Выбрать главу

Kassad annuì. Non sapeva con certezza se capiva l’inglese medievale, o se la frase era in semplice inglese standard: l’arciere brizzolato poteva essere un altro cadetto della Scuola Comando, un istruttore, o semplicemente un prodotto del simulatore. Se ne fregava. Il cuore gli batteva forte, aveva le mani sudate. Se le asciugò nel farsetto.

Come se re Enrico fosse stato imbeccato dal brontolio dell’anziano arciere, all’improvviso le bandiere di comando sventolarono in alto e i sergenti gridarono gli ordini; file e file di arcieri inglesi alzarono l’arco, incoccarono a comando, scagliarono la freccia e attesero l’ordine successivo.

Quattro ondate di più di seimila frecce lunghe un metro e acuminate come bulini si alzarono, sembrarono esitare in una nuvola a trenta metri d’altezza, poi caddero sui francesi.

Risuonarono dei nitriti e un frastuono simile a quello di mille bambini idioti che battessero diecimila pentole di stagno, quando gli armigeri francesi si chinarono sotto la pioggia di frecce in modo che gli elmetti e la corazza ricevessero il grosso del rovescio. Kassad sapeva che il danno provocato era irrisorio dal punto di vista militare, ma la cosa non consolava gli sfortunati francesi che si erano beccati in un occhio dieci centimetri di freccia o le decine di cavalli che saltavano, rotolavano e si urtavano l’un l’altro mentre i cavalieri si affannavano a estrarre le aste di legno dalla groppa o dai fianchi degli animali.

I francesi non caricarono.

Risuonarono altri ordini. Kassad si alzò, si preparò, scagliò la freccia. E ancora. E ancora. Ogni dieci secondi il cielo si oscurava. Kassad aveva male al braccio e alla schiena, per quel ritmo micidiale. Non provava esultanza né rabbia. Eseguiva il suo lavoro. Aveva l’avambraccio scorticato. Le frecce volarono di nuovo. E ancora. Aveva scagliato quindici frecce del primo dei due mucchietti di ventiquattro, quando lungo il fronte inglese serpeggiò un grido. Kassad trovò il tempo di dare un’occhiata.

I francesi caricavano.

La carica di cavalleria trascendeva l’esperienza di Kassad. Guardare milleduecento cavalli corazzati lanciarsi dritto su di lui gli creò un intimo senso di disagio. La carica durò meno di quaranta secondi, ma bastarono ampiamente a fargli venire la bocca secca, a procurargli difficoltà di respirazione, a fargli ritrarre i testicoli. Se anche il resto del corpo avesse potuto trovare un nascondiglio altrettanto efficace, Kassad avrebbe preso in seria considerazione la possibilità di ficcarcisi dentro.

All’atto pratico, era troppo impegnato per scappare.

Gli arcieri scagliarono a comando cinque salve piene contro i cavalieri all’assalto, poi ciascuno riuscì a scagliare di propria iniziativa un’altra freccia e arretrò di cinque passi.

I cavalli, risultò, erano troppo intelligenti per andare a impalarsi spontaneamente… per quanta insistenza i cavalieri umani mettessero nell’implorarli; ma la seconda e la terza ondata di cavalleria non si fermarono di colpo come la prima: in un unico istante di follia, i cavalli finirono a terra fra urla e nitriti, i cavalieri furono sbalzati di sella, e Kassad era allo scoperto e gridava, assaliva ogni francese disarcionato che vedeva, lo colpiva col mazzuolo se poteva e, se non aveva spazio per vibrare i colpi, conficcava il lungo coltello nelle aperture della corazza. Ben presto lui, l’arciere brizzolato e un ragazzo che aveva perduto il copricapo, diventarono un’efficiente squadra della morte che si avvicinava da tre lati ai cavalieri disarcionati: Kassad usava il mazzuolo per mandare lungo disteso l’implorante cavaliere, poi tutt’e tre mettevano in azione le lame.

Solo un cavaliere si rimise in piedi e alzò la spada per affrontarli. Il francese sollevò la visiera e chiese chiaramente l’onore del duello. Il vecchio e il giovane gli girarono intorno, come lupi; Kassad andò a prendere l’arco e da dieci passi gli conficcò una freccia nell’occhio sinistro.

La battaglia proseguì nella fatale vena eroicomica comune, sulla Vecchia Terra, a ogni genere di scontro armato fin dai primi duelli con pietra e osso. La cavalleria francese riuscì a girarsi e fuggire, proprio mentre la prima ondata di diecimila armigeri caricava a piedi il centro dello schieramento inglese. La mischia ruppe il ritmo dell’attacco: quando i francesi ripresero l’iniziativa, gli armigeri di Enrico V si erano piazzati in modo da tenerli a distanza di picca, mentre Kassad e alcune migliaia di arcieri scagliavano sulla fanteria salve di frecce da distanza ravvicinata.

