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Il Console si sentì come se qualcuno l’avesse colpito sotto la terza costola. Distolse lo sguardo e lo posò sul labirinto di viuzze e di edifici sbilenchi che formava Jacktown, la Città Vecchia. Quando ritrovò la voce, disse: — Theo, non posso.

— Senta, se lei…

— No. Voglio dire proprio che non posso. Accettare non risolverebbe niente, ma la verità è semplicemente questa: non posso. Devo partecipare al pellegrinaggio.

Theo si raddrizzò gli occhiali e guardò davanti a sé.

— Senti, Theo, sei il più competente professionista del Foreign Office con cui abbia mai lavorato. Sono rimasto in disparte per otto anni. Ritengo…

Theo annuì e lo interruppe. — Immagino che lei voglia andare al Tempio Shrike.

— Sì.

Lo skimmer eseguì un mezzo giro e si posò. Il Console fissava il vuoto, pensieroso, quando la portiera laterale dello skimmer si alzò e si ripiegò. Sol Weintraub disse: — Dio santo!

Il gruppetto uscì dal velivolo e fissò le macerie carbonizzate di quello che era stato il Tempio Shrike. Da quando, una ventina d’anni locali prima, le Tombe del Tempo erano state chiuse perché troppo pericolose, il Tempio Shrike era diventato l’attrazione turistica più nota di Hyperion. Il Tempio Centrale della Chiesa Shrike si estendeva per tre isolati cittadini e innalzava per più di centocinquanta metri l’appuntita guglia centrale: era in parte una cattedrale che ispirava timore e reverenza; in parte uno scherzo gotico, per via dei contrafforti ricurvi permasaldati allo scheletro in fibrolega; in parte una stampa di Escher, per i trucchi di prospettiva e gli angoli assurdi; in parte un incubo di Bosch, per via degli ingressi a tunnel, delle stanze segrete, dei giardini tenebrosi, delle sezioni proibite. E, più d’ogni altra cosa, era parte del passato di Hyperion.

Ora non esisteva più. Alti cumuli di pietre annerite erano il solo indizio della precedente maestosità dell’edificio. Travi di fibrolega fusa spuntavano tra le pietre come costole d’una carcassa gigantesca. Gran parte delle macerie era sprofondata in pozzi, scantinati, passaggi nascosti sotto quella pietra miliare vecchia di tre secoli. Il Console si accostò al bordo d’un pozzo e si chiese se quella profonda voragine fosse davvero in comunicazione, come sosteneva la leggenda, con i labirinti del pianeta.

— Sembra che qui abbiano usato una frustalaser — disse Martin Sileno, usando il termine arcaico per indicare il laser megaenergetico. Il poeta sembrava tornato sobrio di colpo, mentre si avvicinava al Console sull’orlo del pozzo. — Ricordo quando il Tempio e alcune parti della Città Vecchia erano i soli edifici di questa zona — disse. — Dopo il disastro nei pressi delle Tombe, Billy decise di spostare qui Jacktown perché c’era il Tempio. E ora non esiste più, Cristo!

— No — disse Kassad.

Gli altri lo fissarono.

Il colonnello si tirò su dal punto in cui aveva esaminato le macerie. — Non hanno usato frustelaser — disse. — Cariche di plasma, sagomate. Parecchie.

— Vuole ancora stare qui e continuare l’inutile pellegrinaggio? — domandò Theo. — Torni con me al Consolato. — Parlava al Console, ma l’invito era esteso a tutti.

Il Console girò le spalle al pozzo, fissò il suo aiutante d’un tempo e, per la prima volta, vide in lui il Governator Generale d’un mondo dell’Egemonia assediato. — Non possiamo, Eccellenza — disse. — Almeno, io non posso. Ma non voglio rispondere anche per gli altri.

I quattro uomini e la donna scossero la testa. Sileno e Kassad iniziarono a scaricare i bagagli. La pioggia riprese sotto forma di una nebbiolina leggera che cadeva dalle tenebre. In quell’istante il Console notò due skimmer d’assalto della FORCE librati al di sopra dei tetti vicini. Il buio e gli scafi di polimero camaleonte li avevano nascosti bene, ma ora la pioggia rivelava il loro profilo. “Ma certo” pensò. “Il Governator Generale non viaggia senza scorta…”

— I preti si sono salvati? Ci sono stati dei sopravvissuti, quando hanno distrutto il Tempio? — domandò Brawne Lamia.

