipaggio a vedere se il signor Hoyt ha bisogno d’aiuto.
— No — disse il Console. Abbassò la voce. — Preferisco andare io. Dov’è alloggiato?
Per un intero secondo il comandante della nave-albero fissò il Console, poi mise la mano fra le pieghe della veste. — Bon voyage - disse, porgendogli una scheda direzionale. — Ci vediamo sul pianeta, intorno alla mezzanotte, ora di partenza dal Tempio Shrike di Keats.
Il Console gli fece un inchino. — È stato un piacere viaggiare sotto la protezione dei rami dell’Albero, Het Masteen — disse formalmente. Si girò verso gli altri e indicò i locali. — Mettetevi comodi, nel salotto o nella biblioteca del ponte inferiore. La nave provvederà ai vostri bisogni e risponderà alle vostre domande. Partiremo appena tornerò con padre Hoyt.
Lo scomparto ambientale del prete era situato a mezza strada su per la nave-albero, molto all’esterno, su un ramo secondario. Come il Console s’aspettava, la scheda direzionale per comlog avuta da Het Masteen serviva anche da chiave universale per la serratura a impronta del palmo. Dopo aver suonato inutilmente alcune volte il campanello e aver bussato, il Console si servì della chiave universale ed entrò nello scomparto.
Padre Hoyt si contorceva in ginocchio al centro del tappeto erboso. Lenzuola, bagagli, indumenti e il contenuto di un kit medico standard erano sparpagliati intorno a lui. Il prete si era strappato tunica e colletto; aveva la camicia zuppa di sudore, tanto che la stoffa ricadeva in umide pieghe, lacera dove lui l’aveva artigliata. La luce di Hyperion filtrava dalla parete dello scomparto e dava l’impressione che la scena si svolgesse sott’acqua… oppure, si disse il Console, in una cattedrale.
La faccia di Lenar Hoyt si contorse per il dolore, mentre il prete si graffiava il petto. I muscoli degli avambracci nudi si torsero come creature vive, muovendosi sotto il pallido rivestimento della pelle. — L’iniettore… si è guastato — ansimò Hoyt. — La prego!
Il Console annuì, ordinò alla porta di chiudersi e s’inginocchiò accanto al prete. Gli tolse dal pugno serrato l’iniettore inutile e ne estrasse la fiala. Ultramorfina. Il console annuì di nuovo e prese un nuovo iniettore dal kit medico che aveva portato con sé dalla nave. Bastarono meno di cinque secondi a caricare l’ultramorfina.
— Per favore — implorò Hoyt. Era scosso dagli spasmi in tutto il corpo. Le ondate di dolore che lo squassavano erano quasi visibili.