Tutto questo non pose termine alla battaglia. Non è neppure detto che sia stato il momento decisivo. Il momento cruciale, quando venne, andò perduto come sempre succede nella polvere e nei turbini di mille scontri individuali, dove fanti affrontavano fanti separati solo dalla lunghezza della propria arma. Prima che tutto terminasse, tre ore più tardi, ci sarebbero state variazioni minori di temi ripetuti, inefficaci colpi di punta, goffe risposte, e momenti men che onorevoli in cui Enrico V avrebbe ordinato di uccidere i prigionieri, piuttosto che lasciarli alla retroguardia, se c’era da affrontare una minaccia nuova. Ma in seguito araldi e storici avrebbero concordato nel dire che l’esito dipese da un momento imprecisato nella confusione della prima carica della fanteria francese. I francesi morirono a migliaia. Il dominio inglese su quella parte del continente sarebbe continuato per qualche tempo. I giorni degli armigeri con la corazza, dei cavalieri e della cavalleria erano terminati… inchiodati nella bara della storia da una marmaglia di qualche migliaio di contadini armati di un arco da guerra. L’insulto finale ai morti francesi di sangue nobile, ammesso che sia possibile insultare ancora i morti, consisteva nel fatto che gli arcieri inglesi erano non solo persone comuni, nel senso più basso e pidocchioso della parola, ma anche soldati di leva. Fanti. Soldati semplici. Marmittoni. Coscritti. Carne da cannone.

Ma tutto questo era nella lezione che in teoria Kassad avrebbe dovuto imparare durante l’esercitazione SCO-RTS. Kassad non imparò niente: era troppo preso dall’incontro che gli avrebbe cambiato la vita.

L’armigero francese cadde oltre la testa del cavallo abbattuto, rotolò una volta, si rialzò e fuggì nei boschi prima che gli schizzi di fango ricadessero. Kassad lo seguì. Arrivò a metà strada dalla linea degli alberi, prima di accorgersi che il brizzolato e il giovane non erano più con lui. Non importava. Sentiva scorrere dentro di sé l’adrenalina, era completamente in preda alla sete di sangue.

L’armigero, appena disarcionato da un cavallo al galoppo e impacciato nei movimenti da trenta chili d’armatura, rappresentava in teoria una facile preda. La realtà fu diversa. Il francese si lanciò alle spalle una sola occhiata, vide Kassad che arrivava di corsa con il mazzuolo in mano e lo sguardo deciso, aumentò l’andatura e raggiunse la linea degli alberi con quindici metri di vantaggio sul suo inseguitore.

Kassad era già nel cuore dei boschi, quando si fermò, si appoggiò al mazzuolo, ansimò per riprendere fiato e considerò la situazione. Alle sue spalle, la distanza e gli arbusti attutivano i colpi, le urla e gli schianti del campo di battaglia. Gli alberi, quasi spogli, gocciolavano ancora per il temporale della notte precedente. Uno spesso strato di foglie morte e un groviglio d’arbusti e di rovi ricoprivano il terreno. L’armigero aveva lasciato una pista di rametti spezzati e di orme, più o meno per una ventina di metri, ma poi le piste dei cervi e i sentieri coperti d’erbacce rendevano difficile individuare i segni del suo passaggio.

Kassad s’inoltrò lentamente nel bosco, con le orecchie tese a sentire qualche rumore al di sopra dei suoi stessi ansiti e del folle battito del suo cuore. Dal punto di vista tattico, rifletté, la sua non era una mossa brillante: quand’era scomparso nel sottobosco, l’armigero indossava l’armatura completa e impugnava la spada. In qualsiasi momento il francese poteva riprendersi dalla paura, pentirsi per la temporanea perdita dell’onore e ricordare gli anni d’addestramento militare. Anche Kassad era stato addestrato. Si guardò la camicia di stoffa e la veste di pelle. Reggeva ancora il mazzuolo e nell’alta cintura aveva il coltello. Ed era addestrato nell’uso di armi ad alta energia, con portata variabile da alcuni metri a migliaia di chilometri. Aveva ottenuto un buon punteggio nell’uso di granate a plasma, frustelaser, carabine a flechettes, armi soniche, armi senza rinculo a gravità zero, neuroverghe, del fucile cinetico d’assalto e dei guanti a raggi; e ora aveva una conoscenza sperimentale dell’arco da guerra inglese. In quel momento, però, non aveva con sé nessuna di queste armi… arco da guerra incluso.