— Sì — rispose Theo. Il dittatore de facto di cinque milioni d’anime già condannate si tolse gli occhiali e li asciugò nel lembo della camicia. — Tutti i preti e gli accoliti del culto Shrike sono scampati grazie ai tunnel. Da mesi la marmaglia circondava il Tempio. I capi, una certa Cammon giunta da un punto imprecisato a est del mar d’Erba, ha dato agli occupanti del Tempio un sacco di avvertimenti, prima di far esplodere le DL-20.

— Dov’era la polizia? — domandò il Console. — E la FAD? La FORCE?

Theo Lane sorrise e in quel momento sembrò alcuni decenni più vecchio del giovanotto che il Console aveva conosciuto. — Voi siete stati in viaggio per tre anni — disse. — L’universo è cambiato. I fedeli dello Shrike vengono messi al rogo e picchiati, nella Rete. Immaginate qui. La polizia di Keats è stata assorbita dalla legge marziale da me dichiarata quattordici mesi fa. Poliziotti e FAD sono rimasti a guardare, mentre la plebaglia dava fuoco al Tempio. E io pure. Stanotte qui c’è mezzo milione di persone.

Sol Weintraub si avvicinò. — Sanno della nostra presenza? Di questo pellegrinaggio finale?

— Se lo sapessero, nessuno di voi sarebbe vivo. Sembra che accettino volentieri qualsiasi cosa possa placare lo Shrike, ma la folla vedrebbe solo che siete stati scelti dalla Chiesa Shrike. A dire il vero, ho dovuto respingere il parere del mio stesso Comitato di Consiglieri: suggeriva di distruggere la vostra nave prima che entrasse nell’atmosfera.

— Perché? — domandò il Console. — Voglio dire, perché hai respinto il loro parere?

Theo sospirò e si aggiustò gli occhiali. — Hyperion ha ancora bisogno dell’Egemonia e Gladstone ha sempre il voto di fiducia della Totalità, se non del Senato. E io, Console, ho sempre bisogno delle sue capacità diplomatiche.

Il Console guardò le macerie del Tempio Shrike.

— Questo pellegrinaggio è finito prima del vostro arrivo sul pianeta — riprese il Governator Generale Theo Lane. — Vuole tornare con me al Consolato… almeno in veste di consigliere?

— Mi spiace — disse il Console. — Non posso.

Theo si girò senza una parola, entrò nello skimmer e decollò. La scorta militare, sagoma indistinta nella pioggia, lo seguì.

Ora pioveva a dirotto. I sei si strinsero in gruppo nell’oscurità sempre più fitta. Weintraub aveva fatto un cappuccio di fortuna per riparare la piccola Rachel e il rumore della pioggia sulla plastica aveva spaventato la piccina, che era messa a piangere.

— E ora? — disse il Console, guardandosi intorno nella notte e scrutando le viuzze. I bagagli erano ammucchiati in una pila bagnata. Il mondo puzzava di cenere.

Martin Sileno sogghignò. — Conosco un bar — disse.

Risultò che anche il Console conosceva quel bar: per gran parte degli undici anni del suo incarico su Hyperion ci aveva quasi vissuto, da Cicero.

A differenza della maggior parte delle cose di Keats, su Hyperion, il bar Cicero non doveva il nome a qualche trascurabile riferimento letterario pre-Egira. Si diceva che derivasse da un quartiere di una città della Vecchia Terra (alcuni dicevano Chicago, in America; altri erano sicuri che fosse Calcutta, in India) ma solo Stan Leweski, proprietario e pronipote del fondatore, ne sapeva con certezza l’origine e non aveva mai rivelato il segreto. Il bar in sé, nel suo secolo e mezzo d’esistenza, era passato dal sottotetto senza ascensore di uno degli edifici più vecchi e cadenti di Jacktown sul fiume Hoolie, a un locale di nove piani ricavato da quattro vecchi edifici, sempre sull’Hoolie. Gli unici elementi decorativi di Cicero rimasti costanti nell’arco dei decenni erano il soffitto basso, il fumo denso e il continuo chiacchierio di sottofondo che offriva un senso d’intimità in mezzo al frastuono.